Una Butterflyi  vista già altre volte, ma con una sorpresa

Era già nota la regia di Ollé, Roberto Abbado era al suo, debutto in quest’opera, la protagonista è stata sostituita all’ultimo minuto

Madama Butterfly (Foto Fabrizio Sansoni)
Madama Butterfly (Foto Fabrizio Sansoni)
Recensione
classica
Roma, Teatro dell’Opera
Madama Butterfly
16 Giugno 2023 - 25 Giugno 2023

Creata nel 2015 per le Terme di Caracalla, ripresa nel 2021 al Circo Massimo, questa produzione della Madama Butterfly  firmata da Àlex Ollé (de La Fura dels Baus) è giunta ora al Teatro dell’Opera senza perdere nulla del suo impatto per il trascorrere del tempo o per il necessari adattamento delle scene di Alfons Flore al nuovo spazio. Anzi ne ha guadagnato. In un vero teatro si sono infatti percepiti meglio tanti aspetti di una regia che non punta affatto a una spettacolarità di tipo “areniano” ma anzi lavora molto sui dettagli per esprimere il dramma di questa ragazza comprata per il proprio piacere da un ricco americano, che la illude, l’abbandona e dopo tre anni torna da lei soltanto per prendersi anche il figlio, l’unico bene che le resta. Per sapere di più sullo spettacolo si rimanda a quel che se ne è scritto nel 2015 e nel 2021.

Si può aggiungere che Ollé questa volta ha leggermente smorzato l’asprezza della sua regia, ma si tratta di ben poco. Per esempio nella seconda parte dell’opera ha attenuato la trasformazione della delicata giapponesina in una ragazza esacerbata e sgraziata, eliminando i tatuaggi che la ricoprivano e nascondendo in parte con una vestaglia la dozzinale canottiera con la bandiera a stelle e strisce stampata e i volgari minipantaloncini da lei indossati (i costumi sono di Lluc Castells). Lavorare al chiuso ha permesso inoltre alcuni nuovi suggestivi effetti luminosi (luci di Marco Filibeck), come la notte che cala durante il duetto tra Cio-Cio-San e Pinkerton alla fine del primo atto, rendendo più sensuale quel momento, allorché lei si concede a lui con ingenuo ma sincero amore e anche lui per un breve attimo non finge ma è spinto da un impulso sincero, cioè l’attrazione sessuale per la quindicenne che si è comprata con i suoi dollari.

La parte musicale era invece totalmente nuova, e di ottimo livello. Novità nella novità, la protagonista è cambiata nella recita domenicale di cui qui si riferisce. Eleonora Buratto, che venerdì alla prima aveva riscosso un grande successo personale, ha dato forfait  per motivo di salute e si è trovata una sostituta d’emergenza in Victoria Yeo, che era impegnata al Petruzzelli di Bari nelle prove dell’Otello.  Ha preso un taxi, durante il tragitto si è guardata sul tablet lo spettacolo ed è arrivata a Roma proprio all’ultimo momento, anzi dopo l’ultimo momento, perché è stato necessario ritardare di mezz’ora l’inizio dello spettacolo. La cantante coreana come attrice si è inserita senza imbarazzo in uno spettacolo che non conosceva e come cantante è stata eccezionale in una parte che evidentemente conosceva benissimo ed approfonditamente. Questa è un’opera musicalmente complessa, quindi qualche leggera sfasatura tra lei e l’orchestra c’è stata, ma l’esperienza ha permesso alla cantante e al direttore di recuperare subito, senza quasi farsene accorgere. Però questo conta poco o niente. Quel che conta è che la Yeo - che altre volte non ci aveva entusiasmato - è stata una Cio-Cio-San superlativa, molto intensa e drammatica: commovente ma mai melensamente sentimentale, tragica ma mai esageratamente melodrammatica. Non è bello fare confronti ma questa volta facciamo un’eccezione e diciamo che non cedeva al paragone con Asmik Grigorian, che nel 2015 è stata la prima interprete di quest’allestimento e il cui ricordo rimane indelebile.

Le stava a pari Roberto Frontali, vero coprotagonista di quest’edizione di Madama Butterfly.  Mai sentito prima uno Sharpless simile, magistrale per l’attenzione e l’intelligenza che emergono da ogni parola, sempre con l’accento millimetricamente esatto, grazie all’arte del canto raffinatissima di questo baritono giunto all’apice della maturità d’interprete. Bene anche il tenore ucraino Dmytro Popov, molto misurato e attento sia come attore che come cantante: rende benissimo l’ambivalenza di Pinkerton, apparentemente simpatico ma viscido, ipocrita, detestabile. Anna Maria Chiuri era Suzuki: nei lunghi momenti del secondo e terzo atto in cui era in scena da sola con Cio-Cio-San è stata non la spalla della protagonista ma una vera coprotagonista, per l’intensità con cui ha tratteggiato questa figura che condivide la tragedia della ragazza, portandovi la sua concretezza ed esperienza di donna matura. Molto bene anche Carlo Bosi, un Goro debitamente detestabile e volgare, che però non scade nel macchiettistico, come tante altre volte succede. All’altezza tutti i numerosi interpreti dei personaggi minori, tra cui si devono almeno citare Luciano Leoni (lo zio Bonzo) e Angela Nicoli (la madre di Cio-Cio-San).

Indubbiamente è merito anche del direttore, se la realizzazione musicale di un’opera complessa coma questa ha superato l’effetto destabilizzante che una protagonista con cui non si è provato un solo istante potrebbe avere su tutta l’esecuzione. Ma questo non è il principale merito di Roberto Abbado, che era al suo debutto nella Butterfly  e ne ha offerto una bellissima interpretazione, molto consapevole e approfondita. Ha reso tutta la ricchezza e la varietà dell’orchestra di Puccini e ha colto perfettamente le tante brevi e delicate frasi che si devono incastrare perfettamente l’una nell’altra per formare grandi organismi musicali, che, pur essendo articolati in tanti episodi, non devono perdere la loro coerenza drammatica e trasformarsi in una serie di bozzetti. Nei momenti di espansione lirica o di forte drammaticità ha invece costruito scene di grande compattezza, che portano a un continuo crescendo di tensione, portato all’estremo nella scena del suicidio che conclude l’opera.

Il pubblico che esauriva il teatro ha decretato un enorme successo al direttore, alla regia, ai cantanti tutti, con punte di entusiasmo per la Yeo, che alla fine era visibilmente commossa dal calore e - direi - dall’amore ricevuti da tutti gli spettatori.

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