Corelli 100: KammerOper alle Muse di Ancona

Donizetti e Puccini per celebrare Franco Corelli

Gianni Schicchi
Gianni Schicchi
Recensione
classica
Teatro Le Muse di Ancona
KammerOper alle Muse
25 Agosto 2021 - 07 Settembre 2021

Si è appena conclusa ad Ancona KammerOper alle Muse, la stagione teatrale diretta da Vincenzo De Vivo e dedicata ai 100 anni dalla nascita di Franco Corelli, a cui la città dorica ha dato i natali.

   L’inaugurazione del 25 agosto  ha visto protagonista Juan Diego Florez in un concerto attesissimo e di gran successo, dove il tenore peruviano, affiancato da Marina Monzó in alcuni duetti,  ha affrontato con la consueta finezza interpretativa alcuni dei titoli che furono di Corelli: Edgardo della Lucia, Faust, Werher, Rodolfo della Bohème.

Florez, che festeggia quest’anno i 25 anni di carriera dal debutto pesarese al ROF del 1996, quando appena 23enne interpretò il ruolo di Corradino in Matilde di Shabran in sostituzione del protagonista  indisposto, ha poi incantato il pubblico in una godibilissima mezz’ora di bis in cui ha messo in risalto altri aspetti della sua splendida vocalità: dalla canzone napoletana a quella in lingua spagnola, accompagnandosi anche con la chitarra. Conclusione del recital con un inaspettato Nessun dorma, che ha fatto presagire un cambiamento di repertorio per il grande divo peruviano.

Il 29  agosto (replica il 31) è poi  andato in scena Il giovedì grasso di Gaetano Donizetti, farsa in un atto su libretto di Domenico Gilardoni rappresentata la prima volta al Teatro del Fondo di Napoli il 26 febbraio 1829, che apparve sulle scene negli anni successivi anche con il titolo alternativo Il nuovo Pourceaugnac,  quando programmata in periodi lontani dal Carnevale. Il soggetto, tratto dal folie-vaudeville in prosa di  Scribe e Delestre-Poirson intitolato Encore un Pourceaugnac ( a sua volta parodia dissacratoria di Mr.  de Pourceaugnac  di Molière) si basa sul meccanismo del travestimento incrociato: Ernesto di Roufignac, ufficiale di Limoges, (tenore, interpretato da David Astorga) giunge a Parigi promesso sposo di Nina,(Carolina Lippo, soprano) che però ama Teodoro (Carmine Riccio, tenore). Sigismondo, alias Piquet, (Simone Alberghini) si mette così a capo di una combriccola di amici di Nina per beffare il pretendente, mascherandosi, dato che è Carnevale, e immaginando che questi sia uno sciocco provinciale. Ma a differenza del Pourceaugnac di Molière Ernesto è scaltro e sta al gioco, fingendosi “sciocchissimo” e vestendosi “da scemo”, come  scrive Gilardoni, e creando così un doppio livello di finzione ed equivoco. Il tutto condito da lettere false e lettere vere, inganni, ingressi inaspettati, falsi tradimenti che creano un clima crescente di confusione e di ilarità sottolineati magistralmente dalla musica: che mette in luce un Donizetti già maturo e in possesso di una scrittura perfettamente aderente alle situazioni teatrali, e che risente inevitabilmente di quella rossiniana, specie nei trascinanti pezzi di insieme. Lo stile musicale coniuga il linguaggio belcantistico dei personaggi di Nina, Ernesto e del Colonnello (il padre di Nina) e quello più schiettamente comico, rapido, realistico,  degli altri personaggi, specie Sigismondo e Cola, entrambi baritoni che si esprimono anche in dialetto napoletano: la parte di Ernesto del resto fu pensata per un grande divo del belcanto,  Giovan Battista Rubini. Alla prima ripresa dell’opera , nel 1830, il cast cambiò totalmente  e Donizetti scrisse un’aria alternativa per il personaggio di Sigismondo, che vedeva sul palcoscenico Antonio Tamburini al posto di Luigi Lablache.

L’allestimento anconitano ha il merito di aver portato in scena in prima esecuzione moderna quest’operina del compositore bergamasco in una inedita versione  del libretto e della musica, secondo una recentissima edizione critica  a cura di  Giovanni Sparano e Alvise Zambon, allievi di OperaStudio del Conservatorio di Venezia, fondata sulla collazione delle fonti di Siena, Cagliari, Milano, Napoli e Parigi: tra le novità più evidenti, i recitativi in luogo dei dialoghi parlati, l’uso del dialetto, un recitativo accompagnato di Ernesto prima del duetto con Nina, e soprattutto l’aria aggiuntiva inedita di Sigismondo,  in italiano,  che andava a sostituire quella in napoletano della prima versione, musicalmente derivata da quella e conservata alla Nazionale di Parigi .

