Per ricordare Liuwe Tamminga

Amici e colleghi ricordano Liuwe Tamminga, organista di San Petronio e musicista, scomparso lo scorso 29 aprile

Liuwe Tamminga e Arvo Pärt, Bologna 1990 (foto di Marco Caselli)
Liuwe Tamminga e Arvo Pärt, Bologna 1990 (foto di Marco Caselli)
Articolo
classica

L’improvvisa e inaspettata scomparsa di Liuwe Tamminga il 29 aprile 2021 ha lasciato un vuoto nel mondo musicale di Bologna, città nella quale nel quale si era talmente ambientato da sentirsi dopo tanti anni parte di essa e dei suoi preziosi organi storici. Tamminga vi si era stabilito nel 1982 e nel corso del tempo grazie al suo talento si era  guadagnato la stima, la fiducia e l’amicizia di Ferdinando Tagliavini e di altri importanti musicisti attivi in quella che l’Unesco nel 2006 ha dichiarato Città creativa della musica.

Tamminga era organista della basilica di San Petronio, celebre anche per i suoi due preziosi strumenti storici posti in cornu Epistolae (Lorenzo da Prato1471-75) e in cornu Evangelii (Baldassarre Malamini 1596), e direttore artistico e conservatore della collezione Tagliavini del Museo di San Colombano.

Liuwe Tamminga (foto Paolo Righi)
Liuwe Tamminga (foto Paolo Righi)

Anna Zareba, responsabile della Collezione Tagliavini ha collaborato con Tamminga fin dalla fondazione del Museo, del quale racconta la storia.

«Ho conosciuto il maestro Tamminga tramite amici circa quindici anni fa, e poi quasi per caso me lo sono ritrovato come collega di lavoro quando nel 2010 si è inaugurato il Museo di San Colombano, voluto dal prof. Fabio Roversi Monaco.Il museo fa parte di una rete museale chiamata Genus Bononiae, si trova all’interno di una chiesa sconsacrata, e contiene una preziosa collezione di strumenti antichi in particolare italiani, quasi un centinaio di esemplari, la maggior parte dei quali appartenuti al maestro Tagliavini. Tamminga è stato allievo e collaboratore del maestro dal 1982, e ha conosciuto e frequentato la Cappella di San Petronio diretta da Sergio Vartolo».

«Prima di divenire responsabile della collezione Tagliavini, mi occupavo per conto della Fondazione Carisbo della collezione Marini di strumenti musicali automatici, e poi con Tamminga e il restauratore e costruttore di clavicembali Graziano Bandini si è formata l’equipe del museo che nel corso del tempo ha sviluppato una intensa attività, sia scientifica e di ricerca, come conferenze e convegni, che concertistica, con una ricca stagione di concerti serali e pomeridiani, perché per volere di Tagliavini gli strumenti devono essere costantemente manutenuti e suonati. C’è poi anche la Biblioteca, anche se non ancora aperta al pubblico per via della catalogazione in corso, con i fondi di Oscar Mischiati e di Tagliavini, e a breve ci saranno anche i suoi libri, visto i tre fratelli di Tamminga hanno deciso di donarli a San Colombano».

«Liuwe conosceva molto bene tutti gli strumenti e su ognuno di questi era capace di improvvisare in stile, sia in occasione di eventi come il festival del cinema muto, che in occasione di visite guidate che duravano sempre a lungo. Era molto generoso e anche fuori dagli orari lavoro, come sabato o domenica, raccontava e improvvisava. Oltre ad avere un grande passione per la musica antica, nei festival e nei concerti amava inserire musiche di tradizione di varie culture, e gli piaceva raccogliere strumenti popolari, anche poveri e in alcuni casi stravaganti».

«Era molto attento e aperto nei confronti dei giovani e degli studenti, che accoglieva facendoli suonare. Pensava che fosse molto importante nutrire il fuoco sacro della musica, ed era prodigo di consigli e di suggerimenti nei confronti dei giovani di talento. Dall’inizio della nostra attività abbiamo svolto circa seicento eventi di varia natura ai quali hanno partecipato un migliaio di musicisti, e fra loro i giovani sono  circa il 75%».

Sergio Vartolo, clavicembalista, organista e direttore d’orchestra descrive così l’arrivo del giovane Tamminga a Bologna.

