Josquinology (1919-2017): la monumentale edizione critica di Josquin Desprez

Una impresa durata un secolo: dalla Josquin Edition alla New Josquin Edition; intervista al curatore Willem Elders

New Josquin Edition; intervista al curatore Willem Elders
Articolo
classica

Un libro fondamentale

Basterebbe l'aneddoto dell'editore e musicista tedesco George Forster contenuto in uno scritto del 1540, per testimoniare indirettamente la fama e l'ammirazione di cui godeva Josquin Desprez (ca. 1450-1521): «Ricordo un certo uomo eminente che diceva, ora che Josquin è morto produce più composizioni di quando era in vita». Infatti a nessun altro protagonista della storia della musica occidentale è forse stata attribuita una percentuale così alta di composizioni di paternità dubbia o altrui, e per questo scartate dalla compilazione della New Josquin Edition (NJE) conclusa quest’anno.

New Josquin Edition; intervista al curatore Willem Elders

Prima di raccontare la genesi di questo monumentale lavoro, va ricordato che il suo curatore, Willem Elders, ha scritto una fondamentale guida introduttiva alla produzione del maestro franco-fiammingo intitolata Josquin des Prez and His Musical Legacy. Nel libro, che è stato pubblicato nel 2013 dalla Leuven University Press ed è la versione rivista e tradotta del testo originale in olandese del 2011, l’autore fa costante riferimento alla NJE.

Nonostante l'ampia diffusione delle composizioni del celebre maestro franco-fiammingo, le notizie biografiche che lo riguardano sono frammentarie, e questo rende problematica la datazione delle sue opere. Il suo stile compositivo è originale e complesso e pur condividendo alcuni dei tratti comuni alla scrittura dei suoi colleghi, si distacca spesso dalle convenzioni contrappuntistiche dell'epoca, come per esempio nel caso della struttura e della espressività del mottetto "Illibata dei virgo", che Elders definisce un precursore di Johann Sebastian Bach.

Nella prima parte del libro lo studioso olandese – che ha insegnato a lungo all'Università di Utrecht – espone con grande chiarezza le ragioni della fama di Josquin, ricordando che è stato il primo compositore europeo a non essere dimenticato dopo la sua morte ed elencando e commentando i giudizi e gli apprezzamenti di autori di diverse epoche come Zarlino, Castiglione, Glareanus, Burney, Ambros, e altri ancora. Ma la reputazione di Josquin si misura anche dalla presenza della sua musica in numerose raccolte manoscritte e a stampa, e dalle trascrizioni, intavolature e rielaborazioni strumentali delle sue messe, mottetti e chansons, tutte sinteticamente ma efficacemente documentate nel terzo capitolo di Josquin's Legacy. Dopo aver illustrato le problematiche relative alla autenticità e alla cronologia del corpus pratensis, il più spinoso dei compiti, Elders sottolinea l'importanza dell'ispirazione della monodia gregoriana, e la dimensione simbolica del linguaggio musicale del compositore, legata alla scelta dei cantus prius factus, ai frequenti ostinato, alla notazione, ai numerosi canoni e alle proporzioni numeriche.

Nella seconda parte del libro l’autore entra nel vivo della produzione del Princeps musicorum. La sezione delle diciotto messe accolte come autentiche nella NJE, è suddivisa in base alla natura dei cantus firmus, di origine sacra o profana, monodica o polifonica, o della tecnica compositiva e rivela non soltanto la straordinaria qualità creativa di Josquin, ma anche la ricca trama intertestuale che lega fra loro i compositori, sia verso la generazione precedente, con la presenza di elementi associabili alla carismatica figura di Ockeghem, che verso quella coeva di Brumel, Obrecht e altri maestri fiamminghi. Quella dei numerosi mottetti è inevitabilmente la sezione più selettiva, anche perché solo sessantadue (più diciannove probabilmente pratensi) dei centosettantuno a lui attribuiti sono stati inseriti nella NJE, suddivisi in base alla natura dei loro testi. Se quarantacinque musiche presenti nella prima Josquin Edition sono state espunte da quella nuova perché ritenute opera spuria, ventiquattro ne sono entrate a far parte, e si tratta prevalentemente di chansons, anche se permangono dubbi sulla reale paternità di quattordici di esse considerate opera dubbia.

