All’Accademia di Santa Cecilia i Vespri e la Messa di Santa Cecilia di Alessandro Scarlatti
Un momento culminante delle celebrazioni per il tricentenario del grande compositore palermitano, che a lungo visse e operò a Roma
28 novembre 2025 • 5 minuti di lettura
Roma, Parco della Musica, Sala Sinopoli
Alessandro Scarlatti
26/11/2025 - 26/11/2025In queste ultime settimane del 2025 si assiste a Roma al rush finale delle celebrazioni per il tricentenario della morte di Alessandro Scarlatti, soprattutto da parte di festival e altre iniziative rivolte alla musica barocca, che svolgono la loro attività nelle chiese e quindi presentano esclusivamente - o quasi - musica sacra, un settore importante della produzione di Scarlatti, che vi si dedicò soprattutto a Roma e per Roma. Restano però fuori la musica strumentale e quella teatrale, che non sono affatto meno interessanti e che oltretutto furono anch’esse composte in buona parte a Roma.
A sanare questa lacuna sarebbero potute intervenire le varie stagioni concertistiche che si svolgono nelle sale da concerto, che però hanno continuato a ignorare Alessandro Scarlatti anche nel 2025, come sempre. L’unica cospicua eccezione è stata l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che però si è focalizzata anch’essa sulla musica sacra, in particolare sulla musica composta da Scarlatti per un’importante occasione, la festa di Santa Cecilia del 1720, quando gli furono commissionate le musiche sia per i Vespri, celebrati nel pomeriggio del 21 novembre, sia per l’ordinarium e il graduale della Messa del giorno seguente. Ogni anno la Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, progenitrice diretta dell’attuale Accademia, commissionava nuova musica per la festa della sua santa protettrice ma questa fu la sola volta che l’affidò interamente ad un unico compositore. Come si legge nel programma di sala di Luca Della Libera - che ha curato l’edizione critica della messa - Scarlatti “dovette considerare questo capolavoro una sorta di testamento musicale nel suo repertorio sacro, tale e la pluralità di stili e di organici che vi sono impiegati. Ascoltandola si percepisce chiaramente l’ostentato desiderio del compositore di dominare in egual misura lo ‘stile di cappella’ come quello concertato”.
Il concerto iniziava con una selezione dei Vespri, precisamente due salmi preceduti dalle relative antifone e il Magnificat. Nei salmi Scarlatti usa un stile semplicissimo, pur senza giungere a intonarli quasi interamente su un’unica nota, com’era nella tradizione gregoriana. Dunque il primo, “Nisi Dominus”, è semplice e quasi dimesso ma nel secondo, “Lauda Jerusalem”, c’è una sezione in cui lo stile omofonico cede il passo ad una sezione contrappuntistica dove Scarlatti fa un uso delle dissonanze discreto ma assolutamente magistrale e anche - se si può usare questo termine in riferimento alla musica sacra - appassionante, in cui la sua statura di grande compositore emerge chiara e indiscutibile. Mentre i salmi, nonostante il testo piuttosto lungo, scorrono via rapidamente, nelle due antifone la musica si distende in uno stile concertato in cui una voce, in un caso il soprano e nell’altro il contralto, dialoga come in duetto con un oboe solista sull’accompagnamento dell’orchestra d’archi, alternando momenti di semplice cantabilità ad altri fioriti con grazia e senza esibizioni virtuosistiche. Scarlatti, e noi con lui, in queste antifone si abbandona all’estasi della musica, ripetendo e ripetendo quei brevi testi di dieci parole sì e no.
Già qui si notavano la raffinata eleganza, l’attenzione alle sfumature espressive e il ripudio della superficiale riduzione del barocco alla meraviglia e al virtuosismo, che erano le qualità principali delle esecuzioni offerte dalla ventina scarsa di strumenti dell’Orchestra Ghislieri di Pavia diretta da Giulio Prandi, dalla trentina abbondante di voci del Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, preparato dal suo maestro Andrea Secchi, e dai solisti, che in queste antifone erano il soprano Martina Licari e il contralto Margherita Maria Sala, mentre successivamente intervenivano anche Carlotta Colombo (soprano), Raffaele Giordani (tenore) e Alessandro Ravasio (basso). Non vogliamo negare che si sono anche ascoltati attacchi non pulitissimi e leggeri scollamenti, ma sono stati rari e bravissimi episodi, mentre più generale era una certa esiguità del suono sia delle voci che dell’orchestra, ma probabilmente si trattava soltanto di abituarsi all’acustica della vasta Sala Sinopoli, piuttosto secca, e infatti ben presto si è raggiunto un equilibrio ideale.
Giustamente il pubblico - lusinghieramente numeroso, considerando il programma certamente non popolare - applaudiva cortesemente gli interpreti alla fine della prima parte, ma al termine del concerto gli applausi erano entusiastici e prolungati, probabilmente perché erano stati totalmente superati i piccoli problemi, di cui si è detto, e sicuramente perché la Messa di Santa Cecilia è un capolavoro assoluto. Alcuni l’hanno paragonata alla Messa in si minore di Bach e alle Messe di Haydn e Beethoven: chiaramente il paragone non ha senso, perché sono tutte molto dissimili le une dalle altre, tuttavia indica che questa messa di Scarlatti è un capolavoro che non sfigura al confronto delle altre.
Forse perché dedicata alla santa protettrice della musica e dei musicisti, questa messa emana dolcezza e serenità, fin dal Kyrie iniziale, che attacca con sonorità luminose e un vivace ritmo puntato, nonostante il testo invochi “Signore, pietà”. Diverso ma simile, l’attacco del Gloria è gioioso e solare, non ha nulla di esteriormente glorificante, come avviene in tante altre messe di quell’epoca, dove si sentono le trombe squillare e i timpani rullare, come se si celebrasse una gloria militare! Subito dopo “et in terra pax” si tinge di melanconia, forse perché la pace era allora - e ancora oggi - un sogno irraggiungibile. I brani più ampi dell’ordinarium Missae, ovvero il Gloria e il Credo, sono divisi in numerose sezioni, diverse tra loro ma concatenate con attenzione per non spezzare la continuità della preghiera. Sempre esprimono una religiosità sincera, viva, palpitante. Sono sentimenti, affetti ed emozioni umane: l’ “Incarnatus est” dà il benvenuto a Gesù sulla terra con lo stesso affetto con cui ogni genitore accoglie la nascita di un figlio. Subito dopo il “Crucifixus… passus et sepultus” è dolente ma non tragico. L’ “Agnus Dei” conclude la messa invocando la misericordia divina e la pace con tono dolcissimo, incantato, purificato. E tutto si mantiene sempre su un livello artistico elevatissimo, grazie alla misura e al controllo dello stile e ad una scrittura magistrale in ogni dettaglio.