«Agli inizi degli anni Ottanta un concerto per il Festival Estival di Parigi diffuso dal vivo da France Musique mi aveva aperto le porte dei concerti di musica antica in Francia. Qualche tempo dopo ricevetti una telefonata in un francese un poco gutturale da parte di un organista che motivava la sua chiamata dicendo di avermi sentito alla radio per cui chiedeva di potermi incontrare a Bologna dove risiedevo. All’appuntamento uscendo da una malridotta Citroën 2CV un allampanato personaggio si presentò dichiarandosi allievo di un mio illustre amico e collega, André Isoir. In perfetto stile di novello Diogene – omnia mea mecum porto! – mi mostrò tutti i suoi averi intasati nella povera macchina con cui era sceso direttamente da Parigi e che mi dichiarò essere in procinto di collassare».

«Non sapendo dove alloggiare passò i primi tempi in casa mia, e da allora iniziò una lunga amicizia. Grazie a Luigi Ferdinando Tagliavini riuscimmo a far sì che divenisse organista in San  Petronio, il che lo riempi di gioia e gli permise di ottenere un piccolo aiuto economico. In seguito, quando divenni Maestro della Cappella Musicale di San Petronio, lo chiamai a fungere da segretario per l’organizzazione delle attività musicali nei locali della Biblioteca della Fabbriceria della Basilica. L’attività internazionale dei concerti petroniani permise a Liuwe di sviluppare la sua carriera concertistica come organista. Avendo io poi cessato l’attività di maestro di cappella e  cambiato città di residenza ci perdemmo un poco di vista, ma rimpiango amaramente la tragica e repentina fine di un grande amico e artista».

Paolo Da Col, direttore dell’ensemble Odhecaton, ricorda il suo primo incontro con il musicista olandese.

«Sono quaranta anni di amicizia, e ci presentò Tagliavini nella storica Osteria del Sole in Vicolo Ranocchi, ora acquisita da Genus Bononiae. Era in corso il restauro degli organi, in particolare quello quattrocentesco di Lorenzo da Prato, e penso sia stata una delle ragioni principali che hanno trattenuto Liuwe a Bologna. Aveva seguito il corso di organo di Tagliavini a Pistoia, meravigliando sia il maestro che gli  allievi quando l’ultimo giorno suonò una toccata per l’elevazione di Frescobaldi. Tagliavini lo invitò a Bologna, dove poi venne nominato organista di San Petronio. Sono convinto che tutto quello che ha ottenuto è stato frutto del suo talento. Era integerrimo, e ha amato vivere in Italia, nonostante fosse molto legato alla sua terra, l’Olanda, in particolare la Frisia, ma era cittadino del mondo e parlava varie lingue, anche se era piuttosto taciturno».

«Come diceva Oscar Mischiati, se Tamminga poteva dire una parola di meno, lo faceva, ma era capace di parlare i numerosi linguaggi della musica, perché non è un’arte universale  come banalmente si afferma. La sua formazione gli ha permesso di conoscerne molti, in analogia con le diverse pronunce degli organi che hanno connotazioni locali: gli organi tedeschi con la loro forte pressione dell’aria, quelli francesi con i timbri di alcuni registri nasali, gli organi spagnoli fragorosi, strumenti che parlano le lingue della musica delle diverse regioni dove sono stati costruiti».

«Gli organi tedeschi con la loro forte pressione dell’aria, quelli francesi con i timbri di alcuni registri nasali, gli organi spagnoli fragorosi, strumenti che parlano le lingue della musica delle diverse regioni dove sono stati costruiti».

«Aveva studiato in Olanda, dove il suo professore lo aveva indicato come suo possibile successore, poi in Germania, e anche a Parigi, dove è stato allievo di André Isoir. Ricordo come suonava a quel tempo la musica di Franck e di Messiaen, che preferiva eseguire su un organo eclettico, come quello della Chiesa di Santa Maria dei Servi. Allora ero uno studente di organo e ne restai subito molto ammirato. Poi con Tagliavini ha studiato tutto il repertorio italiano, del Cinque e Seicento, ma amava anche la musica dell’Ottocento, e l’opera. Per esempio ha contribuito a valorizzare le musiche organistiche giovanili di Puccini, che amava suonare persino sugli organi antichi di San Petronio, con il loro temperamento del tono medio. A questo proposito, come ricordava sempre Tagliavini, le durezze hanno dimensioni diverse su quel tipo di strumenti. Liuwe si dilettava a suonare Cavazzoni sui tasti spezzati, e quella stessa musica su un organo ben temperato sarebbe stata come una pietanza senza sale».

«Abbiamo vissuto nella stessa casa per alcuni anni. Era una proprietà ecclesiastica  legata a San Petronio dove potevamo risiedere in qualità rispettivamente di organista e cantore. C’era un grande camino e divenne un luogo di incontro fra molti musicisti. Ancor più importante era la biblioteca del Conservatorio, con la raccolta di Padre Martini, che non era solo un luogo di studio, ma anche di ritrovo di una sorta di comunità, e dove potevi consultare allo stesso tempo edizioni moderne e fonti antiche».

