Dalla e Battisti, le vite parallele

Per gli ottant'anni dei due Lucio – Dalla e Battisti – ripercorriamo le loro storie artistiche in 10 coppie di canzoni (più una)

Dalla e Battisti, le vite parallele
Dalla e Battisti, le vite parallele
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pop

Accomunati dal destino dello stesso nome – “Lucio” – e dalla nascita a un solo giorno di distanza – 4 marzo 1943 Lucio Dalla, 5 marzo 1943 Lucio Battisti – i due cantautori sembrano in realtà avere carriere e vite piuttosto distinte.

Non hanno mai collaborato tra loro, intanto. Per lunghi anni hanno inciso per etichette rivali (RCA Dalla, Ricordi Battisti) e non ci è dato sapere se si conoscessero o stimassero (di Dalla, generoso nel rilasciare interviste, sappiamo che apprezzava i dischi del Battisti più sperimentale. Era ad esempio un fan di E già. Ma Battisti, che pensava del collega?).

La suggestione è però sufficiente. Così, per gli 80 anni di entrambi, mentre intorno imperversano tributi, ristampe a tiratura limitata su vinile fucsia e libri che ricicciano i soliti cinque aneddoti, abbiamo deciso di mettere insieme Lucio Dalla e Lucio Battisti in 20 canzoni + due.

22 canzoni – 11 a testa in totale – per raccontare le loro vite parallele, a volte divergenti, spesso convergenti. Ne esce fuori un percorso originale, e in buona parte inatteso, nella storia della musica pop italiana dagli anni sessanta agli anni novanta del Novecento. Buon ascolto!

 

Edoardo Vianello e i Flippers, “I Watussi”, 1963

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I Campioni, “Sei la sola”, 1965

Chissà se i due Lucio, poco più che ventenni, hanno incrociato le loro strade in epoca beat su qualche palco di provincia, con le rispettive band d’esordio?

Dalla, ex bambino prodigio (ma come attore) comincia la sua carriera di musicista suonando jazz, e quando nel 1962 entra nei Flippers ha già una buona esperienza di palco come clarinettista. I Flippers sono il gruppo che accompagna abitualmente Edoardo Vianello. Fra i suoi successi di quegli anni c’è “I Watussi” – un brano che oggi difficilmente passerebbe il filtro del politicamente corretto. Dalla è nella formazione che porta il pezzo al Cantagiro, e dovrebbe essere anche fra quelli che ne incidono la versione di studio (la voce nel coretto, in effetti, sembra proprio la sua…).

Poco dopo, Battisti fa il suo esordio nei Campioni, storico gruppo milanese con formazione piuttosto variabile: fra i molti che ci sono transitati c'è anche ad esempio Fausto Papetti… Nati all’inizio dei Cinquanta come Rocky Mountains Ol' Time Stompers e specializzati in un repertorio americano molto vario, i Campioni erano poi diventati alla fine del decennio il gruppo di Tony Dallara, adottando un suono alla Platters e comparendo in diversi musicarelli, ad esempio in I ragazzi del juke-box. Alla metà dei sessanta sono ormai a fine percorso: si scioglieranno nel 1967. Battisti, che entra intorno al 1964, fa tempo a incidere alcune cover come chitarrista e corista, ad esempio “Sei la sola”, versione italiana di “Pretty Woman” di Roy Orbison. 

 

Lucio Dalla, “Quand’ero soldato”, da 1999 (1966)

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Lucio Battisti, “Per una lira”, 1966

Dopo un esordio incerto come cantante soul, senza alcun riscontro di pubblico, nel 1966 Dalla passa a incarnare per così dire la “linea comica” del beat italiano. Nello stesso anno partecipa a Sanremo con “Paff… Bum”, in abbinamento con gli Yardbirds, e pubblica il suo primo album 1999. Fra i singoli spicca “Quand’ero soldato”, in cui dà già sfogo a tutte le sue molte voci e vocette (ascoltate la sequenza psichedelica verso la fine per scoprire dove si è abbeverato Vinicio Capossela).

