Nicola Sani: l'elettronica come realtà aumentata

Dove arrivano le nuvole più vaste di Nicola Sani esce per Stradivarius: l’intervista al compositore

Nicola Sani
Nicola Sani
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classica

Dove arrivano le nuvole più vaste – composizione del 1996 che dà anche il titolo al cd Stradivarius dedicato ad opere per flauto ed elettronica di Nicola Sani, cui partecipano Roberto Fabbriciani e Alvise Vidolin – disegna perfettamente anche attraverso la parola, oltre ai suoni, la poetica, l’atmosfera che si respira in un ascolto che non può essere distratto. Perché quel dettaglio, quel respiro, quel soffio, quella vibrazione, fanno parte di una costruzione solo apparentemente astratta, ma invece tassello di una coinvolgente visione d’insieme spalmata su tutte le tracce, se lo perdiamo cade tutta l’impalcatura. Una poetica che si sviluppa nel contrasto forte tra la volatilità del suono, la sua espansione nello spazio, e la fisicità dello strumento come prolungamento del corpo. Sani va alla ricerca dell’angolo più inquieto, oscuro ma anche poetico e luminoso nelle confluenze tra flauti, supporto digitale, pulsazione cardiaca, di un profondo viaggio nell’inconscio. 

Se Imagine from Butterfly per ottavino (2007) e Dialoghi migranti per flauto contralto (2002) si caratterizzano per un approccio più tradizionale (non certo nel linguaggio), entrambi sviluppano un dinamico rapporto esecutore/strumento senza supporto digitale né elettronica, tutte le altre composizioni prevedono e sviluppano invece una ricca interazione tra flauti, live electronics e nastro magnetico, disegnando una impalpabile polifonia di suoni multifonici e onde emotive.

Emoziona subito la pulsione vitale che si espande sinuosa dietro il flauto di Fabbriciani in I binari del tempo del 1998 pensata per flauto e spazio elettronico su supporto digitale, dove un dialogo complesso si sviluppa tra quasi silenzi e scontri percussivi che si disperdono in angoli sognanti.

Il brano che dà il titolo al cd vede il flauto contrabbasso con tutto il fascino della propria voce moltiplicato, dilatato dall’elettronica in una tessitura estraniante di suoni multifonici che disegnano un panorama inquieto, tra dissonanze e una imprevedibile mobilità del suono. Il flauto iperbasso, creato proprio da Fabbriciani, è il protagonista di More Is Different del 2014 per flauto iperbasso, supporto digitale, motion capture e live electronics. Un freddo pulviscolo sonoro ci invade lentamente, viene da lontano come un’ombra misteriosa. Improvvisi lampi di luce lo attraversano, lo disintegrano, frammenti roteano impazziti. Voci inudibili sbucano da angoli sconosciuti. Il silenzio ci trova impreparati.

Nicola Sani - Stradivarius

Vista la ricchezza e la complessità dei materiali e delle suggestioni che mette in gioco Dove arrivano le nuvole più vaste, abbiamo rivolto al compositore alcune domande in merito.

Lo sviluppo delle tecnologie nella prassi compositiva è spesso vissuto con il sospetto che i suoni provenienti da macchine e non da strumenti acustici prosciughino l’emozione della musica. Mi pare che Dove arrivano le nuvole più vaste vada nella direzione di una ricerca che punti ad avvicinare, umanizzare l’uso dei supporti digitali e del live electronics rispetto all’esecutore con il proprio strumento.

«Nel mio rapporto con le tecnologie elettroniche, che risale ormai a molti anni addietro, ai tempi delle tecnologie analogiche dei sintetizzatori Moog e VCS3, ho sempre cercato di sviluppare uno spazio timbrico che fosse espansione del suono strumentale. Una sorta di realtà aumentata, dove l'elettronica individua un percorso al tempo stesso di ampliamento e decostruzione del suono strumentale. In tutta la mia produzione, fino ad ora ho realizzato un solo pezzo per sintesi digitale su supporto (o fixed media, come si preferisce dire oggi) ed è un pezzo che sembra generato da suoni eolici, in fin dei conti naturali, realizzati con filtri e risonatori digitali».

«Nel mio rapporto con le tecnologie elettroniche ho sempre cercato di sviluppare uno spazio timbrico che fosse espansione del suono strumentale».

«Dunque la materia sonora, il progetto di uno spazio timbrico che parte dalle caratteristiche della prassi esecutiva strumentale mi ha sempre guidato nell'utilizzazione dell'elettronica come espansione dell'universo acustico concreto».

Quale particolare fascino stimola in lei la famiglia dei flauti?

«Quello del flauto è un suono primordiale, suono nomade per eccellenza. Ha accompagnato l'uomo fino dagli albori della sua esistenza, è lo strumento che appartiene al bagaglio a mano dell'umanità. I suoni generati dai flauti sono splendidamente astratti, aperti, senza confini, volano liberamente... dove arrivano le nuvole più vaste. Eppure al tempo stesso sono suoni profondamente espressivi, glaciali, taglienti o profondi e misteriosi. In questo cd ne esploro tutte le possibili dimensioni, passando dall'ottavino al flauto iperbasso, due estremi che sembrano lontanissimi eppure legati alle stesse tecniche di emissione».

Come si rapporta con gli esecutori di sue composizioni, in questo caso Roberto Fabbriciani con i suoi flauti e l’elettronica di Alvise Vidolin? Quanto viene rimesso in discussione con loro rispetto alla partitura data? Quanto è aperta la sua opera?

«Con Roberto Fabbriciani e Alvise Vidolin il rapporto è profondo e antico, l'intesa è assoluta. Non c'è una partitura data a cui si applica l'elettronica, ma un progetto sonoro che si sviluppa parallelamente per passaggi successivi su entrambe le dimensioni, quella acustica e quella elettronica. Con Fabbriciani subentrano due ulteriori fattori determinanti: la gestualità, la potenza drammaturgica del suo suono e la ricchezza del timbro che riesce a ottenere dallo strumento, un suono che nasce già con una componente meticcia e complessa di elaborazione acustica e si fonde perfettamente con le sonorità elettroniche».

«Quello del flauto è un suono primordiale, suono nomade per eccellenza. Ha accompagnato l'uomo fino dagli albori della sua esistenza, è lo strumento che appartiene al bagaglio a mano dell'umanità».

«La straordinaria capacità di Fabbriciani di mettersi ancora in discussione, di voler guardare oltre, di sperimentare sempre nuove strade e inedite soluzioni sono fattori determinanti nello sviluppo dei miei percorsi compositivi. Con Vidolin ogni utopia diviene possibile, la sua visione del suono, sintesi assoluta di tecnologia e poetica, si apre a una multidimensionalità sonora che rende l'esperienza della composizione un progetto sempre aperto a ogni inedito possibile sviluppo. Non potrei definire una mia composizione realizzata con Roberto e Alvise come opera aperta, ma come esplorazione e proiezione verso orizzonti sempre più aperti».

Lei che vive la musica a 360° anche come direttore artistico, sovrintendente, saggista e divulgatore, come legge l’attualità del mondo della contemporanea italiana?

«È una realtà schizoide, divisa tra un grande patrimonio intellettuale (la nuova musica italiana – sostenuta per lo più da paesi esteri – è senz'altro tra le più interessanti sul piano internazionale) e una pressoché totale indifferenza del settore istituzionale, salvo rare, felici eccezioni, non però emblematiche della spinta e della visione culturale che un Paese come il nostro dovrebbe esprimere».

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