«Liuwe con la sua timidezza e riservatezza trovava comunque il suo spazio grazie anche alla sua curiosità e il suo talento. Quando scomparve Mischiati divenne archivista di San Petronio».

«Non bisogna dimenticare che il secondo organo di fine Cinquecento, creato per la musica responsoriale, si è conservato praticamente intatto come il primo, e Liuwe ha trascritto molta musica policorale. Era un piacere suonare con lui, ed è una prassi che  ha contribuito a ricreare. Le incisioni fatte insieme a Tagliavini di questi repertori hanno ricevuto molti premi e riconoscimenti. Aveva il rigore e l’etica di stampo nordico, in questo era simile a Tagliavini, e una grande onestà intellettuale, ma era anche capace di una scherzosa leggerezza. Ma soprattutto sapeva improvvisare in diversi stili, e poteva spaziare da Bach a Messiaen,  aspetto che aveva sviluppato durante i suoi studi in Francia».

Tamminga Liuwe

Carlo Mazzoli già docente di pianoforte principale presso il Conservatorio di Bologna, e virtuoso del fortepiano, racconta la sua collaborazione con Tagliavini e Tamminga, che si riflette anche nel documentario Il vibrar dell’aria.

«L’ho conosciuto per chiara fama e l’ho ascoltato suonare tante volte a San Petronio, poi quando ho conosciuto Tagliavini, io mi occupo di pianoforti storici, ho conosciuto anche Tamminga. Nel museo con tutti i suoi strumenti storici, c’erano  anche dei fortepiani, ma Tagliavini detestava questo nome e preferiva comunque chiamarli pianoforti. Liuwe era il suo allievo, ma anche il continuatore da lui designato per continuare a custodire questo straordinario patrimonio, anche se purtroppo lo ha potuto fare per soli quattro anni».

«Ho avuto modo di frequentarli molto negli ultimi anni e il Conservatorio di Bologna, ha collaborato ripetutamente con San Colombano. Sia io che Silvia Rambaldi, clavicembalista, siamo stati le persone più in contatto con loro. Il Museo dava questa favolosa opportunità agli allievi e ai docenti del Conservatorio di svolgere le proprie attività in questo luogo unico nel suo genere, sia per gli strumenti che contiene che per la magnificenza del luogo che li ospita. Sono strumenti che venivano suonati continuamente, ed è stata una fortuna collaborare con loro».

Museo di San Colombano – Oratorio (Collezione Tagliavini) foto di Paolo Righi
Museo di San Colombano, Oratorio; Collezione Tagliavini (foto di Paolo Righi)

«Ho avuto modo di conoscere Liuwe musicalmente, non solo come organista e clavicembalista ma anche al di fuori del contesto ufficiale. Era di una versatilità incredibile, suonava  di tutto e qualunque cosa. Qualche anno fa organizzò un piccolo festival di musica ungherese, colta, popolare, e contemporanea, e andò in Ungheria per cercare un gruppo che suonasse il cimbalon. Ritorno a Bologna con l’idea di comprarne uno, e quando gli chiesi chi lo avrebbe poi suonato, rispose senza esitazione “Io”. Tra l’altro si era fatto costruire uno strumento basato sul disegno di Arnaut de Zwolle, un clavisimbalum, dal quale riusciva a ricavare suoni incredibili».

«Anche Tagliavini aveva una passione per il repertorio popolare e le sue connessioni con quello classico. A questo proposito ricordo un progetto dedicato al Ballo di Mantova, e per realizzarlo andava cercare musicisti che potremmo definire di strada. Liuwe suonava queste cose con uno spirito e con una padronanza incredibile, di cui  nessun musicista accademico era capace. Con Fabio Tricomi faceva delle cose entusiasmanti. Era un grande improvvisatore, e oggi al di fuori della liturgia organistica è difficile avere occasione di apprezzare quest’arte. A San Colombano durante le proiezioni di film muti su un tendone che faceva da sipario, commentava le scene improvvisando su quattro o cinque strumenti diversi colonne sonore completamente diverse da quelle che ci si potrebbe aspettare da un organista. In questi anni a San Colombano, soprattutto dopo la scomparsa di Tagliavini, riusciva a stare dietro a tutte le attività, anche della programmazione che era sempre a tema. Quando ne sceglieva uno faceva di tutto per sviscerarlo, e chiedeva a diversi musicisti si svilupparne le potenzialità. Aveva una cultura enciclopedica al di fuori di tutti gli schemi, e non ho mai conosciuto nessuno capace come lui di fare tutto quello che faceva».

