A Sanremo tutti parlano di Blanco

Il caso del giorno è Blanco che ha preso a calci dei fiori (e che ci spiega molto di come valutiamo le performance pop)

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A Sanremo tutti parlano di Blanco. Era prevedibile, l’aveva già intuito un amareggiato Morandi durante la diretta: «Domani tutti discuteranno di questo, e non delle belle canzoni…». 

Qualunque cosa avvenga a Sanremo genera discorsi, soprattutto quelle cose – le poche – che non sono incastrate nella rigida ingessatura della scaletta. Lo scopo di Sanremo, e non lo scopriamo certo oggi, non è solo quello di promuovere canzoni, ma di far parlare di se stesso.

O meglio: le canzoni esistono e hanno senso in funzione del contenitore-Sanremo, e non viceversa. Il caso Blanco ce lo ricorda, ma ci ricorda anche i limiti del modo in cui interpretiamo e valutiamo la musica pop.

Le canzoni esistono e hanno senso in funzione del contenitore-Sanremo, e non viceversa. Il caso Blanco ce lo ricorda, ma ci ricorda anche i limiti del modo in cui interpretiamo e valutiamo la musica pop.

Il riassunto rapido, per chi fosse morto o fuori dall’Europa (in realtà fuori dal pianeta Terra, visto che Sanremo quest’anno trasmette in tutto il mondo).

Blanco, non in gara, sale sul palco per presentare il suo nuovo singolo “L’isola delle rose” (nel cui video, peraltro, a un certo punto devasta un roseto). Intorno a lui sul palco dell’Ariston ci sono molte rose. Troppe rose. Il brano comincia, Blanco non sente nulla nel monitor in-ear (la posizione ufficiale di Rai: gliene era stato dato uno sbagliato). Si innervosisce e a metà del pezzo prende a calciare le suddette rose. I suoi musicisti continuano. Blanco calcia ancora,  smette di cantare, si accanisce su vasi e supporti vari. Scivola goffamente su resti di fiori maciullati e cade. Si rotola per terra. Il pubblico fischia.

La performance – e la parola performance non la scelgo a caso – non sembra preparata… O almeno non del tutto. Amadeus in conferenza stampa spiegherà che «era prevista una performance di qualche tipo. Sapevo che avrebbe fatto qualcosa, probabilmente si sarebbe rotolato, sarebbe andato sulla batteria…». Insomma, cose che Blanco fa abitualmente dal vivo. L’impressione è che la cosa fosse in piccola parte studiata, ma che sia scappata di mano, innescata dal problema tecnico.

E da qui esplode il rumore di fondo dei discorsi intorno alla performance di Blanco, che – come gli etnomusicologi ben sanno – spesso sono molto più interessanti della performance in sé. 

Se era tutto preparato, allora Blanco è inautentico, dunque falso, dunque da valutare negativamente. Alcuni ricordano che già Pete Townshend spaccava le chitarre, per sostenere che «lo abbiamo già visto», non c’è nulla di nuovo, è banale (avrebbero anche potuto citare il Destruction in Art Symposium promosso a Londra da Gustav Metzger nel 1966 – ma insomma, ci siamo capiti). Era già successo la prima volta che i Måneskin hanno spaccato una chitarra sul palco: nell’estetica modernista del nuovo, ciò che è già stato fatto o è omaggio, o è plagio.

Se invece la performance non era preparata, Blanco ha sbagliato, è un ragazzino viziato che non si sa comportare, o un pessimo professionista perché non è in grado di cantare senza la base nelle orecchie. L’aggettivo che si sente di più in giro è però maleducato. Uno strano aggettivo, per parlare di un performer, no? 

L’aggettivo che si sente di più in giro è però maleducato. Uno strano aggettivo, per parlare di un performer, no? 

In ogni caso, per quanto il dibattito fra complottisti e spontaneisti impazzi, non è poi così interessante sapere se il tutto fosse o meno costruito a tavolino. O meglio: l’ambiguità è necessaria a innescare i discorsi intorno a Blanco e al festival, e nell’analisi andrebbe accettata così com’è.

Invece è proprio qui che subentra uno dei tic più interessanti che tutti noi sembriamo avere quando parliamo di musica – e Sanremo, come spesso avviene, è un amplificatore di questi meccanismi. 

Mi riferisco al peccato originale della critica pop, ereditato tutto intero dall’universo dei social: quello di interpretare un evento quale l’azione di un cantante su un palco –una performance, appunto – attraverso categorie morali. E di valutare la performance stessa, e il cantante, in termini non di “bello vs. brutto” ma di “buono vs. cattivo” – o addirittura di “buona vs. cattiva educazione”.

Il peccato originale della critica pop, ereditato tutto intero dall’universo dei social: quello di interpretare un evento quale l’azione di un cantante su un palco –una performance, appunto – attraverso categorie morali.

A un certo punto, la conferenza stampa del mattino (che ovviamente verte soprattutto sull’affaire Blanco) prende una piega quasi lisergica.

Citando a caso dai miei appunti.

Il sindaco di Sanremo Alberto Biancheri che chiede le scuse di Blanco «perché dietro ogni bouquet di fiori c’è un lavoro di anni del comparto floricolo». L’assessore che gli fa eco invocando «il rispetto del lavoro e della fatica della gente che lavora nelle campagne di Sanremo». Qualche collega sollecita un editto di esclusione pluriennale, paragonando il gesto di Blanco a quello di Will Smith (che però aveva dato una pizza in faccia a Chris Rock, reato penale, e non calciato un paio di bouquet, per quanto fossero il frutto di anni di lavoro). Amadeus, con espressione compunta, interviene per dire che in fondo Blanco «è giovane, da giovani si fanno errori». Che «lui ha sbagliato, e lo sa lui per primo». 

I fiori diventano simbolo di qualcos'altro, il gesto di Blanco viene caricato di nuovi significati. Si potrebbe dire che la performance ha semplicemente funzionato bene...

Ma le domande dei giornalisti insistono: il cattivo esempio dato ai ragazzi è evidente, e in particolare alle ragazze, che i dati auditel dicono essere il pubblico più in crescita (con il 78,82% di share nella fascia 8-14). Insomma, ancora una volta – come ogni anno – «Perché, perché nessuno pensa ai bambini?».

Al culmine del processo pubblico, giunge poi la notizia che lo stesso Blanco ha pubblicato una generica scusa via social, scampando così al pubblico rogo offerto dal main sponsor del Festival (su pira rigorosamente a zero emissioni).

Insomma, se qualcuno fosse entrato in sala stampa senza conoscere il pregresso, avrebbe potuto immaginare che Blanco avesse sgozzato un pipistrello sul palco bevendone il sangue («Ma lo hanno già fatto!») mentre orinava sulla costituzione italiana (che è una Repubblica fondata sul lavoro, anche quello dei floricoltori) e sullo stemma della Regione Liguria tutti arrotolati insieme, mentre con la mano libera offriva delle caramelle alla droga ad alcuni minorenni.

In realtà, aveva semplicemente compiuto un’azione su un palco. Che come tale andrebbe interpretata, e valutata.

La maleducazione c'entra poco, non credete?

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