I fuochi d’artificio del Festival di Innsbruck 2022

De Marchi e Quintavalle parlano della 48ma edizione del festival di musica antica di Innsbruck

Castello Ambras Innsbruck (foto Gaio)
Castello Ambras Innsbruck (foto Gaio)
Articolo
classica

Con il penultimo anno del suo mandato di direzione artistica e musicale del Festival di musica antica di Innsbruck, Alessandro De Marchi sembra voler lasciare un segno indelebile nella memoria storica di questa manifestazione che negli anni ha rivelato opere poco note spesso in prima esecuzione in tempi moderni. Il programma di questa 48° edizione intitolata “Incontri”, iniziata il 12 luglio con i concerti introduttivi che si svolgono nel Castello di Ambras, appare un tripudio musicale che dal Medioevo arriva al Barocco e oltre, e vede la partecipazione di numerosi e importanti gruppi musicali.

Il 5 agosto debutterà l’opera inedita sulla quale si era concentrata l’attenzione della competizione vocale intitolata a Cesti dello scorso anno, concorso che da tempo conclude il Festival creando una aspettativa per l’edizione seguente, oltre a rappresentare un vivaio di voci utili per creare di anno in anno i diversi cast necessari per gli altri allestimenti: Silla di Carl Heinrich Graun del 1753.

Si tratta del “Drama per musica da rappresentarsi nel Regio Teatro di Berlino per il felicissimo giorno natalizio della sacra real maestà di Sofia Dorotea regina madre” il cui libretto scritto dal re di Prussia Federico II, venne tradotto dal poeta cesareo e arcade Giampietro Tagliazucchi, che verrà interpretato da quattro controtenori e due soprani accompagnati dalla Innsbruck Festival Orchestra diretti da De Marchi che ci presenta gli aspetti più importanti di questa opera.

Alessandro De Marchi
Alessandro De Marchi

«Si tratta della prima esecuzione dell’opera completa in tempi moderni. Storicamente si può inquadrare nel contesto del mecenatismo illuminato di Federico II di Prussia, che era un uomo politico, monarca, soldato ma anche musicista e poeta, che per riposarsi dopo una battaglia ad esempio scriveva versi in francese, e che si circondò di alcune delle menti più interessanti dell’epoca. Per la musica basta pensare ai Benda, Quantz, C.P.E. Bach, e Graun che era l’operista di corte – per non parlare poi di Voltaire – e anche gli interpreti legati alla corte, cantanti, strumentisti e danzatori, erano di straordinaria qualità. Il libretto di Silla è stato scritto in versi e in prosa in francese ed è poi stato traslitterato in italiano con la traduzione in tedesco a fianco. Il ruolo centrale è quello di un regnante, un tiranno per l’esattezza, e racconta delle tensioni interne tra l’uomo di stato e l’individuo. L’opera venne rappresentata a Berlino nel teatro Unter den Linden nel 1753 e rimase a lungo in repertorio anche dopo la morte del compositore. Federico II era molto legato a Graun, e pare che seguisse con attenzione ogni esecuzione per verificare che non ci fossero errori».

«La mia impressione, dopo tanti anni di riscoperte di opera napoletane, come quelle di Scarlatti, Porpora, Provenzale, Broschi, è che in questo Silla di Graun ci siano numerosi echi dell’opera napoletana che risuonarono nella Berlino dell’epoca».

