Bud Spencer Blues Explosion, duo di vandali

Il nuovo album di Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio è Next Big Niente

BSBE
Disco
pop
Bud Spencer Blues Explosion
Next Big Niente
La Tempesta
2023

A cinque anni dal precedente Vivi muori blues ripeti, tornano a manifestarsi su disco i Bud Spencer Blues Explosion. Il titolo è beffardo: Next Big Niente, antitesi dell’enfatica espressione anglofona – la “prossima cosa grossa” – riferita a imperdibili novità in arrivo.

In un certo senso la formula si poteva applicare anche a loro quando esordirono, adattando su scala nazionale il motto “in due si suona meglio” che aveva fatto la fortuna di White Stripes e Black Keys.

Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, da allora: lo dimostrano questi dieci brani nuovi, per metà strumentali. Dell’originaria essenzialità rock è rimasta tutt’al più una vaga eco, infatti. Prendiamo “Sabroso Tapas Bar”, che nell’intestazione cita il locale di Abano Laziale in cui affermano di aver tenuto il primo concerto: è una strana specie di blues nordafricano guastato da interferenze e infine risucchiato in un vortice rumorista.

Lo sguardo rivolto alle coste meridionali del Mediterraneo orienta il cammino pure nell’eloquente “Medioriente”, dove lo spleen del deserto scorre su un pigro andamento funk, mentre sullo sfondo una voce trattata dice: “Come dei robot, stupidi, pieni di manie su dio, pieni di ricordi, monumenti”.

Proprio l’uso della voce, mai in purezza e sovente “intubata”, ricorda da vicino i Verdena: accade in “Camper”, azionato da un roccioso giro chitarristico stile Jon Spencer (a proposito di “esplosioni blues”) e sceneggiato in modalità haiku (“Santi, sfilano nei vicoli, focolai bruciano, tra le guardie che ci osservano, caro amico mio, da qui non andiamo via”), oppure sul cavernoso groove di “Come un raggio”, tanto più se si bada a un passo del testo, accreditato a Umberto Maria Giardini: “Conosco e conto ogni mattina le uova dentro il mio pollaio” (è noto che il trio bergamasco ha insediato la sua tana creativa in un vecchio pollaio).

Analogo è il ruolo destinato al canto, dispositivo musicale anziché veicolo di messaggi, per quanto affiorino sporadici significati: nello stralunato e ipnotico “Stranidei” (“blues sfasato dentro una discoteca abbandonata”, secondo gli autori) sbuca fuori ad esempio il “dio delle piccole cose” nominato nel romanzo più celebre di Arundhati Roy.

Contenuto principale è dunque il suono: molto più della semplice addizione fra gli strumenti elettivi, ossia chitarra (Adriano Viterbini) e batteria (Cesare Petulicchio). La dotazione è impressionante: ngoni, banjo, sitar, vibrafono, marimba, Wurlitzer, piano giocattolo e alcuni aggeggi elettronici, oltre al violino maneggiato da Stefano Tavernese nel dispettoso e ineffabile “Vandali”.

Dovendo spiegare il metodo di lavoro seguito nella realizzazione dell’album, il duo romano ha detto di “aver affittato per qualche giorno uno stanzone con delle belle finestre”, intenzionato a “riempirlo di giocattoli vari e registrare quello che ci è venuto al momento, senza starci a pensare su”, e dopo “il tempo è passato e abbiamo cominciato a distruggere tutto”.

Vandali, appunto. Eppure dal tritacarne è uscito persino un pezzo squisitamente pop, ancorché dalle fattezze bizzarre: guidato da un riff malevolo e intrigante, “Insynthesi” avanza con distratta indolenza verso un abisso – “Camminiamo sul vulcano, stelle senza calcoli” – in fondo al quale giacciono dei Verdena vestiti da Daft Punk.

Densissimo di argomenti a dispetto della durata (in totale 40 minuti scarsi), Next Big Niente è ammirevole per come sa essere insieme ruvido e ingegnoso.

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