Nuovi sguardi sul “Codex Buranus”

Un volume offre un'approfondita e interessante analisi multidisciplinare del codice medievale dei Carmina Burana

Codex Buranus - Anni parte florida
Codex Buranus - Anni parte florida
Articolo
classica

Nel luglio del 2018 a Bressanone, nel campus della Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano in collaborazione con la Académie Suisse des Sciences Humaines et sociales. si è svolto un workshop internazionale interdisciplinare dedicato al Codex Latinus Monacensis 4660 di Benedicktbeuern o più semplicemente Codex Buranus. Il prezioso manoscritto contiene i canti medievali dei chierici vaganti e goliardi, e una parte di questi testi sono divenuti molto famosi grazie alla orchestrazione fatta da Carl Orff per la cantata scenica per soli, coro e orchestra presentata nel 1937 a Francoforte con il titolo Carmina Burana. Tale titolo che si riferisce al contenuto principale del manoscritto, venne divulgato da Johann Andreas Schmeller, l’autore della prima edizione critica del corpus dei canti che risale al 1847.

Gli studi e le discussioni generate da quell’incontro interdisciplinare hanno favorito e stimolato la pubblicazione di un libro curato da due dei principali animatori del convegno, Tristan Franklinos e Henry Hope (Revisiting the Codex Buranus. Contents, Contexts, Composition, The Boydell Press 2020, 462 pp.), i quali hanno raccolto i saggi di numerosi autori dedicati ai differenti aspetti del codice datato attorno al 1230 e redatto probabilmente a Bressanone o a Novacella in Alto Adige, e che dal 1803 è custodito a Monaco nella Biblioteca di Stato Bavarese.

Revisiting the Codex Buranus. Contents, Contexts, Composition

Le prime pagine del volume sono occupate da un primo utilissimo strumento che consente con un colpo d’occhio di comprendere la ricchezza del contenuto del Codex Buranus. Si tratta di due lunghe tabelle nelle quali figurano gli elenchi dei testi poetici presenti nel codice ordinati prima per numero progressivo di catalogazione e poi successivamente per ordine alfabetico del loro incipit, con le pagine di riferimento nelle quali sono collocati nel manoscritto. In entrambi i casi viene specificato il nome dell’autore, dove è stato possibile identificarlo, e quali fra questi sono provvisti di notazione musicale o di spaziature nelle quali si sarebbero dovuti aggiungere i neumi.

Nella introduzione che precede i tredici capitoli del libro, intitolata “The Codex Buranus – A Unique Challenge”, i due curatori dopo una breve descrizione del manoscritto e della sua storia, mettono in evidenza i punti salienti dei saggi multidisciplinari sottolineando la necessità di un approccio che includa non solo l’ambito letterario, filologico e musicologico, ma anche storico artistico, paleografico e codicologico.

Il primo saggio di Kirsten Yri dedicato alla storia della ricezione moderna del codice prende in esame le scelte testuali operate da Orff, in collaborazione con il filologo Michel Hofmann, e la loro distribuzione nei diversi registri vocali della composizione della cantata, con una predominanza di carmina di argomento amoroso che appare una parodia dai risvolti satirici della tradizione del Minnesang, sottolineando come i suoi Carmina Burana siano ancora oggi l’elemento trainante della fortuna e dell’interesse verso il Codex Buranus. Ma l’aspetto più significativo del testo della studiosa, che insegna presso la Wilfrid Laurier University del Canada, riguarda la storia del progressivo lavoro di ricerca della prassi esecutiva da parte dei gruppi di musica antica che a distanza di circa trent’anni dalla composizione del musicista tedesco, hanno iniziato a proporre delle versioni più o meno storicamente informate dei canti monodici interpretati sulla base della loro arcaica notazione neumatica. Yri ricorda sia i pionieri delle prime incisioni storiche di questo affascinante repertorio medievale come Studio der Frühen Musik e Clemencic Consort, che i più recenti contributi di Boston Camerata e La Reverdie, senza tralasciare le riverberazioni propagatesi nell’area della popular music, e in particolare del pop celtico medievale proposto tra gli altri dalle band Ougenweide e in particolare Corvus Corax, che oltre alle sue incisioni discografiche nel 2005 ha presentato a Berlino lo spettacolo Cantus Buranus eseguito insieme all’ensemble Psalteria e al coro e orchestra dello Staatstheater Cottbus.

