Una canzone di protesta per l'era digitale

Antony diventa Anohni, e canta la disperazione del Sogno Americano

Articolo
pop

Anohni
Hopelessness
Rough Trade

Intitolare un disco alla “disperazione” non è esattamente una mossa accomodante. Ma Anohni, che un tempo conoscevamo come Antony Hegarty, non se ne preoccupa: ha aspirazioni più elevate dal mostrarsi artista gradevole e di successo. Intende esprimere convinzioni e apprensioni. E poiché si dice “stanca di essere in lutto per l’umanità”, sfoga il proprio disagio esistenziale in musica.



Che cosa l’angoscia? Il riscaldamento globale, la pena di morte, la sorveglianza di massa, la guerra per procura tecnologica simboleggiata dai droni… Ciò per cui qualsiasi persona dotata d’intelletto dovrebbe provare inquietudine. Si dichiara amaramente delusa da Obama, intonando un’ombrosa litania con modulazione quasi baritonale, e in definitiva certifica la metamorfosi in Incubo del Sogno Americano seguita all’11 settembre. Usando una terminologia desueta, potremmo chiamarla “canzone di protesta”. Gli anni Sessanta distano però mezzo secolo ormai e il mondo è cambiato radicalmente. Ragion per cui, affrontando con audacia il mutamento (nel suo caso anche anagrafico e di genere), Anohni ha scelto di allontanarsi dal contesto neocameristico tipico dei Johnsons, accanto a lei per tutto il decennio scorso, affidando l’ambientazione musicale del proprio dissenso, espresso – sia chiaro – con formidabile forza poetica, a due fra le intelligenze migliori del suono contemporaneo: Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never) e Ross Birchard (Hudson Mohawke).



La dialettica fra la sua voce emotiva e gli algidi paesaggi sonori che l’accolgono costituisce l’essenza artistica dell’opera. “Un album elettronico con qualche dente aguzzo”, l’ha definito lei stessa. Se quanto affermato fin qui può far pensare a un ascolto ostico, è bene chiarire che così non è. Hopelessness offre momenti di bellezza sublime: la solennità maestosa di “4 Degrees”, il toccante spleen digitale di “Execution” e “Why Did You Separate Me From Earth”, lo struggente e sontuoso lirismo di “Marrow”. E quando ci si sposta per un istante dai massimi sistemi verso la sfera dei sentimenti individuali, ecco una ballata per misurare l’infrangibilità del cuore come “I Don’t Love You Anymore”. Per farla breve: un disco gigantesco.

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