Una impresa durata un secolo: dalla Josquin Edition alla New Josquin Edition

La accuratezza e la chiarezza del libro di Elders testimoniano e riflettono la splendida impresa della edizione completa delle opere di Josquin durata praticamente un secolo, e promossa da quella che sembra forse la più antica società musicologica del mondo, la Vereeniging voor Nederlandsche Muziekgeschiedenis (VNM). Nel 1919 la Società di Storia della Musica dei Paesi Bassi, fondata nel novembre del 1868, affidò al primo docente di musicologia della Università di Utrecht, l’abate Albert Smijers (1888-1957), il compito di cercare e raccogliere le diverse fonti della musica di Josquin e di prepararne una edizione critica. Nel corso del tempo Smijers venne affiancato da Myroslaw Antonowycz che dopo la scomparsa del pioniere della musicologia olandese, completò l’opera nel 1969. Ma l’esigenza di una nuova edizione che tenesse conto dell’avanzamento nel campo degli studi musicologici partendo da un approccio rigorosamente sistematico emerse già nel 1971, durante la International Josquin Festival-Conference, tenuta nella Julliard School del Lincoln Center di New York, e l’idea di realizzarla formando un comitato internazionale venne lanciata in quella sede da Edward Lowinsky. La VNM accolse l’idea e dopo aver consultato l’American e la International Musicological Society promosse il primo incontro del comitato che si svolse a Utrecht nel 1973.

Di questo comitato faceva parte anche l’allievo di Smijers che dal 1965 aveva affiancato Antonowycz nel lavoro della prima JE, Willem Elders, e il suo accuratissimo e dettagliato resoconto delle discussioni dei tre giorni di lavori è un importante documento storico musicologico che venne pubblicato l’anno seguente sulla rivista "Tijdschrift van de Vereniging voor Nederlandse Muziekgeschiedenis" con il titolo “Report of the First Josquin Meeting, Utrecht 1973”. Sulla base delle linee guida sviluppate dalle discussioni del comitato venne allora elaborato e redatto un volume di sessanta pagine contenente le indicazioni da seguire per realizzare l’edizione critica dell’opera musicale di Josquin con l’apparato di note e commenti che segue ogni volume. L’ultimo di questi, il ventinovesimo, è stato dato alle stampe verso la fine del 2016 e con la pubblicazione del relativo apparato critico nell’estate 2017 si è conclusa l’opera della New Josquin Edition portata a compimento da Elders, che qui di seguito racconta come si è svolto il lavoro. 

New Josquin Edition; intervista al curatore Willem Elders
Willem Elders

Come e quando è iniziata l’impresa della New Josquin Edition?

«Quando dirigevo l’Istituto di musicologia dell’Università di Utrecht avevo moltissimo lavoro, ma da quando sono andato in pensione e mi sono trasferito in Francia ho potuto dedicarmi interamente alla NJE. Durante il symposium del 1971 avevamo fondato un comitato internazionale per preparare l’edizione, e per quattro anni abbiamo fatto assemblee per prendere tutte le decisioni che sono alla base della pianificazione dell’opera. Sono stato il redattore capo, coordinando collaboratori di diversi paesi, e inoltre ho curato personalmente i volumi 23, 24 e 25 dedicati ai mottetti mariani, inizialmente affidati ad altri studiosi ma che non hanno potuto portare a termine il loro lavoro, e i volumi 3, 4 e 10 dedicati alle messe su canti gregoriani e a quelle su canzoni polifoniche sacre».

La grande differenza tra la prima e la seconda edizione, riguarda la trascrizione dei valori di durata originali. 