Le scelte registiche di Francesco Bellotto e la scena di Lucio Diana hanno voluto che l’opera si dipanasse nello spazio del proscenio, con un pianista a vista che accompagna i recitativi e l’orchestra alle spalle dei cantanti che ricalcano la recitazione degli attori della farsa napoletana, la loro gestualità enfatica e la postura frontale come anche i  trucchi, le parrucche e i costumi, ottocenteschi, a cura di Stefania Cempini e Lucio Diana. Farsa napoletana non teatrale, ma cinematografica, quella di Totò  e De Sica per intenderci, ultimo esempio di un genere che ci è dato conoscere solo attraverso quella tipologia, come sottolinea Bellotto. La scarsa visibilità del gesto del direttore Sebastiano Rolli, alla guida dell’Orchestra Sinfonica Rossini, non ha impedito al cast, tra cui si deve menzionare anche Chiara Notarnicola in Stefanina, Giorgi Manoshvili nel Colonnello, Davide Bartolucci in Cola, Lorenzo Venturini nel cameriere, di interpretare in maniera brillante e spassosa, oltre che precisa, la partitura, che come si è detto risulta complessa nelle arie belcantistiche  e nella polifonia dei pezzi di insieme e richiede mature abilità attoriali.

Ancora ad un raro Donizetti è stato dedicato il secondo appuntamento della stagione, il 5 settembre (con replica il 7): Il Conte Ugolino, composizione difficilmente ascrivibile ad un genere preciso, per voce e pianoforte,  composta il 10 aprile 1826, quando ancora il compositore non aveva raggiunto i vertici della carriera, e dedicata al  basso napoletano Lablache allora già celebre forse per ingraziarselo, perché di lì a pochi mesi sarebbe apparso nel cast di Elvida insieme ad altre star del momento, Giovan Battista Rubini e Henriette Méric-Lalande. Se il notissimo passo dantesco costituisce banco di prova per ogni attore che voglia cimentarsi nell’arte della declamazione, il fascino i questi versi e la loro insita teatralità non hanno meno influenzato i musicisti, a partire dal leggendario Conte Ugolino di Vincenzo Galilei fino alle intonazioni ottocentesche che hanno preceduto e seguito quella donizettiana, tra cui si annoverano tra le altre quella di Zingarelli (del 1805, e che è la prima), di Morlacchi, di Confidati, di Agnelli e di Benvenuti. Lo stesso Lablache, esponente insieme a Rubini, alla Grisi e a Tamburini, di una generazione di cantanti molto attenta alla cura della attorialità ed abituata ad partecipare a serate in cui ci si esibiva non solo nel canto ma anche nella recitazione, accolse la composizione nel proprio repertorio.

Il manoscritto autografo dell’opera, che è conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Milano, ha goduto di diverse pubblicazioni  da parte di editori non solo italiani ed è stato ripreso da un allievo di Donizetti, Marcello Pepe, che ne realizzò nella seconda metà dell’800 due versioni: la prima per quartetto d’archi, che riprende l’originale per voce e pianoforte (forse solo un abbozzo destinato a successiva orchestrazione,  vista la natura della scrittura pianistica) ma senza la linea vocale, a suggerire forse l’interpretazione con una voce recitante anziché cantante; la seconda per orchestra classica, realizzata per intero solo nella parte iniziale e che per  questa prima esecuzione in epoca moderna ad Ancona è stata completata da Paola Magnanini. La linea vocale, eseguita  con fluente espressività da Luca Dall’Amico, la cui straordinaria presenza scenica è stata valorizzata dalle luci di Lucio Diana, è una libera declamazione intonata che interpreta gli endecasillabi danteschi con gli espedienti tipici della recitazione in prosa: ripetizione di parole e porzioni di versi, traduzione sonora di figure retoriche, diversità di tono tra discorso diretto ed indiretto. L’accompagnamento orchestrale segue a sua volta i contenuti del testo, creando un clima sinistro  e orrorifico, come accade con il la grave toccato sull’ultimo celeberrimo verso del discorso diretto di Ugolino, anche se a volte alcune emersioni cantabili stridevano con la drammaticità del testo.

L’omaggio a Dante è stato completato  da un altro capolavoro dedicato al grande fiorentino, il Gianni Schicchi che Puccini ha tratto dal XXX canto dell’Inferno. La regia di Marco Baliani ne ha realizzato una messinscena, nuova produzione della Fondazione Teatro delle Muse,  davvero divertente e giocosa, con un bravissimo Sergio Vitale nei panni del protagonista, insieme a Veronica Granatiero in Lauretta e Pietro Adaini in Rinuccio,  entrambi dotati di belle voci   e spigliati nella recitazione. Il gruppo dei parenti, ognuno ben tratteggiato nella personalità, (Mariangela Marini in Zita, Alessandro Fiocchetti in Gherardo, Zuzanna Klemanska in Nella, Eugenio di Lieto in Betto Di Signa, Luca Dall’Amico in Simone, Matteo Torcaso in Marco, Maria Krylova in La Ciesca) così come il personaggio del notaio e dei testimoni (Davide Bartolucci, Johnny Ronan Bombino e Pier Silvio De Santis), hanno saputo valorizzare con bravura i vivaci dialoghi attraverso la gestualità amplificata e la vocalità ben caratterizzata di ognuno. Scene e luci erano di Lucio Diana, i costumi di Stefania Cempini e Lucio Diana. Applausi per tutti, anche per l’Orchestra  Sinfonica “Rossini”, posta anche per questo spettacolo sul palcoscenico, dietro la scena, e diretta da  Marco Guidarini.

 

 

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