Joe Strummer, l'amico ritrovato

Un cofanetto di 32 canzoni pre e post-Clash per riscoprire la grandezza, non solo di autore, di Joe Strummer

Joe Strummer
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All’epoca non lo capimmo ma i Clash cominciarono a morire nel 1982 quando, dopo l’uscita di Combat Rock, il loro disco di maggior successo commerciale, diedero il benservito al batterista Topper Headon, la cui tossicodipendenza non era più gestibile e in più rendeva difficile andare in tour.

Alla fine delle conseguenti date in giro per il mondo Terry Chimes, batterista originario del gruppo richiamato a prendere il posto di Topper, se ne andò e i rapporti tra gli altri tre peggiorarono ulteriormente, con lo zampino del manager Bennie Rhodes, intenzionato a prendere il posto di Jones nel gruppo (“So You Want to be a Rock’n’Roll Star”, avrebbero commentato i Byrds). La situazione precipitò il 5 settembre del 1983 quando Joe Strummer e Paul Simonon estromisero Mick Jones dal gruppo; i due reclutarono altri due musicisti, andarono in tour e alla fine del 1984 registrarono a Monaco di Baviera un nuovo album, uscito l’anno seguente. Di Cut the Crap si salva solo il titolo, “Basta stronzate”.

Joe Strummer

La fine era inevitabile e nel corso dell’anno Strummer annunciò lo scioglimento dei Clash: “The only band that matters”, come aveva titolato NME, era morta, dead, muerta.

Nel frattempo Jones aveva formato, con l’amico di lunga data Don Letts, i Big Audio Dynamite: i primi due album, uno nel 1985, This Is Big Audio Dynamite, e l’altro, No. 10, Upping St. l’anno seguente (co-prodotto da Strummer, che nel frattempo si era pentito di aver licenziato il compagno di tante battaglie e si era adoperato per ricostruire un rapporto con lui) fecero ben sperare, con le loro sonorità elettroniche e black, ma i dischi successivi passarono quasi inosservati.

Sì, ma Strummer? Rimane un mistero come l’architetto di una delle migliori band del mondo (almeno dal 1977 al 1982) sia potuto finire nel dimenticatoio: diciamo che la lenta agonia del gruppo e i quattro anni di silenzio fino alla realizzazione del suo album solista Earthquake Weather sicuramente hanno giocato la loro parte. E anche negli anni seguenti la storia non è cambiata di molto: sono sicuro che, se chiedessi ai fan dei Clash i titoli dei dischi di Strummer con i suoi Mescaleros, in pochi saprebbero rispondermi (faccio il furbo ma anch’io, prima di essermi documentato per scrivere quest’articolo, avrei avuto le mie difficoltà).

E allora questo cofanetto pubblicato da Ignition – e intitolato Joe Strummer 001  –rimette le cose al loro posto e ci aiuta gettare uno sguardo intimo all’interno dell’eclettismo compositivo di Strummer, dal rockabilly dei 101ers al reggae/dub (bella la versione di “Ride Your Donkey”, portata al successo in Giamaica dai Tennors e presente nel suo album d’esordio), dal punk alle canzoni composte per colonne sonore, dalla musica centro e sudamericana al country, dal folk irlandese (per un breve periodo Strummer ha preso il posto di Shane McGowan nei concerti dei Pogues) ai duetti con Johnny Cash (“Redemption Song”) e Jimmy Cliff (“Over The Border”).   

Ma i momenti più emozionanti sono racchiusi nel secondo disco della raccolta, a partire da una versione per sola voce e chitarra acustica di “Letsagetabitarockin'”, brano di apertura di Elgin Avenue Breakdown Revisited, unico album dei 101ers, una raccolta uscita postuma nel 2005 e curata da Lucinda Tait, moglie di Strummer, e dal batterista Richard Dudanski; c’è “Czechoslovak Song/Where is England”, una versione grezza di “This Is England”, probabilmente il pezzo migliore di Cut the Crap, ci sono due versioni di “Pouring Rain”, canzone che non trovò posto in quello stesso album.

C’è “London Is Burning” (da non confondere con “London’s Burning”, presente nell’album d’esordio dei Clash), in una versione del 1984, più grezza di quella definitiva incisa coi Mescaleros, c’è la bellissima “The Cool Impossible”, c’è “U.S. North”, brano di dieci minuti con la voce di Mick Jones composto per la colonna sonora di “Sid & Nancy” e mai pubblicato, e soprattutto c’è la trascinante e struggente “Rose Of Erin” (e il pensiero corre a “Sandinista!”), una di quelle canzoni che Strummer avrà cantato di fronte a un falò sulla collina di Glastonbury, una di quelle che può cantare solo chi ha ballato il “valzer del ribelle”.

Per anni avevamo considerato la presenza di Strummer come una cosa che comunque ritenevamo come garantita, almeno fino a quella mattina del 22 dicembre 2002 quando la notizia della sua morte ci riportò a una realtà ben diversa: Strummer non c’era più e noi l’avevamo trascurato, il dolore si univa alla vergogna. Viviamo un periodo cupo e la curiosità per le differenze, l’apertura mentale, l’anti-autoritarismo, l’internazionalismo (ecco, l’ho detto) di Joe, l’amico ritrovato, ci mancano maledettamente. Di anni ne sono passati ma Londra continua a chiamare.

P.S. Per chi sarà a Londra nei prossimi giorni sarà possibile visitare fino al 14 ottobre la mostra Strummer Calling, dove sarà possibile vedere una parte del suo ricco archivio. Fred Perry, 9 Henrietta Street, London, W2C2 8PW (metropolitana Covent Garden). 

«Non scrivete slogan, scrivete verità» (Joe Strummer)

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