«Prima della realizzazione di questa nuova edizione, si pubblicava la musica antica riducendo di almeno la metà i suoi valori di durata e facendola sembrare musica di Mozart… Ma io mi sono sempre battuto per lasciare intatto i valori originali dei brani, e questo aspetto è molto molto importante per trovare il giusto tempo della esecuzione. Ne abbiamo discusso a lungo con i colleghi del comitato editoriale, e alla fine siamo stati costretti ad un utilizzare le stanghette di misura trovando un compromesso». 

Per il pioniere della prima edizione non deve essere stato facile negli anni Venti mettersi alla ricerca delle fonti.

«È stato certamente un lavoro enorme, e Smijers ha viaggiato in tutta Europa, e grazie a lui si è creato ad Utrecht un importante archivio. Ma dopo la sua morte nel 1957, alcuni studiosi americani hanno ricevuto un grande fondo per microfilmare le fonti della musica polifonica rinascimentale in tutta Europa, e sono venuti anche ad Utrecht. Così è nato un grande archivio custodito presso la Illinois University of Urbana negli Stati Uniti, che comprende oltre duemila microfilm, e successivamente è stato pubblicato un catalogo in cinque volumi, il Census-catalogue of Manuscript Sources of Polyphonic Music. 1400-1550, che descrive i luoghi e i contenuti di tutte le fonti musicali. Io li ho incontrati e il loro lavoro è stato molto utile per noi perché all’epoca era il più completo possibile. Abbiamo poi chiesto la loro collaborazione per poter studiare i microfilm di cui avevamo bisogno per la nostra edizione».

Ci sono molti studiosi americani interessati alla polifonia franco fiamminga.

«Molti giovani musicologi americani soggiornano in Europa per studiare la musica antica, ma anche se oggi sappiamo molto di più rispetto a cinquant’anni fa rimangono molte lacune nella biografia di Josquin. Per esempio presumiamo che dopo la morte di Renato d’Angiò una parte dei cantori della corte di Aix-en-Provence siano andati a Parigi, e dunque anche Josquin, che però restò nella Cappella Reale allora diretta da Ockeghem per poco tempo. Lo supponiamo grazie anche alla chanson “Nymphes des bois”, che si trova nel volume 29 edito dal prof. Patrick Macey. Si tratta della déploration per la morte del grande maestro sui versi di Jean Molinet ed è una delle più note di Josquin».  

Come si fa a scoprire che una musica che si riteneva parte del suo catalogo non si può più attribuire a Josquin?

«È molto difficile, perché ha cominciato a produrre musica a vent’anni e quando si comparano le opere di gioventù con quelle della maturità, le differenze sono significative. Ogni periodo ha le sue caratteristiche. Abbiamo consultato tutte le possibili fonti, per verificare, confrontare e risalire come in un albero genealogico alla prima versione. Pensiamo ad alcune sue messe, come la Missa Une mousse de Biscaye che ricorda Ockeghem, mentre la Missa L'ami Baudichon mostra l’influenza di Dufay. Per esempio siamo convinti che la Missa Pange lingua sia l’ultima perché mostra punti di contatto con lo stile di Palestrina. Prendere una decisione sulla autenticità di una composizione è molto difficile e richiede molto studio, perché tra gli aspetti da tenere in considerazione c’è l’organizzazione del rapporto tra musica e testo. Anche Petrucci per esempio nella prima tiratura di Odhecaton ha attribuito a Josquin la canzone “Fortuna d’un gran tempo”, ma non più nella seconda edizione. Noi riteniamo comunque che sia di Josquin e l’abbiamo inclusa del volume 27 della NJE».

Circa un terzo dell’opera di Josquin si trova nella Biblioteca Vaticana, che lei ha frequentato.

