Guglielmo Tell, eroe da fumetto

Damiano Michieletto e Paolo Fantin mettono in scena l'opera di Rossini a Londra

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Li lega un rapporto artistico che dura da dieci anni, cementato da un successo crescente e da numerosi riconoscimenti, il più recente dei quali è il Premio austriaco per la musica e il teatro alla regia dell'Idomeneo visto al Theater an der Wien nella scorsa stagione. In un paese dal quale fuggono molti cervelli ma che stenta a esportare personalità artistiche il regista Damiano Michieletto e lo scenografo Paolo Fantin sono una felice eccezione, come testimoniano le numerose riprese di loro vecchi spettacoli - in agosto al ROF torna la loro Gazza ladra, premiata con l'Abbiati che li ha imposti internazionalmente, e nella prossima stagione a Torino arriva la loro Lucia di Lammermoor da Zurigo - e l'elenco delle nuove produzioni, che prevede, fra l'altro, un nuovo Mozart a Venezia (Il flauto magico) dopo la trilogia dapontiana in ottobre, un nuovo Rossini (Otello) a Vienna in febbraio, una Cendrillon di Massenet alla Komische Oper di Berlino, il ritorno al ROF nel 2016 per La donna del lago e ancora più in là un Samson et Dalila a Parigi. Alla già lunga lista dei più importanti teatri lirici europei che hanno ospitato loro produzioni, Michieletto e Fantin aggiungeranno presto anche la Royal Opera House di Londra, dove il direttore musicale Antonio Pappano li ha voluti per un Guillaume Tell che debutterà il prossimo 29 giugno e avrà come protagonisti Gerald Finley, John Osborn e Malin Byström, gli stessi della trionfale versione concertante diretta a Roma da Pappano con i complessi di Santa Cecilia nel 2010. E a Londra Michieletto e Fantin torneranno anche in autunno per Cavalleria rusticana e Pagliacci diretti dallo stesso Pappano. Proprio a Londra li abbiamo raggiunti durante le prove per avere qualche anticipazione sulla loro fatica più recente.

Per il vostro debutto londinese, affrontate una nuova opera di Rossini, forse la più complesso fra tutte quelle che avete affrontato: quali sono le sfide maggiori nel mettere in scena questo titolo?

Michieletto: «È certamente un'opera impegnativa per alcuni aspetti tecnici, come il coinvolgimento delle masse e la durata (a parte qualche modesto taglio, a Londra l'opera sarà eseguita nella versione integrale). Il Tell è però anche un'opera tragica ma non lo è fino in fondo, nel senso che l'eroe non muore ma muore il cattivo e quindi con un lieto fine. Ci sono anche molti passaggi sentimentali ma occorre fare attenzione a non sbilanciarsi troppo su quel piano. È un genere "scivoloso", piuttosto caratteristico in Rossini, che pone problemi simili a quelli che ho affrontato nella La gazza ladra, il mio primo contatto con il mondo del Pesarese. È importante raccontare la storia con una certa leggerezza per non impantanarsi nella storia stessa. Per questo è importante creare una distanza e una leggerezza che permettano di raccontarla lasciando al pubblico un respiro. Questo è quello che sto cercando di fare».

Fantin: «Dal punto di vista scenografico, il primo problema che ci siamo posti è stato come superare l'iconografia tradizionale senza deludere le aspettative del pubblico che si aspetta la mela e la balestra eccetera. Cercare di far entrare questi elementi ma non per una via tradizionale ma raccontata in modo diverso non è stato facile».

Michieletto: «Nel nostro spettacolo la storia sarà filtrata dalla fantasia di un bambino, Jemmy, che mitizza avvenimenti lontani nel tempo e la figura del padre, Guglielmo Tell, che è un uomo con molti dubbi e riesce a diventare un eroe solo alla fine. Jemmy viene a contatto con il personaggio di Guglielmo Tell attraverso la lettura di un fumetto».

Fantin: «Quest'idea consente di realizzare un continuo passaggio fra livello contemporaneo e livello storico. Anche i costumi di Carla Teti saranno moderni, ma Gugliemo Tell si presenterá con il costume storico come se uscisse dalle pagine del libro di Jemmy».

Le vostre produzioni sono spesso caratterizzate da un segno forte e da una complessità tecnica notevole. Un'opera corale come il "Tell" vi pone problemi particolari?

Fantin: «Il coro è praticamente sempre in scena. Non è un problema, ma occorre tenerne conto quando si progettano gli spazi per la scena. Il nostro sarà uno spettacolo che punta su un'estetica semplice ma di grande impatto visivo. L'impianto di base resterà lo stesso per i quattro atti e ci saranno due elementi dal forte contenuto simbolico: un grande albero sradicato e la terra che ricoprirà la scena. Sfrutteremo il girevole per i cambi di scena e la fisicità del coro e degli interpreti».

Michieletto: «La terra esprime il legame di appartenenza alle proprie origini. Nel corso dei quattro atti, da simbolo di radicamento alla terra, l'albero verrà sradicato dai soldati dell'oppressore Gessler e in un certo senso riportato a una nuova vita nel finale, di cui non voglio svelare troppi dettagli».

Nei vostri spettacoli la scenografia gioca un ruolo chiave. Come funziona la collaborazione fra regista e scenografo?

Fantin: «Lavorare con Damiano significa costruire una scena al servizio di un concetto. Lavorare in questo modo è molto stimolante per me perché che mi sento di partecipare al lavoro in modo molto creativo. Da scenografo è un modo di lavorare molto più interessante perché non è limitato agli aspetti estetici ma devi pensare piuttosto all'estetica in relazione a una storia, a dei personaggi e soprattutto a un'interpretazione».

Spesso l'impressione è che l'immagine domini nelle vostre produzioni, quasi che l'intuizione scenografica facesse la parte del leone ...

Michieletto: «Quando si sviluppa un concetto che non è una lettura classica di un'opera o anche di un testo di prosa è quasi naturale pensare alla dimensione dell'immagine. Non potrebbe che essere così perché non dai una lettura da libretto. Hai bisogno di un dialogo costante».

Fantin: «A volte si parte da un'intuizione e poi la cosa si sviluppa pian piano, prendendo sempre più forma. Per è interessante cercare di dare una forma concreta a queste intuizioni, di renderle visibili nella scena. Mi fa piacere che si legga questa unione fra forma e concetto. La scena solo bella ma senza contenuto dopo dieci minuti stanca!»

Questo spettacolo sarà proiettato il prossimo 5 luglio nelle sale cinematografiche di tutto il pianeta. Che tipo di problemi pone nella concezione della produzione il passaggio quasi cinematografico?

Fantin: «Nella proiezione in HD con diverse telecamere e zoom si vede tutto. Questo ci impone una cura maggiore per tutti i dettagli compresi quelli minimi che magari il pubblico nella sala del teatro non vede, ma che il pubblico nei cinema vedrà molto bene».

Michieletto: «Dal punto di vista dell'impianto complessivo della produzione invece nessun tipo di cambiamento. Non parlerei comunque di problemi ma piuttosto di opportunità, che devono essere colte per offrire un prodotto di valore anche a chi potrà vedere questo spettacolo solo al cinema».

Stefano Nardelli

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