Battisti esordisce invece come cantante e autore con la deliziosa “Per una lira”, un po' Procol Harum ante litteram, un po' soul, con tanto di fiati black che certo non sarebbero dispiaciuti allo stesso Dalla… 

 

Lucio Dalla, “Orfeo bianco”, da Terra di Gaibola (1970)

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Lucio Battisti, “Mi ritorni in mente”, da Emozioni (1970)

…e in effetti i fiati un po’ sporchi in stile Stax, con in più una certa via italiana al Wall of Sound di Phil Spector (stile Ruggero Cini, che arrangia molte delle cose RCA di questi anni, Dalla compreso) si ritrovano sia nel successivo disco di Dalla, Terra di Gaibola, sia nell’infilata di singoli che Battisti sforna tra 1969 e 1970, molti dei quali raccolti in Emozioni. Se il successo di massa per Dalla continua a mancare, Battisti è ormai esploso nel mainstream nel giro di un paio di stagioni appena, e a questa altezza storica è già uno degli artisti di punta di Ricordi. Le canzoni di questi anni mostrano alla perfezione quale perfetta macchina sia già il sodalizio con Mogol.

Di Dalla, da Terra di Gaibola, scegliamo “Orfeo bianco”, con testo – bellissimo – di Paola Pallottino: “Orfeo scende all'inferno / La fabbrica o la banca / Orfeo cerca l'estate / Sulla tua pelle bianca”. Di Battisti, difficile trovare in questi anni un “pezzo minore”: sembrano esserci solo singoloni da compilation comprata all'Autogrill, ma per affinità di sound puntiamo su “Mi ritorni in mente”, certi di non sbagliare il colpo.

 

Lucio Dalla, “Itaca”, da Storie di casa mia (1971)

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Lucio Battisti, “Supermarket”, da Amore non amore (1971)

Il 1971 è l’anno del primo successo di Dalla, a Sanremo, con “4 marzo 1943”: è un Dalla diverso, più “cantautore” nel suono e nell’approccio (anche se il brano è, ancora, di Paola Pallottino). Per Battisti è invece l’anno della consacrazione definitiva, con brani come “Pensieri e parole” e “La canzone del sole”… ma anche di un disco bizzarro e in certi passaggi proto-prog (in studio c’è la PFM, che di lì a poco debutterà con “Impressioni di settembre) come Amore e non amore, con lunghi strumentali di cui Mogol firma i torrenziali titoli (questioni di SIAE?): “Seduto sotto un platano con una margherita in bocca guardando il fiume nero macchiato dalla schiuma bianca dei detersivi”.

I punti in comune fra i due Lucio comunque non mancano: nei modelli vocali, ad esempio, che guardano a un certo pop-soul nero americano. Lo stile dei testi, però, diverge: da un lato l’italiano colto e a volte un po’ demodé di Pallottino, Baldazzi, Bardotti – ad esempio in “Itaca”: "Capitano, che risolvi con l'astuzia ogni avventura / Ti ricordi di un soldato che ogni volta ha più paura?" Dall’altro un Mogol hyper-pop che punta tutto sul linguaggio quotidiano, quasi iperreale, ad esempio in “Supermarket”: “Scatolette colorate / Carni rosa congelate / C'è di tutto intorno a me / Ma lei non c'è, no”.

 

Lucio Dalla, “La canzone d’Orlando”, da Il giorno aveva cinque teste (1973)

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Lucio Battisti, “Ma è un canto brasileiro”, da Il nostro caro angelo (1973)

Dopo un discreto successo con “Piazza grande”, Dalla si orienta ora in direzione di una canzone quasi progressive, avviando la collaborazione con il poeta Roberto Roversi: Il giorno aveva cinque teste è un album a tratti ostico, in cui le canzoni perdono la forma tradizionale per allungarsi dismisura o ridursi a piccoli haiku (ad esempio “La canzone d’Orlando”, sintesi perfetta di dolcezza in 1 minuto e 40 secondi). Il flow che Dalla deve inventarsi per stare sul tempo e cantare i testi dell’illustre collaboratore senza modificarli (erano infatti intoccabili!) è quanto di più originale si sia sentito in Italia fino a quel momento… 

