Il belcanto dei Puritani affascina il San Carlo
Napoli: l'opera in forma di concerto diretta da Sagripanti
Dopo sette volte nel secolo scorso I Puritani di Bellini debutta in questo nuovo al teatro di San Carlo di Napoli in forma di concerto. Alla prima mercoledì 7 settembre, in un teatro pressocché pieno – nonostante la partita di Champions - partono applausi subito sullo svanire delle ultime note dopo tre atti di intensa drammaticità.
Il direttore, Giacomo Sagripanti, sa bene che il belcanto qui non lascia spazio a declamazione e accenti intrinseci della lingua italiana, ma si estende su lunghe e melodiose successioni di endecasillabi. Per il resto, Sagripanti è ben organizzato nella rete di temi ricorrenti, semplice nei cantabili, delineato nei contorni delle melodie, fortificato dall’asciutta massa orchestrale della partitura, comanda meno bene i volumi – uno svantaggio non essere in buca - elegantemente cura i vari intricati messaggi dei temi, distribuendo gli ariosi dei molteplici personaggi in relazione con le sfumature timbriche dell'orchestra e le continue trasformazioni melodiche della partitura.
Il ritmo è sempre incalzante. Con un fermo senso delle finalità armoniche di quest'opera, in cui sembra che alla pazzia di Elvira segua costantemente un incalzare ritmico, Sagripanti diluisce il tutto – in particolare i vari acuti dei cantanti - in un disordine coerente sempre evidenziando l'essenziale. E come si legge nel programma scritto da Fabrizio Della Seta tratto dal suo Bellini (Il Saggiatore, 2022), che presenterà sabato 10 nel salone degli specchi del teatro: «Il ritmo di danza […] è piuttosto un colore musicale pervasivo che, con sfumature diverse, conferisce unità generale alla partitura».
La squadra dei cantanti è fortemente bilanciata da voci veterane del teatro e dal debutto di Lisette Oropesa. Qualità ne sfoggia la Oropesa, forza e vulnerabilità espressa in un timbro favoloso, pastoso, pieno di ombre e malinconie su di un tappeto di archi e ottoni, mai una sbavatura, mai un'intenzione espressiva o dinamica non riuscita – splendido “morrò d’amor” - canta il ruolo magistralmente. Xabier Anduaga in Arturo, molto brillante con spiccati accenti e acuti voluminosi – come “Sprezzo, o audace, il tuo furore”, in particolare “Vieni fra le mie braccia” - anche di buone sfumature timbriche, vedi il dolce “t’amerò com’io t’amai”,” però a volte attese e non ripagate. Anche la toccante regina di Francia Chiara Tirotta, ideale nello spirito della tragedia, ma soprattutto di intonazione e fraseggio cullanti. Davide Luciano possiede arguzia, verve, non manca niente per essere un perfetto Riccardo. Saverio Fiore tratteggia un discreto Bruno al suo inizio, complesso e cinico ma meno incisivo e virtuosistico nel finale. Invece Nicolò Domini e Gianluca Buratto nei ruoli di Valton e Giorgio, possenti e voluminosi entrambi, il secondo veramente in gran forma. Equilibrati con l’orchestra esaltavano le differenze con il tenore. Poi il coro, nelle scene di massa e di sfogo, canta sempre delineato nei timbri, troppo affrettato a volte nelle parti più balzanti.