Jazzfest a Berlino, un ritorno proiettato verso il futuro
Al via il 3 novembre la 59esima edizione del festival jazz berlinese Moving Back / Forward
Ritorna finalmente in presenza, dopo le edizioni ibride del 2020 e 2021, lo storico Jazzfest Berlin, che festeggia quest’anno il suo 59esimo compleanno: dal 3 al 6 novembre prossimi ad attendere il pubblico – nella sede storica dei Berliner Festspiele, ma anche nei più intimi club A-Trane e Quasimodo, o nella chiesa della memoria Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche – sarà un fittissimo programma, con più di trenta concerti, incontri giornalieri con musicisti e una grande festa-concerto, venerdì 5 novembre, che coinvolgerà nei vari spazi della Festspielhaus molti degli artisti presenti.
Ritorno in grande stile dunque – moving back, come recita la prima parte del titolo dell’edizione 2022 – ma anche sguardo orientato in avanti, cogliendo i frutti di nuovi rapporti intrecciati nel tempo sospeso delle due passate edizioni, e costruendo su di essi una rassegna che si presenta come quantomai ricca e stimolante, aperta alle nuove voci e alle culture del nostro tempo, ma sempre con uno sguardo alle radici, continuamente riscoperte e rinnovate all’insegna della ricerca e dell’improvvisazione.
Non deve quindi stupire la scelta di Nadine Deventer – dal 2018 direttrice artistica del festival, a cui andava l’anno scorso il premio dello Europe Jazz Network “European Award for Adventurous Programming” – di proporre un primo filo rosso sul connubio tra jazz e improvvisazione da un lato, e musica folk tradizionale dall’altro, con una prospettiva privilegiata sull’Est europeo: un percorso organico e per nulla scontato, che vedrà accomunati veterani quali John Surman, Lucian Ban e Mat Man (Transylvanian Folk Songs) e formazioni di recente costituzione come gli olandesi Black Sea Song, passando per l’armeno Gurdjieff Ensemble e il quartetto franco-polacco Lumpeks, per arrivare ai canti di lavoro emiliano-romagnoli con Deborah Walker e Silvia Tarozzi.
Come da tradizione a Berlino, non mancheranno poi le occasioni di confrontarsi con il jazz made in U.S.A.: jazz di ricerca e di passione, jazz che non dimentica le radici della diaspora e del passato più recente, con musicisti del calibro di Craig Taborn, Hamid Drake e il suo Turiya dedicato ad Alice Coltrane, Tomeka Reid in un quartetto che riprende le musiche di Julius Hemphill o, ancora, Matana Roberts, da anni impegnata con il progetto Coin Coin in una ricerca sulla memoria storica del popolo afroamericano, filtrata da vicende familiari. Artisti di grande spessore, a cui si affiancheranno – per la prima volta al Jazzfest – nomi come Immanuel Wilkins, di stanza a New York, e i chicagoani Isaiah Collier (in solo e col quartetto The Chosen Few) e Ben LaMar Gay, a testimoniare il suono propulsivo delle giovani generazioni, tra tradizione e innovazione, continuità e rottura, e pluralità di culture musicali.
Ampia presenza di artisti dalla Wind City – dove nasceva a metà degli anni Sessanta la AACM, e dove da tempo è attiva l’avventurosa etichetta indipendente International Anthem, che accoglie nel suo catalogo molti degli artisti presenti a Berlino – dunque, e un eco di impulsi spirituali e di impegno civile e protesta che risuona e si collega idealmente alla tradizione del jazz sudafricano, proposto a Berlino con il batterista Asher Gazmede (al debutto come titolare nel 2020 con Dialectic Soul) e con il collettivo di Johannesburgh The Brother Moves on. Radicalismo e spiritualità, allora, e l’espressione musicale che ne deriva, come si legge nella preziosa e approfondita guida digitale disponibile sul sito del festival.
Europa, Nordamerica, Africa e ritorno: il vecchio continente sarà solidamente presente a Berlino anche con figure storiche del free jazz europeo come Peter Brötzmann (al fianco di Hamid Drake e Majid Bekkas) e Alexander von Schlippenbach (nel nuovo quartetto del portoghese Rodrigo Amado, The Bridge), e con un ampio omaggio, con due concerti (tra cui una performance di Schäumend, ouverture per 15 estintori!) e un documentario, a Sven-Åke Johansson, altra figura centrale del free nella Germania degli anni Sessanta e Settanta, ma sempre attivo, da allora, su versanti multiformi a cavallo tra musica e arti visive e performative.
Anche nel caso dell’Europa, ampio spazio sarà dedicato alla nuova scena jazz, con improvvisatori e improvvisatrici – fitta in quest’edizione la presenza di musiciste, ulteriore motivo di interesse per il festival berlinese – che sempre più si stanno facendo apprezzare in Europa e a livello internazionale. Prima fra tutte, la danese Mette Rasmussen, che, dopo anni di militanza nella Fire! Orchestra di Gustafsson e diversi progetti in solo e in duo, porterà a Berlino il suo Trio North (con il sodale Chris Corsano e Ingebrigt Håker Flaten); o, ancora, la pianista estone Kirke Karja (vincitrice in Italia del Premio Gaslini nel 2021), la batterista coreana Sun-Mi Hong – una delle protagoniste del panorama jazz di Amsterdam, dove vive – in quintetto, e la batterista greca ma berlinese d’adozione Evi Filippou (già in trio con Lara Alarcón e Maria Portugal, quest’ultima presente al festival con i brasiliani Quartabé), che si esibirà in uno dei concerti d’improvvisazione proposti nella mattinata di domenica 7 novembre, come da consuetudine pre-pandemica, nel setting informale di librerie, enoteche e gallerie d’arte nei dintorni della Festspielhaus.
In questa ricchissima panoramica europea, infine, non potevano mancare uno sguardo alla Scandinavia, con Gard Nilssen e la sua Supersonic Orchestra, né l’attenzione verso la scena germanica e soprattutto berlinese, tipicamente cosmopolita e musicalmente poliglotta, tra cui spicca il collettivo Umlaut (fondato nel 2004 a Stoccolma, ma con diramazioni anche a Parigi e Berlino), presente al festival in diverse costellazioni (il già citato trio di Sven-Åke Johansson, il quartetto Die Hochstapler e la Umlaut Big Band).
Impossibile, va da sé, menzionare in questo contesto tutti gli artisti che saranno presenti a Berlino, come da programma: ne parleremo però prossimamente, al ritorno da un festival che si prospetta anche quest’anno avventuroso, quanto solido, in una visione del jazz e della musica creativa lontana da compromessi, radicata nel contesto culturale, storico e politico da cui emerge, e proiettata verso il superamento dei propri limiti.
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