Morire in levare

I Tre Allegri Ragazzi Morti e una svolta reggae non capìta dal pubblico

foto Elena Piccinin
foto Elena Piccinin
Recensione
pop
Hiroshima mon amour Torino
19 Marzo 2010
Quindi le voci di corridoio erano vere, e più calzanti del previsto: i Tre Allegri Ragazzi Morti, per loro stessa sbandierata ammissione dal palco, si ritengono attualmente un gruppo reggae. Il singolo che ha preso d'assalto le radio, "Puoi dirlo a tutti", sembra un tributo scarno a Toots and the Maytals, mentre il 90% del restante "Primitivi del futuro" rimbalza tra Linton Kwesi Johnson e reggae più classico. Quello che stranisce ascoltando il cd è che questo è forse il primo disco veramente "prodotto" dei TARM: ciao ciao sincero rock'n'roll, si parla un'altra lingua. E la sensazione di questa prima data del tour è in effetti quella, pericolosissima, di una comunicazione difettosa. Non c'è campo tra il palco e il pubblico, alla prima sventagliata in levare (la processione di sfigati di "Primitivi del futuro") la gente ondeggia; ma con lo scorrere dei nuovi pezzi la musica non comunica più. Toffolo e compagni lo avvertono, e per un'ora e mezza la sensazione è che stiano indossando i vestiti sbagliati: non bastano alcuni buoni episodi come "La cattedrale di Palermo" o "La ballata delle ossa" a riallacciare i contatti, tant'è che il leader parla poco - abbozza un imbarazzante "Come va?" e poco altro fino ai bis. Probabilmente quello per la Giamaica è amore vero, perché alla dichiarazione "siamo la prima band di reggae mascherato!" segue un lungo, lunghissimo dub monocorde che trita i vecchi classici declamati e svuotati. Lo fai solo se sei accecato d'amore. Non basta una mezz'ora dei ritornelli storici urlati, e applauditissimi: I TARM hanno ceduto lo scettro del r'n'r per riposizionarsi in un mondo reggae che non è nella loro voce e nelle loro dita. Se ne sono accorti tutti, sopra e sotto al palco: chissà cosa ci riserverà il futuro. Magari dopo tre giorni i morti risorgono.

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