La partigiana Norma

Cecilia Bartoli Trionfa anche a Zurigo nell’opera di Bellini

Recensione
classica
Opernhaus Zurich
18 Ottobre 2015
Arriva a Zurigo già “carco di allori” la “Norma” tenuta a battesimo al Festival di Pentecoste di Salisburgo nel 2013 (e indicata dai critici di “Opernwelt” come migliore produzione della stagione) e riportata sulla scena salisburghese la scorsa estate per volontà della sua ispiratrice Cecilia Bartoli, che auspica ancora lunga vita e nuove tappe per questa sua felice creatura. Inutile dirlo, il trionfo si ripete anche nella “casa svizzera” della Bartoli con quasi quindici minuti di standing ovation, chiamate e applausi ritmati per tutti. Certo, qui si giocava in casa, ma non può non colpire come, al di là della carismatica presenza di Cecila Bartoli, non si sia trattata già al debutto di un’operazione priva di rischi. Il primo, e principale, l’aver spazzato via una certa pervicace tradizione interpretativa sedimentata in decenni e suggellata dalla, per molti definitiva, interpretazione di Maria Callas. Ebbene, da navigato barocchista e pugnace difensore di interpretazioni storicamente informate, Giovanni Antonini chiarisce fin dalle prime battute della Sinfonia il proposito di saldare Bellini con la tradizione belcantistica di chiara ascendenza rossiniana: il piglio è da subito marziale, il passo corrusco e sempre altissima la temperie drammatica. Tutto il primo atto è condotto con un ritmo serratissimo nell’incalzare dei numeri musicali, un ritmo che si rilassa solo nel sottofinale del secondo atto, cioè quando Norma si appresta al sacrificio. Alla testa della duttile Orchestra La Scintilla, Antonini firma una notevole prova direttoriale che esalta l’ossatura ritmica della partitura e la preziosità degli impasti strumentali resi con vivida e inusuale chiarezza. Certo “Casta diva” perde quel siderale rapimento di versioni più tradizionali, ma indubbiamente ci guadagna il piglio drammatico del lavoro. L’altro rischio, molto più controllato, nell’allestimento di Moshe Leiser e Patrice Caurier che traspongono la vicenda dalla paganissima Gallia occupata dalle guarnigioni romane alla Francia occupata dai Nazisti, suggerita con gusto cinematografico dalla scena fissa di Christian Fenouillat e dai costumi di Agostino Cavalca. Più che teatro di regia al servizio di un’idea (o, peggio, di un’ideologia), i due confermano il gusto per una narrazione fluida e ricca di colpi di scena più coerente con le prescrizioni librettistiche. E va da sé che le incongruenze con gli archeologismi di cartapesta di Felice Romani si sprecano. Sulla distribuzione vocale, inutile dirlo, primeggia la diva Bartoli, completamente in sintonia con la lettura di Antonini (che del resto è vicina alle sue corde di artista). Fra gli altri, John Osborne è un Pollione di mezzi vocali smaglianti ma non privo di qualche sbavatura stilistica, mentre l’Adalgisa di Rebeca Olvera segna decisamente il passo nel confronto con la Bartoli. Poco più che funzionali gli altri. Come detto, un trionfo per tutti.

Note: Produzione del Festival di Salisburgo in collaborazione con U-Live/Universal Music Arts and Entertainment (Londra). Date rappresentazioni: 10, 13, 15, 18 ottobre 2015.

Interpreti: Cecilia Bartoli (Norma), Rebeca Olvera (Adalgisa), John Osborn (Pollione), Péter Kálmán (Oroveso), Liliana Nikiteanu (Clotilde), Reinaldo Macias (Flavio)

Regia: Moshe Leiser e Patrice Caurier

Scene: Christian Fenouillat

Costumi: Agostino Cavalca

Orchestra: Orchestra La Scintilla dell'Opera di Zurigo

Direttore: Giovanni Antonini

Coro: Coro della Radiotelevisione Svizzera Italiana di Lugano

Maestro Coro: Diego Fasolis e Gianluca Capuano

Luci: Christophe Forey

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