Floria Tosca e l’ingegnere
Il centenario del Politeama di Prato celebrato dalla Camerata Strumentale riproponendo con successo la Tosca inaugurale del 1925, con un omaggio all’ingegnere-architetto Pier Luigi Nervi che firmò l’edificio
09 novembre 2025 • 4 minuti di lettura
Prato, Teatro Politeama
Tosca
07/11/2025 - 09/11/2025Cento anni fa, per la precisione il 2 aprile 1925, si inaugurava a Prato il Teatro Politeama con la rappresentazione di Tosca. I lavori andavano avanti già da diversi anni, ma fu Pier Luigi Nervi - di cui ricordiamo almeno lo stadio di Firenze e la Sala Nervi in Vaticano, commissionatagli da Paolo Sesto - a concludere l’opera realizzandone la copertura in cemento armato, allora una novità, con apertura mobile, il velario, al centro del soffitto, e la galleria. Nato a due passi dall’ottocentesco Teatro Metastasio, come sala multifunzionale per opera, concerti, teatro, persino eventi sportivi (infatti fra i primi a sostenere il progetto era stato un campione del pallone a bracciale, Bruno Banchini), il Politeama attraversò così quasi tutto il Novecento, fino alla chiusura del 1985 e alla resurrezione successiva, promossa da una grande agitatrice cittadina, Roberta Betti. Il che portò ad un’importante raccolta di fondi a cui partecipò tutta la città (si era infatti costituita una Spa e il prezzo della singola azione era di mille lire) con le forze imprenditoriali in prima linea. Si dice questo per spiegare che questa Tosca, oltre che un azzardo, era una sorta di obbligo, proprio per ricordare le vicende del teatro.
Ma giacché non c’è un’adeguata buca per l’orchestra, e visto il coinvolgimento dell’orchestra Camerata Strumentale di Prato, la sfida doveva essere risolta in modo diverso da un normale allestimento operistico. E così è stato, con la Camerata sul palcoscenico diretta dal suo direttore principale Jonathan Webb, e l’azione dei cantanti che si svolgeva, del tutto priva di arredi, in una stretta striscia di palco davanti all’orchestra e in gran parte nei corridoi di platea. Espediente, questo della discesa in platea dell’azione, di cui si è abusato e che normalmente non incontra i gusti di chi scrive, ma che in questo caso, era obbligato da questa scelta della centralità, sul palcoscenico, dell’orchestra. La regìa dell’esperto Jacopo Spirei ha fatto del suo meglio per “ridurre” in questo spazio d’azioni le situazioni scenicamente più impegnative, ad esempio sostituendo il plotone di esecuzione con un colpo di pistola alla nuca di Cavaradossi sparato da uno degli sgherri di Scarpia, e sostituendo il salto suicida di Tosca dagli spalti di Castel Sant’Angelo con una corsa in platea verso la libertà e la luce. Cantanti tutti in bianco (costumi di Luigi Formicola), a contrapporsi alla ricchezza coloristica delle scenografie, che altro non erano che grandi sagome intorno e alle spalle dell’orchestra, evocanti le linee tipiche (losanghe, soprattutto) dei progetti di Nervi, e del dispiegamento di immagini proiettate, realizzate da Manifatture Digitali Cinema, altra realtà pratese: immagini di arte sacra di epoche varie, ma anche le foto documentanti l’azione di Nervi, ossia la costruzione del teatro, le strutture nude e gli operai che ci lavorarono, e poi fiori e gocce di sangue, sul velario del soffitto, fino alla sua apertura nel terzo atto.
Anche il coro coro amatoriale “Città di Prato” e il coro di voci bianche della Scuola di musica di Prato, coinvolti nel primo atto, rafforzavano quest’idea di fondo di una celebrazione di questo teatro, della sua storia, della sua città. Con il suo slancio generoso, e i suoi limiti, giacché questa forma per così dire semiscenica è problematica per una Tosca, visto che una delle chiavi poetiche dell’opera sta proprio nella sua monumentalità. Ma era un rischio calcolato, e il pubblico pratese ha decretato un vero e proprio trionfo a questa Tosca che è risultata suggestiva anche in una chiave di monumentalità virtuale (e molto hanno fatto le luci, realizzate da Gianni Staropoli), e agli esecutori. Nel terzetto del protagonisti, accanto a due cantanti di lunga carriera, Myrtò Papatanasiu, Tosca elegante ma comunque intensa, e l’incisivo Devid Cecconi, Scarpia, c’era il giovane Cavaradossi di Andrés Sanchez Joglar che ha sostituito all’ultimo momento Roberto Aronica, e che ha impressionato il pubblico, tra l’altro, con il più lungo e stentoreo Vittoria del secondo atto di cui abbiamo memoria; bellissima voce brunita, poderoso ma un po’ legnoso all’inizio (meglio infatti E lucean le stelle che Recondita armonia), poi scioltosi in un’estroversione espressiva non sempre controllata, ma in definitiva con tutte le caratteristiche per piacere molto in questo festoso contesto (molto festeggiato tutto il cast, fra cui segnaliamo almeno il simpatico sacrestano di Daniele Terenzi). Jonathan Webb sul podio, all’opposto, ha fatto una Tosca ammirevole per trasparenza e chiarezza e alquanto pudica, forse volutamente, quanto a pathos; d’altronde la sicurezza con cui ha condotto i cori, nel primo atto e particolarmente nel suo famoso finale, ci ha ricordato la sua carriera di interprete britteniano, vista l’idea tipica di Britten del coinvolgimento delle forze musicali locali-amatoriali. Successo pieno, con molti applausi dopo le pagine più famose e alla fine.