Un tipico spettacolo dell'Opera di Roma, con tutti i segni d'una programmazione artistica affannosa, incerta e incoerente. Perché mai l'opera è preceduta da un prologo in prosa? Il direttore è cambiato quasi all'ultimo istante. Tutto sembra compromesso. Ma alla fine in qualche modo l'impegno degli artisti riesce a salvare la situzaione, per quel che è possibile.

Thomas Quasthoff - in Italia per due soli concerti, a Roma e Firenze, entrambe le volte con Die Schöne Müllerin di Schubert - appare come il legittimo erede di Dietrich Fischer-Dieskau e della grande tradizione del Lied tedesco.

La messa in scena libera Carmen dal bric à brac folcloristico, dai colori sgargianti e dalla sensualità volgare e ne fa il ricordo onirico di una storia tragica, aspra e cruda. La realizzazione musicale unisce l'eleganza e la leggerezza dell'opéra-comique alla fatalità, alla passione e alla disperazione.

Valery Gergiev, con i solisti e l'orchestra del Teatro Marinskij splendidamente affiancati dal coro dell'Accademia di Santa Cecilia, ha eseguito il Boris Godunov in una versione assolutamente fedele alla prima stesura (1869), accostando le due orchestrazioni, una sera quella originale di Musorgskij e la sera dopo quella di Shostakovich: un confronto intreressantissimo, che rivela come si tratti di due concezioni profondamente diverse.

Con qualche intervento la "Commedia con musica in un atto" di Stephanie e Mozart è diventata inaspettatamente un'opera di successo: per questo risultato si può, una volta tanto, non essere troppo rigidi in tema di filologia

La direzione di Gianluigi Gelmetti dà all'orchestra di Wagner trasparenze di linee e di timbri ma così trasforma il dramma musicale in una sterminata sinfonia in tre movimenti, adagio-allegro-adagio.

Interessante debutto di Laura Polverelli in Carmen, che viene riportata nell'autentico ambito stilistico dell'opéra-comique. Ma gli altri non sempre la seguono su questa strada.

Unica Clemenza di Tito in Italia per il duecentocinquantenario di Mozart. Un'edizione di alto livello, per la intelligenza della proposta registica e per la qualità e la coerenza di tutti gli aspetti musicali.

Nel panorama operistico italiano e anche europeo del 1898, l'Iris era nuova sotto molti aspetti, talmente nuova che spesso non è stata e non è ancora capita e viene considerata una Cavalleria annacquata, finita - chissà perché? - in Giappone. Recenti interpretazioni l'avevano riportata nella giusta luce, invece quest'edizione livornese sembra poco convinta e un po' incerta sulla strada da prendere.

Un raro e interessante programma, che faceva scoprire pagine pianistiche spesso minori ma comunque stimolanti o almeno curiose, col pretesto di andare alla scoperta della rete fittissima dei rapporti dell'onnivoro Liszt con gli altri musicisti, e viceversa.

L' Opera per musica e film di Roberto Andò e Marco Betta ha per soggetto l'assenza: i casi di cronoca di persone scomparse improvvisamente e il quotidiano passare dalla veglia al sonno sono due aspetti di questo misterioso assentarsi dal mondo. Le immagini filmate affiorano e scompaiono senza apparente ordine logico, mentre nella musica continuamente affiorano e spariscono ricordi e citazioni: tutto come in un sogno.

La prima esecuzione in epoca moderna della Didone abbandonata è un importante contributo al tricentenario di Galuppi, sommerso dalle celebrazioni mozartiane. Infatti è il primo convincente recuoppero - dopo alcuni tentativi infelici - di una sua opera seria, che sfata la convinzione che il talento del Buranello fosse limitato al genere comico.