… almeno fino a Battisti. Se il Lucio più giovane gioca in questi anni in un altro campionato in termini di esposizione mediatica e di vendite, le sue soluzioni sull’italiano cantato sembrano le uniche a rivaleggiare per originalità con quelle di Dalla. Da qui parte molta della canzone italiana successiva: ascoltare per credere “Ma è un canto brasileiro”: "Io non ti voglio più vedere sul muro davanti ad un bucato / Dove qualcuno c'ha disegnato pornografia a buon mercato".

 

Lucio Dalla, "Tu parlavi una lingua meravigliosa", da Anidride Solforosa (1975)

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Lucio Battisti, "Abbracciala abbracciali abbracciati", da Anima Latina (1974) 

Tra la fine del 1974 e i primi giorni del 1975 i due Lucio sfornano due dischi che sembrano ancora puntare verso galassie differenti.

Se Anima Latina è il disco di un artista che prende in mano in modo ancora più personale tutto l’aspetto produttivo, che gioca con lo studio di registrazione e gli aspetti formali, Dalla si trova nel cuore poetico della sua collaborazione con Roversi e guarda apertamente a temi sociali con il lirismo obliquo del poeta. Queste due canzoni, molto diverse in tutto, sono accomunate da una sorta di allucinazione amniotica in cui sembrano galleggiare: l’arrangiamento di Ruggero Cini avviluppa in un roveto di archi spinosi la crescente consapevolezza melodica dell’impossibilità di un incontro, mentre il più “cosmico” tracciato di Mogol/Battisti annega in una sorta di caligine proto trip-hop lo smarrimento in cerca di unità.

Due capolavori ignari l’uno dell’altro.  

 

Lucio Dalla, "Il cucciolo Alfredo", da Come è profondo il mare (1977) 

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Lucio Battisti, "Amarsi un po’", da Io tu noi tutti (1977)  

Alla sua prima prova da cantautore completo che si fa carico anche dei testi, Dalla trova una coerenza poetica e espressiva sbalorditiva. Ogni canzone è un mondo in cui la quotidianità, la poesia e soluzioni musicali differenti si intrecciano con una naturalezza quasi inspiegabile. Mentre un Lucio si rende autonomo, l’altro guarda al suono radiofonico USA e affida una serie di riflessioni sulla coppia a un AOR plasticoso e accattivante (che avrà infatti gran successo) dentro cui far rimbalzare i propri desideri.

E se Dalla con “Il cucciolo Alfredo” si immerge nel proprio tempo – le lotte studentesche e politiche del periodo – Battisti (e Mogol) si affaccendano a allestire un manualetto d’amore in cui verbi e prescrizioni scivolano l’uno sull’altro come slittando sulla pigra funkyness che scorre sotto di loro. Entrambe, nel loro genere, canzoni indimenticabili.

 

Lucio Dalla, "Meri Luis", da Dalla (1980)

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Lucio Battisti, "Perchè non sei una mela", da Una giornata uggiosa (1980) 

Il 1980 coglie Dalla al culmine del suo stato di grazia (brani come “Cara”, “Futura”, “La sera dei miracoli”, “Balla balla ballerino” valgono da soli il prezzo del culto), mentre Battisti azzecca un paio di chicche come “Con il nastro rosa” e “Orgoglio e dignità”, ma mediamente la percezione è che il suono ammantato di morbido funky non giovi troppo al disco.

Lasciando ai più abili solutori del dilemma la faccenda, delle retrovie dei due dischi emergono un paio di piccole gemme di modernità: la “Meri Luis” che esplora un what if istintivo e gioioso contro il logorio della vita moderna e la prevaricante, ma fascinosa, "Perché non sei una mela” esplodono, ciascuna a modo suo, di vitalità, più rock la prima, decisamente yacht-pop la seconda. Ancora modernissime.