«Sono venuto in Italia più di cinquant’anni fa, a Roma, con una borsa di studio per preparare la mia tesi sul simbolismo nella musica dei Paesi Bassi. Ricordo ancora il viaggio in treno e l’arrivo alla stazione Termini. Avevo consultato i cataloghi delle musiche della Cappella Sistina e annotato quali manoscritti volevo visionare. Sui microfilm l’inchiostro rosso non era visibile e io avevo bisogno di consultare le fonti originali nella Biblioteca Vaticana, dove sono andato ogni mattina per tutta la durata del mio soggiorno. I manoscritti della Vaticana sono molto ben conservati ed è anche per questo che sono così importanti. Ricordo anche le giornate passate a Venezia nella Biblioteca Marciana, per approfondire le laude di Jacopone da Todi, perché all’Università di Utrecht tra le altre cose studiavo italiano».

Nel novembre 2018 la Società Reale di Storia della Musica dei Paesi Bassi, compirà centocinquanta anni. Si può dire che la NJE sia uno dei suoi più importanti risultati?

«Non solo questo, perché sono state realizzate anche le nuove edizioni delle opere di Sweelinck e di Obrecht. Ma certamente con Josquin abbiamo coinvolto sedici studiosi a livello internazionale e questa edizione vende molto bene e la stanno acquistando molte biblioteche».

Quali sono le musiche di Josquin che è assolutamente fondamentale ascoltare e conoscere per comprendere il genio del compositore franco fiammingo?

«Direi la Missa L'homme armé sexti toni, la Missa Pange lingua, e poi la Missa Gaudeamus; tra i mottetti Ave Maria ... virgo serena, Gaude virgo, Huc me sydereo, Miserere mei deus, O domine Jesu Christe, Pater noster - Ave Maria, Preter rerum seriem, Salve regina (a 5), Virgo salutiferi; e tra le musiche profane Allégez moy, Baisiez moy, El grillo, Mille regretz, Nymphes des bois, Petite camusette, e Plusieurs regretz».

La conclusione dell’impresa

Nel comitato editoriale che ha curato la NJE figura anche il nome di Eric Jas, che è entrato a far parte dell’impresa come assistente di Elders attorno al 2000 e che ha svolto il ruolo di segretario, come racconta qui di seguito.

Come si è svolto il lavoro di coordinamento dal momento nel quale lei è entrato a far parte del comitato?

«Ho mantenuto i contatti con i collaboratori, raccogliendo tutti i materiali, e controllando poi le bozze e il rispetto delle norme editoriali. Ho iniziato facendo l’assistente del prof. Elders, che ho conosciuto quando studiavo musicologia all’Università di Utrecht negli anni Ottanta. Ha seguito la mia tesi e poi siamo divenuti amici. È molto preciso ed accurato, e conosce il simbolismo della musica molto profondamente. La sua personalità è una ottima combinazione di qualità scientifiche e doti umane, poiché è molto paziente ed è una persona sempre in ascolto».

Quali sono le sostanziali differenze tra la prima e la seconda edizione delle opere di Josquin?

«Per la prima edizione fatta ad Utrecht, Smijers aveva scelto le fonti più leggibili e chiare, senza preoccuparsi di alcuni imprescindibili manoscritti. Oggi siamo consapevoli di quanto sia importante spiegare il perché della scelta di una fonte piuttosto che un’altra. Dopo aver fatto la lista di tutte le fonti viste e controllate, ed avere descritto quando, dove e da chi sono state copiate determinate musiche, si deve scegliere quale fonte pubblicare e per quale motivo, indicando tutte le varianti presenti negli altri testimoni. Contemporaneamente si deve indicare quali altri compositori hanno musicato gli stessi testi e se hanno usato melodie di altri autori».

Un lavoro molto complesso.

«Per questo è durato così a lungo».

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

classica

In occasione del settantesimo compleanno del compositore e direttore d’orchestra l’ensemble viennese pubblica il cofanetto multimediale FURRER 70 con registrazioni, materiali video e due libri. Ne abbiamo parlato in una conversazione con Beat Furrer.

Articolo in collaborazione con Klangforum Wien

classica

Da Assisi ad Assisi: i primi quaranta anni di Micrologus

classica

La festa spagnola a conclusione del Festival d’Ambronay