Il secondo saggio di Carmen Cardelle de Hartmann, docente dell’Università di Zurigo, è centrato sulla tecnica della parodia come forma di intertestualità, che si manifesta già a partire dal modo nel quale i testi del codice sono ordinati. Nel suo studio vengono analizzati una serie specifica di carmina dai quali emergono i tratti della parodia sia di testi di origine biblica e liturgica, che di testi di natura amorosa con l’intenzione da parte dello scriba di accorpare i poemi in modo da creare una graduale transizione tra l’uno e l’altro.

Strettamente legato al tema della parodia il saggio di David A. Traill che occupa il terzo capitolo è dedicato al tema della satira nelle sue diverse accezioni, tradizionale, moraleggiante e parodistica. Lo studioso emerito del Department of Classics della University of California – Davis, citando i poeti dell’antichità, Orazio, Persio, Giovenale, e quelli medievali come Primas, Archipoeta, Gualtiero di Chatillon, Filippo il Cancelliere, evidenzia i punti di contatto tra le fonti della tradizione satirica classica e medievale e una serie di carmina del celebre codice. Oltre alle invettive contro la corruzione della Chiesa, del clero e degli ordini monastici, tra le diverse declinazioni satiriche presenti nel Codex Buranus, l’autore include anche quella rivolta alla figura del poeta, sia soggetto dotato di autoironia che oggetto dei suoi stessi strali.

Nel quarto capitolo Albrecht Classen, docente della University of Arizona, esplora l’aspetto del discorso erotico di registro colto permeato di riferimenti poetici classici, in particolare Ovidio, e mitologici che ricorre nei più celebri carmina, messo in relazione con il ricco corpus della contemporanea lirica amorosa cortese. Nel considerare tali connessioni come il frutto di un ambiente monastico o “accademico” erudito e sofisticato dal quale sarebbe nato il codice, lo studioso indaga l’aspetto più controverso ed enigmatico dei riferimenti erotici e sessuali espliciti che assumono contorni violenti come nel caso di Ich was ein chint so wolgetan (CB185), uno dei canti bilingue nei quali si mescolano versi in alto medio tedesco e versi in latino; una sfida per l’ambiente ecclesiastico del tempo, e oggi anche per la nostra sensibilità nei confronti delle questioni di genere. Sottolineando l’aspetto ironico, satirico e sarcastico di numerosi versi delle canzoni del codice, Classen osserva come l’onnipresenza di O Fortuna di Orff, che oramai appartiene ai repertori di bande, orchestre, cori e che si ascolta come musica di sottofondo di documentari, videogame e di pubblicità, sia un elemento molto importante della percezione odierna di questi poemi e canti antologizzati attorno al 1230 o poco dopo, ma probabilmente concepiti già verso la fine del secolo precedente.

Nel quinto capitolo Tristan Franklinos, docente della Oxford University, si concentra sui carmina amatoria e in particolare su Anni parte florida, noto anche come “Altercatio Phyllidis et Flore” nel quale si sviluppa il tema diffuso nella letteratura medievale della contesa per il primato in amore tra chierici e cavalieri, con la descrizione delle cavalcature dei personaggi (il mulo di Fillide e il cavallo di Flora), dagli echi classici ma con significativi paralleli nella coeva letteratura volgare. Partendo dalla premessa che le allusioni verbali e i riferimenti mitologici nei poemi in latino basati sulla cultura letteraria precedente fossero riconoscibili e comprensibili per i conoscitori esperti e colti per tutti i loro aspetti intertestuali, l’autore sottolinea la grande differenza tra la ricezione aurale della poesia antica, che provocava una risposta emotiva intensa e drammatica, e la percezione odierna di questo corpus poetico, le cui componenti allusive si evidenziano attraverso l’analisi e il confronto con i modelli della tradizione.

