Il retrò (senza nostalgia) di Jessica Pratt

Quiet Signs, il delizioso terzo album della cantautrice californiana Jessica Pratt

Jessica Pratt - Quiet Signs
Jessica Pratt
Disco
pop
Jessica Pratt
Quiet Signs
City Slang
2019

Certi dischi, anziché sorprendere per l’originalità formale o l’azzardo dell’esperimento, incantano con limpida semplicità, affidandosi al gusto e all’ispirazione. Così è nel caso del terzo lavoro realizzato dalla trentunenne cantautrice californiana Jessica Pratt, uscita per la prima volta dal rifugio delle mura domestiche, dove aveva registrato i precedenti.

Quiet Signs è dunque diverso da quei due album, ancorché in maniera impercettibile, appena più rifinito nella cura del suono e ricco negli arrangiamenti: pianoforte, organo, flauto e archi simulati al sintetizzatore, oltre a voce e chitarra. Canzoni esili ma niente affatto inconsistenti: nove in tutto, per un totale inferiore alla mezz’ora. Un tratto di essenzialità che rispecchia lo schema di scrittura: lineare senza risultare banale, classico ma non ovvio. Ricorda nelle fattezze alcune colleghe del passato, perlopiù minori: le connazionali Karen Dalton e Judee Sill, oppure la misconosciuta tedesca Sibylle Baier. Musica talmente leggera, quella di Jessica Pratt, che pare sia in grado di levitare: dotata d’ineffabile fascino retrò, eppure affrancata da intenzioni nostalgiche. Prendiamo ad esempio “This Time Around”, incaricata a fine ottobre di anticipare il resto: una ballata diafana e tuttavia intensa, nella quale percepiamo il desiderio di riscatto di una donna che “portava sulla faccia i segni degli strani anni perduti”.

Ad aprire la sequenza è un episodio pressoché strumentale, guidato dal piano e omonimo al film diretto da John Cassavetes nel 1977, “Opening Night”: riflessione sull’invecchiamento e la caducità delle cose in scala cinematografica. Sviluppando i medesimi accordi alla chitarra, la successiva “As the World Turns” introduce il canto miagolante di Jessica Pratt, sensuale e naïf. Ecco poi “Fare Thee Well”, fra gli apici della raccolta: brumoso come certo folk inglese d’antan. In “Here My Love” e “Poly Blue” si capta invece un’eco lontana che sa di bossa nova, mentre “Crossing” ha quasi cadenza da minuetto. Chiude il programma “Aeroplane”, increspata da riverberi ed elettricità infinitesimali: “Il destino dev’essere dalla mia parte”, cinguetta la protagonista. Una vera squisitezza.

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