«La mia impressione, dopo tanti anni di riscoperte di opera napoletane, come quelle di Scarlatti, Porpora, Provenzale, Broschi, è che in questo Silla di Graun ci siano numerosi echi dell’opera napoletana che risuonarono nella Berlino dell’epoca. Credo che come nel di caso Telemann, Graun adattasse lo stile musicale alla lingua del libretto. Le sue opere in tedesco sono simili a quelle di Kaiser, per esempio, mentre in questo caso sembra per certi versi di sentire Pergolesi, e certamente il compositore tedesco plasmava e adattava la musica a seconda della lingua. Per l’epoca aveva un cast strepitoso, e penso che anche il nostro lo sia. Per questo vorrei citarli entrambi: Silla fu cantato dal famoso castrato contralto Giovanni Carestini, e noi avremo Bijun Mehta; Metello fu intrepretato dal celebre Porporino e sarà affidato a Valer Sabadus; Postumio fu Paolo Bedeschi detto Paolino, e sarà Samuel Mariño; e Lentulo che era il famoso Pasqualino, al secolo Pasquale Bruscolini, verrà intonato da Hagen Matzeit; poi Ottavia, il cui ruolo in origine fu di Giovanni Astrua, sarà Eleonora Bellocci, e Fulvia che all’epoca fu Giovanna Gasparini, sarà Roberta Invernizzi. Infine c’è un piccolo ma importante ruolo, quello di Crisogono, all’epoca Antonio Romani, che sarà cantato da Mert Süngü».

Le altre opere in programma sono Astarto, di Giovanni Maria Bononcini, rappresentata a Roma nel 1715 e poi revisionata a Londra nel 1720, su libretto di Zeno e Pariati rielaborato da Paolo Rolli, che verrà eseguita dall’Enea Barock Orchestra diretta da Stefano Montanari, e L’amazzone corsara di Carlo Pallavicino, che esordì a Venezia nel 1686 su libretto di Giulio Cesare Corradi, che sarà presentata dalla Barockorchester:Jung e da un altrettanto giovane cast vocale diretti da Luca Quintavalle che racconta il carattere musicale di questo autore poco noto.

Luca Quintavalle
Luca Quintavalle

«Le opere di Carlo Pallavicino e di altri compositori della sua generazione, come ad esempio Legrenzi, Ziani, Sartorio, costituiscono un anello di congiunzione fondamentale tra l'estetica di Cesti e Cavalli e quella dei giovani Provenzale e Alessandro Scarlatti. Sono molto importanti per la formazione delle nuove convenzioni compositive del genere e pongono le basi per la nascita dell'opera del XVIII secolo. Le scene diventano sempre più chiaramente divise nella struttura del recitativo-aria, le arie assumono sempre più la struttura del da capo, e all'orchestra viene dato un ruolo sempre più importante. Tutto questo si ritrova in Pallavicino al massimo livello compositivo. Le arie, anche se sono ancora brevi, hanno sempre un carattere chiaro, un'individualità riconoscibile e uno schema armonico o melodico che ci tocca fin dal primo ascolto. Nei ritornelli, l'orchestra non si limita a suggerire l'idea tematica principale, ma spesso riprende idee tematiche dalla parte B o motivi caratteristici dell'aria e li sviluppa in direzioni nuove e indipendenti. Ma i recitativi presentano ancora elementi armonici e strutturali seicenteschi che li rendono molto più interessanti di quelli settecenteschi, molto più scarni. Nella sua arte musicale ritroviamo l'espressione della serenità, della grazia e dell'intimità, ma spesso sono presenti anche elementi popolareggianti. In generale direi che ha un talento nettamente marcato per il sogno, la malinconia e la rassegnazione, e sebbene Pallavicino non sia esattamente conosciuto come un autore che presenta un'estetica ricca di contrasti drammatici e personaggi comici, credo che L'Amazzone corsara sia una eccezione, perché offre diverse scene di forte impatto emotivo ma anche altre di grande divertimento».

«Le opere di Carlo Pallavicino e di altri compositori della sua generazione, come ad esempio Legrenzi, Ziani, Sartorio, costituiscono un anello di congiunzione fondamentale tra l'estetica di Cesti e Cavalli e quella dei giovani Provenzale e Alessandro Scarlatti».