Codex Buranus - Dum iuventus floruit
Codex Buranus - Dum iuventus floruit

Nel sesto capitolo anche Jonathan Seelye Martin concentra la sua attenzione sul carme 185, ma con considerazioni diverse da quelle di Classen, per evidenziare le similitudini con il genere trovadorico e troviero della cosiddetta pastorella. L’autore del saggio, docente della Illinois State University, dopo avere sottolineato l’interesse e le diverse interpretazioni dei numerosi studiosi che hanno preso in considerazione la connotazione di violenza sessuale contenuta nel testo di questo carme, suggerisce che la scelta di dare voce alla pastorella che parla e racconta in prima persona rappresenti una sorta di simpatia ed empatia verso la vittima della violenza di deflorazione, e non una dimensione canzonatoria di presa in giro della ragazza come sostengono altri autori.

Anche una parte consistente del saggio seguente si concentra sullo stesso carme 185, che il suo autore Peter Godman, scomparso alla fine del 2018 e già docente della Sapienza Università di Roma, considerava una fusione tra i testi poetici che esprimono il tema della dominazione sessuale e le lamentio femminili ben presenti nella letteratura medievale, sottolineando anche il ruolo svolto dalla scelta di due differenti registri linguistici, quello dotto e quello vernacolare.

Nell’ottavo capitolo il saggio di Racha Kirakosian, docente della Albert-Ludwigs-Universität Freiburg, mette in risalto la peculiarità del Codex Buranus per la compresenza di testi profani e religiosi, questi ultimi non sufficientemente messi in risalto dagli studiosi che lo hanno analizzato, nonostante siano concentrati prevalentemente, ma non esclusivamente, all’inizio del codice. Una parte di questi carmina nei quali risalta la lotta dell’uomo contro il male alla ricerca della Redenzione attraverso la grazia divina, sono stati attribuiti a Filippo il Cancelliere, Pietro di Blois e Otlone di Sant’Emmerano, e tra i testi di natura religiosa figurano anche le successive aggiunte, fatte circa un secolo dopo, degli inni in onore della Vergine Maria e di alcuni santi.

Un ulteriore approfondimento dei temi di natura religiosa è contenuto nel saggio seguente di Johann Drumbl il quale analizza i cosiddetti drammi liturgici come il Ludus Rex Egipti, o quelli legati alla Passione, alla Pasqua e al Natale che rappresentano una importante porzione del manoscritto. L’autore sottolinea come questi testi per la loro forma ibrida siano da considerare come una trascrizione letteraria delle storie sacre raccontate, usati solo in parte per le loro rappresentazioni.

Nel decimo capitolo il lungo saggio di Heike Sigrid Lammers-Harlander esplora la dimensione specificatamente musicale del codice, sottolineando la presenza della notazione aggiunta ai testi soltanto di una parte dei carmina compilati da due differenti scriba. La studiosa osserva come la scrittura musicale neumatica adiastematica (priva di righi) sia stata redatta da quattro differenti copisti, tre dei quali dediti a specifici contenuti testuali dei canti, per poi concentrarsi sulla analisi paleografica esemplificata con delle trascrizioni di alcuni carmina suddivisi per l’operato di ciascuno dei notatori. Ma l’aspetto più originale e curioso del suo studio si rivela nella seconda parte “sperimentale” nella quale, grazie alla sua esperienza di ricercatrice e studiosa del patrimonio della musica tradizionale romena e ungherese, mette in relazione certi carmina del codice con alcuni specifici generi musicali del repertorio dei lăutari, suonatori e cantanti di tradizione orale della Romania. Per consentire al lettore di comprendere questi inusuali accostamenti la studiosa ha inserito online alcuni esempi musicali, per suggerire delle analogie tra il canto dolente della cosiddetta doina e i melismi del planctus medievale, accostando anche alcuni ritmi di danze collettive come sârba e hora alla metrica di alcuni particolari carmina. Oltre a poter ascoltare tali esempi, dal sito della Boydell & Brewer è possibile anche scaricare alcune tabelle illustrative che contengono tutti gli incipit dei testi del codice, l’elenco dei carmina registrati dai differenti ensemble di musica antica in ordine cronologico, e altro ancora.