 

Lucio Dalla, "Washington", da Viaggi Organizzati (1984)

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Lucio Battisti, "Fatti un pianto", da Don Giovanni (1986)

Ah, oggi (2023) è tornato nel pop quel bel suono anni Ottanta! Ma quale suono? Il synth-pop della post-apocalittica e strepitosa “Washington” di Dalla (guardate il video!) sembra una cineseria piovuta dal Bowie di Let’s Dance, mentre il duo Greg Walsh/Robin Smith accoglie le prime capriole verbali di Pasquale Panella in una specie di ambient neoclassica su cui Battisti stende alcune delle sue invenzioni melodiche migliori.

Sono entrambi mondi che sembrano usciti da Blade Runner: il sax romantico/noir che introduce “Fatti un pianto” viene travolto da una funkyness ironica e vagamente robotica che sale fino all’esplosione di petali del momento “parole d’amore/grosse lacrime sciocche” che lacera per un istante l’illusione di realtà. Due pezzi che gli archeologi del futuro studieranno senza capacitarsi della raffinatezza dei meccanismi per una civiltà per loro così arretrata…

 

Lucio Dalla, "Le rondini", da Cambio (1990)

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Lucio Battisti, "I ritorni", da La sposa occidentale (1990)

Come si entra negli anni Novanta (che poi saranno dominati dalle Pausini e gli Antonacci)? Ognuno col suo viaggio ognuno diverso direbbe qualcuno. E se il viaggio del Lucio bolognese si sta un po’ adagiando su un lirismo un po’ sdolcinato (il successo della “Caruso” di qualche anno prima aveva fatto più di qualche danno), l’altro Lucio è completamente immerso in un techno-pop a cui ha sottratto anche gli archi e a cui affida intuizioni melodico e armoniche sorprendenti a fare slalom tra i paletti delle acrobazie verbali panelliane.

E se per molti Cambio è collegata all’ossessionante “Attenti al lupo”, conviene affidarsi all’afflato spirituale di “Le rondini” per ritrovare quell’esploratore curioso e incurante delle convenzioni che aveva sconvolto l’Italia solo un paio di lustri prima. E se per molti il Battisti “bianco” de La sposa occidentale è un enigma di autoreferenzialità, è forse perché non lo hanno ascoltato bene: la melodia de “I ritorni” sembra smaltata da una grazia lucente su versi che si incastrano come ingranaggi in una sorta di eterno presente amoroso.  

 

Lucio Dalla, "Canzone", da Canzoni (1996)

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Lucio Battisti, "Tubinga", da Hegel (1994)

E se le vite parallele di Dalla e Battisti si devono chiudere con la metà dei Novanta, quando il secondo pubblica il suo ultimo album prima di ritirarsi e poi sparire definitivamente da questo piano di esistenza nel 1998, è difficile non notare come le due storie sembrino per molti versi cronologicamente speculari. 

Nei primi settanta Dalla lottava per emergere con dischi tanto complessi quanto difficili – come quelli della trilogia con Roversi – e Battisti pubblicava hit a raffica. Ora la bilancia pende nella direzione opposta. Dalla, rivitalizzato da “Attenti al lupo”, si conferma ai vertici delle classifiche con Canzoni, dove spicca la quasi eponima “Canzone”, firmata insieme a un giovane Samuele Bersani (ma anche “Ayrton”, dedicata a Senna). Battisti tocca invece il vertice ermetico del suo periodo bianco con Hegel, da cui scegliamo “Tubinga”: ostica, a dir poco, eppure geniale. La vera strada non percorsa della canzone italiana, quella della complessità ai limiti del surreale – ma non chiamatelo nonsense: “Io decorato di passamanerie come un divano / Per dirti siediti, distendi le tue gambe / Ed usura il tessuto col tallone / Poi dormici su che poi, quando ti svegli / Parlandoti di me ti dirò Egli".

Dopo questo, che si può ancora cantare di originale? 

 

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