Doppio sguardo su Debussy

Nei loro libri Fischer-Dieskau e Walsh offrono due ritratti appassionati e sfaccettati del compositore francese

Claude Debussy
Articolo
classica

A volte capita: due libri dedicati allo stesso argomento con la stessa immagine di copertina. È il caso dei volumi di Dietrich Fischer-Dieskau Claude Debussy e il suo mondo (Unicopli 2019, 470 pp.) e di Stephen Walsh Claude Debussy. Il pittore dei suoni (EDT 2019, 384 pp.). Uscite nelle loro edizioni italiane a distanza di qualche mese l’una dall’altra, in verità queste due monografie dedicate al compositore francese non condividono solo l’uso della stessa foto scelta per presentarsi ai lettori, ma anche uno sguardo appassionato e un certo tono confidenziale che i due autori hanno distribuito tra le pagine dei loro lavori, seppur sviluppati con prospettive e approcci affatto differenti.

Debussy
Claude Debussy

Tradotto dal critico e musicologo piacentino Francesco Bussi, il libro di Fischer-Dieskau – pubblicato in origine nel 1993 con il titolo Fern die Klage des Fauns. Claude Debussy und seine Welt (Remoto il lamento del fauno. Claude Debussy e il suo mondo) – inaugura la collana della casa editrice milanese “Musica pensante” diretta da Mariateresa Dellaborra con un testo che lo stesso Bussi nella sua introduzione tratteggia come il lavoro originale di un grande cantante che si rivela anche un attento narratore: «D’accordo, il baritono Fischer-Dieskau non si sarà compenetrato nel Debussy vocale così a fondo e assiduamente come nel repertorio italiano e tedesco, limitandosi magari alle Ariettes oubliées o al Golaud del Pelléas. Ma è proprio questa anomala monografia a significare, impensabilmente, un interesse e una partecipazione, che perdurano per quasi 500 pagine. Entro la vasta letteratura incentrata sulle opere e sui giorni di Debussy la fatica letteraria di Fischer-Dieskau spicca con l’originalità di un unicum».

Con il primo capitolo titolato “Epilogo come prologo” il libro prende le mosse dalla morte del compositore francese, o meglio dalla seconda sepoltura che avviene «nel camposanto di Passy, che ora un anno dopo le esequie nel Père Lachaise deve accogliere definitivamente le spoglie mortali di Debussy». Testimone dell’evento «un signore tutto vestito di grigio» che, dopo qualche pagina, si scopre essere Paul Dukas, anch’egli tra i protagonisti della scena musicale parigina tra Otto e Novecento, figura che accompagna l’autore di questo volume lungo l’intera narrazione. Amico di Debussy, di Dukas Fischer-Dieskau fa emergere anche una certa insofferenza per il talento di Claude. A dire la verità, Dukas pareva soffrire in generale il confronto con i suoi contemporanei più “rivoluzionari”, uno tra tutti Arnold Schönberg (a tale proposito si veda il capitolo “Dukas brucia i suoi lavori”).

Una sorta di insicurezza, quella dello stesso Dukas, che non mina comunque l’affetto verso l’amico prematuramente scomparso, come emerge di tanto in tanto lungo il dispiegarsi di una narrazione che Fischer-Dieskau tratteggia con appassionata dedizione, facendo affiorare nei 49 capitoli nei quali si articola il suo racconto i diversi elementi della personalità di Debussy, dall’interesse “critico” per Bach al rapporto con D’Annunzio, il tutto documentato attraverso una nutrita bibliografia che, con gli indici delle opere citate e dei nomi, completa questo denso lavoro.

Lo sguardo differente rivolto al compositore francese, rispetto a quello adottato dal baritono scomparso nel 2012, Stephen Walsh lo dichiara fin dal “Preludio” al suo recente lavoro (edizione originale: Faber & Faber 2018): «Quella che segue è dunque in un certo senso una biografia, ma una biografia particolare, che si è prefissa di considerare la musica di Debussy come l’espressione cruciale della sua vita intellettuale e non, come capita di leggere in tante vite di musicisti, come una sequenza un po’ esasperante di eventi casuali che sostengono la storia senza aggiungervi granché di narrativo. […] Non saprei immaginare gioia più grande di quella che mi ha procurato occuparmi di Debussy, della sua vita e della sua opera».

Una dichiarazione di intenti che trova conferma in una sorta filo rosso che lega i quattordici capitoli che compongono questo lavoro, un leitmotiv che prende la forma di uno sguardo assieme coinvolto e spassionato, una sorta di dicotomia che appare come la cifra più originale della narrazione dello studioso e critico inglese, qui proposta nell’attenta traduzione di Marco Bertoli. Dai ricchi rimandi biografici che emergono nel corso della lettura affiorano passaggi di interessante decodifica dedicati ai caratteri più prettamente musicali dell’opera di Debussy come, per esempio, la lettura del rapporto con la pittura. Nel capitolo “Bilitis e altre donne”, infatti, si può leggere che «i Nocturnes di Debussy sono “impressionistici” perché i loro contorni appaiono sfocati, come alquanto sfocati appaiono i dipinti. Qui non si tratta di dare nome a degli oggetti come avviene guardando un dipinto: questa è musica, dopo tutto. Ma in qualche modo Debussy stimola una risposta emotiva simile a quella di Monet, e il termine che la descrive assegna una parola a quel sentimento. È facile non prendere sul serio associazioni di questo genere, ma in tali etichette, come spesso accade con la vox populi, si nasconde della verità». O ancora, nel capitolo “Una casa in rovina e una cattedrale sommersa”, trattando del preludio de La chute de la maison Usher Walsh si interroga: «Impressionismo o simbolismo? Di nuovo, davanti a questa musica, la domanda si dimostra priva di senso. I suoni sono suoni».

Più avanti si legge, tra l’altro, del rapporto tra musica e tempo nell’opera del compositore francese: «[…] Des pas sur la neige presenta, quasi da poterla toccare, un’idea di tempo protratto e sondato in cerca di un contenuto nascosto. Si potrebbe dire che è musica che non va da nessuna parte; è una “capsula del tempo” nella quale sperimentiamo l’estensione per poi uscirne, come fa il soldato nell’Histoire du soldat di Stravinsky, ritrovandoci precisamente come e dove eravamo quando ci siamo entrati, ma in possesso di qualche nozione che prima ci era ignota». Queste sono solo alcune delle tante suggestioni offerte da Walsh, arricchite dalle note al testo, oltre che dalla bibliografia selezionata e dall’utile indice analitico.

Due libri questi su Debussy che, a dispetto della copertina quasi identica, alla fine offrono un doppio sguardo ugualmente appassionato ma palesemente differenziato, due prospettive differenti sul vissuto e sull’opera di un autore che appare lungi dall’aver esaurito il racconto della propria vita e della propria musica.

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