Prendendo note: souvenir musicali di fine anno

Da Kendrick Lamar a Julia Holter, il meglio del 2015 musicale

Recensione
pop
Mentre le provvidenziali uscite autunnali dei lavori di Adele e Coldplay stanno risistemando i bilanci delle aziende discografiche, dagli scranni sempre meno determinanti della critica specializzata (è l’“orizzontalità” del web, baby…) arrivano le consuete indicazioni sulle opere davvero rilevanti pubblicate durante l’arco degli ultimi dodici mesi. E pare non ci sia gara: trionfa quasi ovunque – dall’istituzionale “Billboard” alla bibbia degli hipsters “Pitchfork” – To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, colui che ha ridato finalmente senso, smalto e slancio all’hip hop. Persino il presidente Obama ha nominato canzone dell’anno la sua “How Much a Dollar Cost”…



Senza dimenticare che Kamasi Washington, sassofonista di fiducia del rapper californiano, ha realizzato il migliore album jazz del 2015: The Epic (ma non ditelo agli esperti del settore, che ancora non se ne sono accorti).
E se rimaniamo a chi ha la pelle nera, dobbiamo constatare l’entrata in scena di forze nuove capaci di movimentare il panorama africano: dai maliani Songhoy Blues (Music in Exile) ai fenomenali congolesi Mbongwana Star (From Kinshasa)…



E i visi pallidi? Volendo generalizzare, è stato un anno da cantautori, tra un Father John Misty (alias Joshua Tillman, ex batterista dei Fleet Foxes) e un Destroyer (Dan Bejar), autori rispettivamente di I Love You, Honeybear e Poison Season. Anche se nella cerchia specifica svetta di gran lunga, per grazia e intensità, Carrie & Lowell di Sufjan Stevens…



Cantautori, sì, ma soprattutto cantautrici, per quanto fra loro diversissime: da quella con l’arpa (Joanna Newsom, Divers) all’altra più “rockettara” (l’australiana Courtney Barnett, Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit). Tra le due litiganti, comunque, gode Julia Holter con l’incantevole Have You in My Wilderness



E il rock? Un po’ spento, con l’eccezione psichedelica dei Tame Impala (Currents, altro titolo made in Australia). E la dance? Un po’ statica, non fosse per l’inventiva disinvolta di Jamie xx (In Colour). E in Italia? Nell’hit parade hanno dominato i soliti noti e il Tenco ha premiato Mauro Ermanno Giovanardi, continuando a ignorare – troppo elettrici? poco poetici? – i Verdena, che con i due volumi di Endkadenz sbaragliano viceversa la concorrenza per qualità, oltre che per quantità…



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