Anche il capitolo seguente che contiene il saggio di Charles E. Brewer docente della Florida State University è dedicato alla notazione, ma nella prospettiva di individuazione del possibile luogo di compilazione del manoscritto, tra Brixen e Neustift ossia Bressanone e Novacella. L’autore analizza la notazione neumatica del Codex Buranus mettendola in relazione con quella di altre fonti musicali, specialmente quelle degli scriptoria agostiniani, con l’ausilio di numerose riproduzioni di pagine dei codici presi in esame.

Il penultimo capitolo del libro, dedicato alla dimensione interculturale del plurilinguismo presente nel manoscritto, è di Michael Stolz, docente dell’Università di Berna, che come altri autori pone l’accento sulla organizzazione e aggregazione dei testi all’interno del codice che suggeriscono una possibile provenienza da altre raccolte. L’aspetto più originale del suo saggio consiste nella comparazione tra la struttura e la forma dei poemi in latino del Codex Buranus che si concludono con una strofa in tedesco, e uno degli aspetti della lirica strofica della Spagna musulmana medievale, al-Andalus, che a conclusione di poemi in arabo classico in alcuni casi presenta una stanza in arabo colloquiale o in lingua romanza. Nel citare esempi di questa cultura poetica Brewer approfondisce i contenuti testuali di certi carmina bilingui, suggerendo anche analogie tematiche tra le due culture.

Ai testi in tedesco contenuti nel codice è dedicato anche il capitolo conclusivo di Henry Hope che ritiene meritino ulteriori approfondimenti e indagini, e dopo aver riassunto i precedenti contributi sullo studio e analisi di questa parte del manoscritto, ricorda le due principali ipotesi della creazione dei canti in latino-tedesco: la derivazione da due distinti canti monolinguistici, e la scrittura di stanze in latino sul modello di un canto in tedesco secondo il processo del contrafactum. Che siano state il frutto di una compilazione, di adattamento e ricomposizione, o di una integrale composizione, questi carmina dimostrano ancora una volta la cultura e l’ampiezza dello sguardo di coloro che hanno concepito e redatto il Codex Buranus.

In conclusione le peculiarità del codice che rappresenta il prodotto di un ambiente colto e raffinato sono riassunte nell’epilogo affidato al saggio di Gundela Bobeth nel cui titolo risalta la varietà dei contributi contenuti in questo volume: multiformis armonia, scolaris symphonia. Dalla lettura dei suoi diversi saggi emerge la straordinaria ricchezza di elementi e riferimenti di questo repertorio, senza dimenticare che una parte consistente dei carmina è priva di concordanze e dunque si tratta di preziosi unica.

Il libro, provvisto anche di una esaustiva bibliografia e di una discografia, è dunque uno strumento indispensabile per comprendere la ricchezza delle numerose connessioni intertestuali e i molteplici aspetti storici, culturali, linguistici e musicali illuminati dalla prospettiva multidisciplinare.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

classica

Sulle tracce del giovane Corelli

classica

Dal 10 aprile torna a Parma Traiettorie, la rassegna di musica moderna e contemporanea giunta alla sua 34a edizione

In collaborazione con Fondazione Prometeo
classica

Sua maestà l’organo della Chapelle Royale di Versailles