Il Venusberg all’Opéra

All’Opera e Balletto Nazionale Olandese debutta un nuovo, controcorrente,Tannhäuser

Tannhäuser (Foto Monika Rittershaus)
Tannhäuser (Foto Monika Rittershaus)
Recensione
Tannhäuser
06 Aprile 2019 - 14 Aprile 2019

Il Tannhäuser di Christof Loy alla Dutch National Opera di Amsterdam è un compositore che si confronta con i privilegiati che accedono alle coulisses dell’Opéra (le stanze del retropalco dove avvicinare liberamente le ballerine), esattamente come Wagner dovette fare quando nel 1758 gli esponenti dell’alta aristocrazia del Jockey Club pilotarono il fiasco della sua opera a Parigi.

Secondo il regista, la colpa di Tannhäuser non è quella di offendere la casta Elisabeth: egli è invece ostracizzato perché ha osato dichiarare apertamente l’ineludibilità dell’amore passionale, rompendo un tacito voto di omertà interno al circolo maschile. 

È una lettura disillusa e limpida che ricorda che uomini e donne, per quanto subordinati a consuetudini tendenti a contenerne gli impulsi primordiali,sono fatti di carne e sangue: è qui sviscerata la tensione tra l’artista e le ipocrisie delle strutture sociali poiché è evidenziato l’equivoco del voler far incarnare l’amore erotico nella prostituta e l’agapico nella santa, piuttosto che accettarli come due facce imprescindibili di una stessa medaglia.

L’idea di fondo è ben servita da tutte le componenti della produzione: la scena fissa (Johannes Leiacker) è elegante e non stanca, complici i sapienti cambi di luce (Olaf Winter). Una concertazione di altissimo livello è poi quella di Marc Albrecht in testa all’Orchestra Filarmonica Olandese, cui è coniugata un’interpretazione attoriale molto curata (da Klaus Bertisch), soprattutto nell’apprezzatissimo Wolfram di Björn Bürger, nel sempre ieratico Stephen Milling (nel ruolo del Langravio di Turingia) e nella Venus di Ekaterina Gubanova. L’unico a deludere è invece Daniel Kirch che esagera nell’interpretazione quasi “invasata” del ruolo eponimo, con effetti negativi soprattutto sull’emissione. Elegante la gestione delle masse, anche per la scelta dei costumi (Ursula Renzenbrink): le ballerine sono visioni di memoria degassiana e il coro (che offre finissime cesellature della partitura), ha abiti bianchi e neri (gli uomini) e di sgargianti colori (le donne), tra cui si staglia, candidissima e abbacinante, Elisabeth (Svetlana Aksenova)