10 dischi per ricordare McCoy Tyner

Un percorso attraverso la carriera di Alfred “McCoy” Tyner, maestro del pianoforte, morto a 81 anni

McCoy Tyner - morte
Articolo

Un gigante del jazz ci ha lasciato: McCoy Tyner è stato un pianista fondamentale nella storia della musica afroamericana, in particolare per l’iconico uso dell’armonizzazione per quarte, ma anche per la potenza, la brillantezza, la fantasia del suo pianismo.

Giustamente ricordato per il fondamentale contributo al quartetto di John Coltrane (con cui suonò per tutta la prima metà degli anni Sessanta), è però stato prezioso sideman per molti altri capolavori del jazz di quel periodo, con Freddie Hubbard, Joe Henderson, Wayne Shorter e molti altri.

Per ricordarlo abbiamo selezionato però 10 momenti dalla sua – altrettanto stimolante – discografia come leader, intrapresa dapprima in un intenso periodo per la Impulse! e poi, a partire dalla fine della collaborazione con Coltrane, per la Blue Note, la Milestone e altre etichette.

Buon viaggio, McCoy!

 

1. “Effendi” da Inception (Impulse!, 1961)

Un giovane McCoy Tyner (aveva 23 anni), al tempo della sua collaborazione con Coltrane, debutta in trio con Art Davis (contrabbasso) e Elvin Jones (batteria) e ci fa scoprire la sua brillante esuberanza ritmica e melodica, oltre alla sapienza armonica.

2. “Contemporary Focus” da Today And Tomorrow (Impulse!, 1963)

Tra i dischi per la Impulse! del periodo 1961/64 – tutti raccomandati a scatola chiusa – che principalmente esplorano, con differenti sezioni ritmiche, la formula del trio, ci va di ricordare anche il dinamico Today and Tomorrow, che contiene anche tre brani in sestetto con Thad Jones alla tromba e due sassofonisti pazzeschi e sottovalutati come Frank Strozier (alto) e John Gilmore (tenore).

3. “Passion Dance” da The Real McCoy (Blue Note, 1967)

L’anno della scomparsa di Coltrane, il cui quartetto aveva lasciato nel 1965, Tyner debutta con un proprio disco per la Blue Note: con lui ci sono Ron Carter al basso e l’altro “transfuga” coltraniano, Elvin Jones alla batteria, nonché uno dei sax tenore più originali del jazz moderno, Joe Henderson. Il risultato è una vera bomba: la musica di Tyner innesta l’approccio modale su un turbine di estatica energia.

4. “Man From Tanganyka” da Tender Moments (Blue Note, 1968)

Anche i dischi del “periodo Blue Note” – che dura fino al 1970 – sono tutti più o meno da consigliare in blocco. Tra le delizie peschiamo intanto questo pezzo dal sapore africano giocato in una sapiente architettura di strumenti che coinvolge non solo uno scintillante Lee Morgan alla tromba, ma anche James Spaulding e Bennie Maupin ai sassofoni e un robusto pulsare di trombone, tuba e corno francese.

5. “Peresina” da Expansions (Blue Note, 1970)

Quanto la musica di Tyner sia stata, nel tumultuoso periodo a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, uno smagliante punto di snodo tra le certezze hard-bop, le ipnosi modali, la sapienza nell’arrangiamento e le tensioni avant (che pure non hanno mai sedotto il nostro) è ben dimostrata in molti episodi, come questo alla testa di una formazione con Gary Bartz al contralto, Wayne Shorter al tenore e Woody Shaw alla tromba.

6. “Asante” da Asante (Blue Note, 1970)

Il richiamo per l’Africa e la capacità di lavorare sul tessuto collettivo del gruppo è ben testimoniata da questo disco, caratterizzato tra le altre cose dalla presenza di percussioni e voce femminile (Songai Sandra Smith), dalla chitarra di Ted Dunbar e dal sax alto di un maestro sottovalutato come Andrew White.

7. “Valley Of Life” da Sahara (Milestone, 1972)

Il passaggio all’etichetta Milestone si apre con le atmosfere orientali e africane di Sahara, disco che riscuoterà anche una buona fortuna commerciale e che vede il nostro alle prese con strumenti come il koto, oltre al consueto pianoforte. Con lui Sonny Fortune a sassofoni e flauto, Calvin Hill al basso e Alphonse Mouzon alla batteria.

8. “Native Song” da Song For My Lady (Milestone, 1973)

Il mood del periodo, a non voler imboccare le strade del jazz elettrico, è quello: estasi, esotismo, spiritualità, radici. Tyner è al top della propria forma e fa danzare attorno a sé gruppi e flussi di energia che sono ancora oggi punto di riferimento per le recenti waves del jazz. Un ottimo esempio (con Michael White al violino)? Eccolo qui.

9. “Celestial Chant” da Trident (Milestone, 1975)

Tyner torna al trio in compagnia di due stelle (e vecchi amici) come Ron Carter e Elvin Jones con questo lavoro: energico e denso come sempre, il suo gesto strumentale si amplia qui anche all’uso del clavicembalo e della celesta.

10. “Flying High” da Infinity (Impulse!, 1995)

Per tutti gli anni Ottanta Tyner continua a pubblicare dischi e suonare in giro per il mondo: la qualità non è mai meno che buona, nonostante l’urgenza espressiva sembri – anche fisiologicamente – meno dirompente. Tra le cose del decennio successivo, per chiudere anche idealmente il cerchio con gli esordi coltraniani, scegliamo questo fortunato disco in quintetto con Michael Brecker al sax tenore, ottimo esempio di mainstream ai massimi livelli.