«Era il degno erede di Luigi Ferdinando Tagliavini, ma con una estrema modestia, come se fosse sempre rimasto il suo discepolo. Inutile dire che lasciato un vuoto incredibile».

Libreria Musicale Ut Orpheus, 2019 da sinistra: Antonello Lombardi,  Liuwe Tamminga, Marc Vanscheeuwijck
Libreria Musicale Ut Orpheus, 2019 da sinistra: Antonello Lombardi,  Liuwe Tamminga, Marc Vanscheeuwijck

Antonello Lombardi, la cui libreria è letteralmente a un passo dalla casa di Tamminga, racconta la dimensione privata e conviviale del musicista che non era così taciturno come appariva (sembrava).

«È stato per oltre vent’anni un amico fraterno, e l’amicizia è nata nella Libreria Musicale Ut Orpheus di cui sono responsabile. Dapprima "normale" cliente, a me già  ben noto per la sua straordinaria capacità di interprete e di improvvisatore nel repertorio italiano del Quattrocento e del Cinquecento, ma non solo in quello, che mi aveva colpito profondamente durante i suoi concerti».

«Poi l’amicizia si è cementata con il passare del tempo anche per via del suo piacere di  star bene a tavola, bere del buon vino, e scoprire sempre nuovi piatti della cucina mediterranea, possibilmente di ricette antiche, popolari, povere. Mia moglie ed io sorridiamo ancora pensando a quando, ospite a casa nostra, diceva: “Certo che come mangiamo noi italiani”. Credo che gli venisse spontaneo ormai considerarsi, dopo quaranta anni di vita a Bologna, per metà italiano. Girava il mondo per concerti, ma al ritorno il caffè in Libreria era una sorta di rito catartico, per dimenticare quello che aveva mangiato e bevuto lontano dalla sua Bologna».

«Molti negli anni mi hanno chiesto di che cosa parlavamo, riferendosi alla sua estrema riservatezza, al suo carattere chiuso e non sempre facile, in apparente contrasto con il nostro stare delle ore a tavola. Ho sempre risposto che al contrario quando era a suo agio, se la compagnia non superava le tre o quattro persone, il problema era di farlo smettere di raccontare. D’altronde uno che ha conosciuto Olivier Messiaen, André Isoir, Jean Langlais, Jaap Schröder, Gustav Leonhardt, Frans Brüggen, Arvo Pärt, che gli aveva dedicato l’edizione a stampa della sua composizione Beatus Petronius, e che ha suonato in tutta Europa, in Giappone, negli Stati Uniti e in Sud America e ha inciso quasi trenta cd, non poteva mai essere a corto di argomenti».

Liuwe Tamminga e Arvo Pärt, Bologna 1990 (foto di Marco Caselli)
Liuwe Tamminga e Arvo Pärt, Bologna 1990 (foto di Marco Caselli)

«Oltre ad essere profondamente generoso, era anche molto spiritoso. Divideva l’umanità in due metà: quella che sa ridere e quella che non lo sa fare. Lui amava avere a che fare con chi facesse parte della prima. Suonare in California e scoprire che in prima fila c’era il Governatore Arnold Schwarzenegger ad ascoltarlo, gli fece temere per qualche istante, mi raccontava, che nelle strette di mano di rito a fine concerto l’incolumità delle sue dita fosse messa a repentaglio!».

«Suonare in California e scoprire che in prima fila c’era il Governatore Arnold Schwarzenegger ad ascoltarlo, gli fece temere per qualche istante, mi raccontava, che nelle strette di mano di rito a fine concerto l’incolumità delle sue dita fosse messa a repentaglio!»

«Non conosceva il significato di tante parole italiane, molte delle quali distorceva fino a creare neologismi esilaranti, ma soprattutto gli era ignoto quello di "stanchezza" perché progettava sempre cose nuove, organizzava concerti, viaggi di studio nei musei di strumenti musicali di mezzo mondo, e ideava nuove incisioni. Se ne avesse avuto il tempo, a Verdi e Puccini registrati negli ultimi tempi, presto avrebbe affiancato Rossini, in un suo tributo al Belcanto italiano che chissà quali altri lidi avrebbe lambito».

«Cercai a lungo di convincerlo a pensare a un disco di sole improvvisazioni sul Lorenzo da Prato, ma fu inamovibile, e alla fine mi disse che quelle note dovevano  restare nell’aria solo per un poco e poi dovevano tornare da dove erano venute».

Si ringrazia Alberto Spano per la collaborazione.

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