Roberto Abbado sul podio della Filharmonie a Campi Bisenzio

La bella realtà di un'orchestra, fondata da Nima Keshavarzi, che si è autocostituita come cooperativa

Roberto Abbado (Foto Yasuko Kageyama)
Roberto Abbado (Foto Yasuko Kageyama)
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La notizia è che Roberto Abbado stasera, martedì 18 dicembre, dirige a Campi Bisenzio, e non al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ! Il motivo è una giovane orchestra che si è autocostituita in forma di cooperativa, La Filharmonie, fondata dal giovane direttore iraniano Nima Keshavarzi, composta da musicisti sotto i trentacinque anni, e di cui è mentore fin dalla fondazione proprio Roberto Abbado, di cui Keshavarzi è stato assistente in numerose produzioni.

    L’orchestra cura da quest’anno l’offerta musicale del Teatro Dante – Carlo Monni di Campi Bisenzio, grosso paese nella piana ad ovest di Firenze. Vogliamo parlare di questo teatro perché ci sembra un paradigma di un’Italia minore ma vitale, disavventurata ma sempre memore delle tradizioni nazionali, tra crisi e rinascite. Sorse nell’Ottocento per iniziativa dell'Accademia dei Perseveranti e fino alla seconda guerra meritò a Campi una fama di piccola roccaforte della melomania, nota per un pubblico di contentatura così difficile da gareggiare col loggione del Regio di Parma, su cui fiorirono le leggende, tanto che si racconta addirittura di tenori inseguiti sulla strada maestra dal pubblico inferocito... Poi, negli anni ‘50, lo sventramento e la trasformazione in cinema, la lunga decadenza, e infine l’acquisto da parte del Comune e il lancio di un azionariato popolare per finanziare il restauro,  la riapertura nel 2007 con una ristrutturazione radicale e una capienza di quasi cinquecento posti, con Alessandro Benvenuti primo direttore artistico, dal 2014 la doppia dedica a Dante e al campigiano Carlo Monni, il partner indimenticabile - per noi toscani lo è di sicuro - di Roberto Benigni, e oggi una programmazione mista, con una bella stagione di prosa curata da Andrea Bruno Savelli, una scuola di teatro, le produzioni del Nuovo Balletto di Toscana, e ora anche la musica, con i diversi progetti della Filharmonie, tra eventi sinfonici (il primo è stato in ottobre) e un fitto percorso di eventi cameristici e di programmi per la scuola. Con questa “cronaca del luogo” e con la forma sociale che ha assunto, non fa meraviglia che La Filharmonie abbia il sostegno di Legacoop Toscana (ma anche il Mibact l’ha ha ammessa fra i soggetti da finanziare). Ne parliamo con Roberto Abbado.

 Maestro, è un piacere che sia di nuovo da queste parti, ma non al Teatro del Maggio, al teatro di Campi Bisenzio, che ha gloriose tradizioni liriche del tempo che fu, ma per quel che riguarda il repertorio sinfonico e cameristico c’è un pubblico tutto da costruire e coltivare. Certamente la sua è stata una scelta ponderata e anche, in un certo senso, politica…

«Mi pare che qui stia succedendo qualcosa di bello e di insolito. E proprio in Italia dove i teatri, le orchestre, i cori sono sempre minacciati di chiusura. Abbiamo dei giovani che si sono mossi, è un’iniziativa importante. Nima Keshavarzi è un amico, l’ho conosciuto proprio a Firenze per alcune mie produzioni al Teatro del Maggio, e poi mi ha seguito anche altrove». 

Questa forma della cooperativa…

«Non è più un’eccezione in Italia, ad esempio anche il Coro del Regio di Parma si è costituito in cooperativa e può operare autonomamente anche in altri teatri e stagioni».  

Che programma ha scelto per questo concerto ? 

«L’ouverture dalla Clemenza di Tito di Mozart, la sinfonia n. 103 “Il rullo di Timpani” di Haydn, la Quarta, l’Italiana, di Mendelssohn. Un programma bello ma anche molto accessibile».

 Ha fatto riferimento alla difficile situazione di tanti teatri, orchestre, cori…

«Il problema è che ci sono sempre meno soldi destinati all’arte e alla musica, ma se i nostri antenati ci hanno dato tanta bellezza, abbiamo il dovere di custodirla e di alimentarla con la frequentazione». 

 La Filharmonie fa una stagione di concerti sinfonici ma anche di musica da camera. 

« L’orchestrale deve fare musica da camera, perché questo significa imparare a suonare con immaginazione e fantasia, qualità che possono essere sacrificate nel mestiere dell’orchestra. Gli orchestrali sono artisti, hanno bisogno di essere stimolati a questo, stimolati a voler dar vita ai segni che tanti compositori di genio ci hanno lasciati».

 Lei dirige in tutto il mondo e attualmente ha incarichi al teatro di Valencia e al Festival Verdi di Parma dove è Direttore Musicale fresco di nomina. Che progetti o che sfide ha in mente per queste realtà ? Penso in particolare al festival di Parma dove ha appena diretto LeTrouvère. la versione francese del Trovatore, che ci ha riservato molte sorprese. 

«E’ un filone su cui intendo continuare. Le versioni delle opere verdiane sono molto più di quelle che normalmente si hanno in mente. Ad esempio del Macbeth sappiamo che ha due versioni, quella fiorentina del 1847 e quella successiva per Parigi, che era in  francese, naturalmente, ma la si fa sempre in italiano, ovunque, anche in Francia,  mentre sarebbe importante riascoltarlo in francese. Mi sembra che proposte in questa direzione abbiano un senso, una specificità di festival, perché per quel che riguarda le opere meno rappresentate fino a pochi anni fa, quelle degli “anni di galera”, oramai le si fa ovunque».