Suggestiva ma infinita la stanza immaginaria di Thierrée

Musica e teatro, ma anche tanto circo, nello spettacolo proposto da Romaeuropa

Room (Foto Richard Haughton)
Room (Foto Richard Haughton)
Recensione
classica
Roma, Teatro Argentina
Room
21 Settembre 2022 - 24 Settembre 2022

Quando si va in un locale che propone un’offerta “all you can eat” – prescindendo per un momento dalla qualità del cibo che viene servito – il rischio è che il prezzo fisso invogli i clienti a mangiare quanto più possibile e che il pasto consumato si trasformi alla fine in una grande abbuffata. Qualcosa del genere è accaduto alla Prima Nazionale di Room, spettacolo all’interno del quale James Thierrée ha proposto una sorta di “all you can imagine”, di proporzioni talmente ampie da lasciare alla fine il pubblico con un senso di sazietà a dir poco enorme. Eppure la serata che il Romaeuropa Festival proponeva al Teatro Argentina (con repliche fino al prossimo 25 settembre) si era aperta con ben altre premesse, con l’imprevedibile Thierrée e la sua compagnia di musicisti danzatori simpaticamente alle prese con l’organizzazione di un improbabile spettacolo teatrale che, tra ripensamenti, incidenti di percorso, continue modifiche alla scenografia, tentava di assumere una forma definita ma in realtà non la raggiungeva mai. Su questa ricerca, declinata in una infinita varietà di situazioni, l’attore/danzatore/scenografo nipote del grande Chaplin ha poggiato l’impalcatura di uno spettacolo volutamente privo di trama ma in realtà frutto di un copione preciso e ben strutturato. Grazie al quale tutto sul palcoscenico si svolgeva in maniera perfetta, dai movimenti, vorticosi e affascinanti al tempo stesso, dei danzatori, impegnati spesso anche musicalmente con le loro voci o i loro strumenti, allo spostamento continuo delle pareti che dovevano delimitare la ‘stanza’ citata nel titolo dello spettacolo, dallo stupefacente gioco di luci e ombre in cui si svolgevano le scene alla complessa serie di dialoghi multilingue che Thierrée instaurava non solo con gli altri attori ma persino col pubblico. Il quale all’inizio si è trovato come davanti a prelibati piatti preparati da un grande chef, maestro nel combinare il senso del surreale col mondo del circo, la tradizione del musical con le suggestioni di un teatro più che sperimentale. Il tutto condito con un senso del movimento garantito dall’estrema bravura dello stesso Thierrée e di tutti i danzatori, impegnati come funamboli all’interno di questa immaginaria ‘room’. Come in un vero e proprio sogno a occhi aperti del protagonista, caratterizzato tuttavia da sapori via via sempre più intensi, nonché da un volume sonoro (grida, suoni, musiche) che nessuno avrebbe sospettato all’inizio. D’accordo, dimentichiamo la delicatezza de Le Cirque imaginaire – quello di Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierrée, i genitori di James che pure è cresciuto su quelle scene – ed entriamo in un mondo che celebra la velocità e accetta giocoforza il rumore e le grida prodotti da una società nevrotica e mai sazia. In questo caso però la serata è diventata pantagruelica non per golosità del pubblico bensì per eccesso di offerta, in uno spettacolo che, ondeggiando sempre più tra le tentazioni del musical e quelle del concerto rock, alla fine sembrava essersi smarrito e non riuscire a trovare più la maniera di concludere.
Fuori discussione la bravura di James Thierrée, quella degli altri musicisti danzatori e di tutti coloro che erano coinvolti nella realizzazione della serata, anzi più che meritati gli applausi con cui il pubblico li ha salutati alla fine, considerato il grandissimo impegno profuso. Ma alzarsi da tavola con ancora un po’ di fame non era una volta considerata una buona abitudine?

 

 

 

 

 

 

 

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