Oltre a queste rarità operistiche, che sono uno dei punti di forza del festival, nel suo cartellone risalta la notevole quantità di concerti che appaiono tutti di altissima qualità, grazie alla presenza di eccellenti ensemble nei cui programmi c’è moltissima musica di autori italiani medievali, rinascimentali e barocchi: Ars Antiqua Austria, Le Caravansérail, Ensemble Diderot, Between the Strings, Fretwork, Akademie für Alte Musik Berlin, Les Arts Florissants, Le Musiche Nove, La Fonte Musica, La Cetra Barockorchester & Vokalensemble, Le Consort. Oltre a questi c’è la curiosa proposta dell’arrangiamento moderno di Massimiliano Toni del capolavoro monteverdiano, Orfeo 2.0, eseguito da La Terza Prattica, e l’esecuzione della versione in lingua italiana del Messia di Handel, tradotto dall’abate fiorentino Antonio Pillori nel 1768, che sarà eseguito dalla Innsbruck Festival Orchestra diretta da De Marchi che mette in risalto le singolarità di questa versione.

«Si tratta della prima esecuzione di un oratorio di Handel che avvenne al di fuori dell’Inghilterra, dopo la sua morte, ed è importante per la storia della ricezione della sua musica. Il progetto è frutto della coproduzione con il festival di Halle. La fondazione della Handel House ha acquisito il manoscritto, che si credeva perduto, che contiene la traduzione in italiano dell’oratorio. La sua esecuzione è legata alla figura di George Nassau Clavering, un eccentrico nobile inglese che aveva stabilito il suo domicilio a Firenze, e che fu un personaggio chiave per l’arte e per il mecenatismo, grazie ai suoi legami con Pietro Leopoldo di Asburgo. A Firenze tra il 1768 e il 1772 furono eseguiti in versione italiana l’Alexander Feast, Acis e Galatea, molto probabilmente Giuda Maccabeo, e sicuramente più esecuzioni documentate del Messia, che fu eseguito il 6 agosto del 1768 a Palazzo Pitti da una piccola orchestra e un coro di sedici persone con solisti all’epoca molto famosi, tra i quali Francesco Bussani, che è stato il primo Don Alfonso del Così fan tutte. Noi conosciamo il nome del traduttore, del direttore d’orchestra e dei cantanti, ma non del revisore della partitura, che venne abbreviata e presenta lo spostamento di alcuni numeri. Inoltre rispettando la moda italiana e per favorire il ruolo del soprano, alcune arie originariamente destinate alla voce acuta maschile sono state destinate a quella femminile. È un bel grattacapo per gli interpreti che devono adattarsi al gusto italiano di quel tempo e quindi devono allontanarsi dalla prassi alla quale siamo abituati. In sostanza è una bella sfida perché bisogna dimenticarsi della versione originale. Nella partitura non si notano differenze sostanziali nelle parti orchestrali, ma nelle fonti dell’epoca si parla della presenza di due corni che nell’originale handeliano non ci sono. Anche in questo caso si tratta della prima esecuzione in tempi moderni».

Ma tra i gruppi invitati a partecipare al Festival c’è anche l’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, che dal 2024 sarà il nuovo direttore musicale delle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik.

Altrettanto importante e significativo è il lungo elenco dei solisti strumentali e vocali, da moltiplicare per ciascun ensemble, e per quanto riguarda le voci, durante la serata conclusiva del 28 agosto, i concorrenti finalisti della 13° edizione del Cesti-Wettbewerbs intoneranno alcune arie da La fida ninfa di Antonio Vivaldi che fu rappresentata a Verona nel 1732 e che sarà uno dei fulcri del programma della edizione 2023 del Festival tirolese.

Tutte le informazioni si trovano sul sito del Festival di Innsbruck.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

classica

La Folía, motore e fonte di ispirazione per musicisti di tutte le epoche nel racconto di Jordi Savall

classica

Dieci memorabili incisioni per ripercorrere parte del percorso artistico di una leggenda del pianoforte

classica

L’incontro tra Samuel Mariño e il Concerto de’ Cavalieri nel segno di Vivaldi