Aida ha l'horror vacui

Grande accoglienza per Aida che aperto la stagione scaligera con Chailly per la prima volta sul podio a Sant'Ambrogio e la regia di Zeffirelli

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
07 Dicembre 2006
L'attesa non è andata delusa. Messa in scena doppiamente faraonica secondo la cifra di Zeffirelli, buona prova dell'orchestra che con Chailly trova un piglio deciso eppure parsimonioso nelle gradazioni dinamiche, cast di primo piano, grande accoglienza del pubblico. Generoso di applausi per il direttore, per il regista osannato a fine spettacolo e talvolta un po' avaro coi cantanti nel corso della rappresentazione. L'Aida che inaugura la stagione scaligera ha comunque tutte le premesse per diventare un titolo di repertorio, soprattutto esportabile. Insomma un "en plein" della sovrintendenza, che rende omaggio alla storia della Scala. Salvo che ripensando allo spettacolo in sé rimane la sensazione che non sia andato oltre una rutilante apparenza. Già Aida è per metà un'opera di ingombri scenici, ma allo scotto tradizionale qui si aggiunge una sorta di horror vacui che non lascia libero un centimetro quadro e finisce per affaticare con ori, argenti, corpi umani, tubi orizzontali abbacinanti, incensi veri che spandono profumi in sala. L'accumulo di fastosità avviene subito ed è tale da annullare il crescendo di effetti, dall'investitura di Radamés al ritorno trionfale, e da rendere sbiadite molte intuizioni registiche. Una per tutte: l'invocazione a Ftha, alla fine del secondo e quarto atto, accompagnata dall'apparizione di aironi neri, nunzi di morte alle "tigri infami" della casta sacerdotale, ma spogliati di senso dagli eccessi scenici. Non a caso il momento più convincente è l'inizio dell'ultimo atto, col palazzo semideserto e Ildiko Komlosi che dà ottima prova drammatica come Amneris. Quanto agli altri interpreti, Violeta Urmana nei panni della protagonista è sempre corretta, ma distaccata dal personaggio: "Oh patria mia" passa come nulla fosse, senza tramettere emozione alcuna ed è un vero peccato. Roberto Alagna (Radamès), che pure conserva una voce calda e seduttiva, manca di eroicità, mal si addice alle situazioni trionfal-bellicose, mentre è a suo agio in quelle private o sepolcrali. Anche se guarda più sovente il podio che gli interlocutori: quando Amonasro gli si svela come il re nemico, per lui dovrebbe essere uno choc, eppure non lo degna di uno sguardo, fa il tenore e si rivolge solo a Chailly e alla sala. Da parte sua Carlo Guelfi (Amonasro), che è l'unico a infondere tensioni in scena, le attinge un po' troppo dall'opera verista. Una nota doverosa per i balletti dove Myrna Kamara e Roberto Bolle offrono un elegante exploit di selvatichezza etiope; Luciana Savignano è invece una presenza quasi continua in tutta l'opera, quale misteriosa e ieratica officiante. Sembra quasi una enigmatica conduttrice di tutta la vicenda.

Note: ATTENZIONE SOSTITZIONE Ramfis è interpretato da Giorgio Giuseppini

Interpreti: Il Re: Marco Spotti, Carlo Cigni; Amneris: Irina Makarova, Irina Mishura; Ildiko Komlosi; Aida: Violeta Urmana, Hui He; Radames: Roberto Alagna, Antonello Palombi, Yu Qiang Dai; Ramfis: Giorgio Giuseppini, Giorgio Giuseppini; Amonasro: Carlo Guelfi, Vittorio Vitelli; Messaggero: Antonello Ceron, Ki Hyun Kim; Sacerdotessa: Sae Kyung Rim, Giacinta Nicotra; Danzatori: Roberto Bolle, Myrna Kamara, Luciana Savignano

Regia: Franco Zeffirelli

Scene: Franco Zeffirelli

Costumi: Maurizio Millenotti

Coreografo: Vladimir Vassiliev

Direttore: Riccardo Chailly

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