MITO 1 | Il vampiro e il Cervino

Due sonorizzazioni per SettembreMusica, con l'Orchestra Rai e i Plaid

Recensione
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Sarebbe una storia interessante, quella della sonorizzazione: una sorta di storia dei significati, parallela e alternativa alla storia del cinema.

Per abitudine e convenzione, la colonna sonora deve suonare come un commento alle immagini, come qualcosa che aiuti a veicolare i significati del film. La sonorizzazione dal vivo, al contrario, sembra oramai godere di una specie di licenza semantica: non è cioè costretta a commentare le immagini, ad adeguarsi ad esse. Di fronte al sonorizzatore si aprono allora le immense praterie del significato: potrà fare ciò che vuole. Non sarà costretto a mettere il saxofono quando lui e lei entrano in camera da letto, o quei cupi colpi di tamburo quando il dinosauro si avvicina lentamente. Potrà inventare, spiazzare, creare nuovi significati, tirar fuori da immagini ormai usurate dalla visione visioni nuove e (si spera) inaspettate.

Di questo privilegio sembra essersi privato volontariamente Timothy Brock nella sua versione del Nosferatu di Murnau per MITO Settembre Musica, alla direzione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.

Una storia della sonorizzazione avrebbe probabilmente un capitolo intero dedicato al Nosferatu, la cui potenza visuale e le atmosfere inquietanti hanno generato nei (quasi) cento anni che ci separano dalla pellicola una grande mole di musica.
La partitura originale scritta da Hans Erdmann è andata perduta (in realtà non interamente: alcuni frammenti sono stati ricostruiti e registrati da Gillian Anderson qualche anno fa).

Il direttore ha scelto allora di recuperare un’opera del 1826, Der Vampyr, di Heinrich Marschner, che Murnau aveva usato come musica d’apertura per la prima del suo film. La ha riscritta per usarla – ha spiegato – come "materiale sinfonico 'grezzo', selezionando e trasformando le scene più efficaci per questo tipo di adattamento, incorporando la parte vocale e ripartendo da zero come per la composizione di una partitura per film".

L’operazione – sembra sottintendere Brock nel testo di presentazione – è dunque più che legittima, e in qualche modo avallata dall’autore, che aveva istituito un collegamento fra la propria opera e quella di Marschner.

In realtà, l' impressione all'ascolto è che il gusto romantico dell’opera di Marschner finisca con il privare il film di parte del suo carattere visionario, suggerendone significati anche troppo convenzionali, spesso accentuati dalle scelte di orchestrazione e dagli adattamenti di Brock. Il pochissimo che si può ascoltare della ricostruzione di Gillian Anderson farebbe pensare ad un suono molto più in linea con la musica che girava in Europa negli anni Venti del Novecento, e che forse sarebbe stato più adeguato. Wagner – pare – riconobbe Der Vampyr come una delle opere più “demoniache” di tutti i tempi. Ma il gusto dell’Ottocento era altra cosa, e alle nostre orecchie – passate attraverso la disintegrazione di quel linguaggio, e la sua riscoperta da parte delle colonne sonore del cinema classico americano – il “demoniaco” finisce per suonare molto normale, e molto poco inquietante.



In realtà, nelle sonorizzazioni non dovrebbe esistere il “legittimo” o “l’illegittimo”, o “l'adeguato”. Gli stessi concetti di “autore” e di “opera” sono inefficaci per descrivere il funzionamento di un oggetto come Nosferatu, il cui significato ci arriva filtrato da un secolo di storia del cinema e di storia della musica. E le soluzioni “legittime” rischiano di aggiungere molto poco, se non di sottrarre.

Altra strada, altra storia, altra musica e altre immagini per la seconda delle sonorizzazioni in cartellone a MITO. In occasione del 150° anniversario della scalata al Cervino, il Museo del Cinema ha promosso la sonorizzazione di tre pellicole di montagna degli anni Dieci: Sul tetto del mondo. Viaggio di S.A.R. il Duca degli Abruzzi al Karakorum di Vittorio Sella, e i due più brevi Ascensione al Dente del Gigante e Ascensione al Cervino, di Mario Piacenza. Per farlo, sono stati convocati i Plaid, duo che ha giocato un ruolo importante nella reinvenzione dell’elettronica a cavallo del nuovo millennio (garantisce la loro etichetta: Warp), insieme ai romani Blow Up Percussion.

Non c’è gusto didascalico nelle scelte dei musicisti, e tuttavia tutto funziona alla perfezione. Il documentario di Sella – un incredibile documento etnografico, prima che un film di montagna – mostra i luoghi attraversati dalla spedizione italiana e la gente incontrata, i portatori e i ricchi esploratori italiani, senza mai indulgere al gusto dell’esotico, ma con taglio asciutto ed essenziale. La musica, metallica e meccanica (il tutto si apre con una lunga sequenza di charleston solo) costruisce poco a poco un nuovo ritmo per le immagini, crescendo con l’aggiungersi della percussione elettronica, e con il rilanciarsi dei temi fra il vibrafono e le sue rielaborazioni in tempo reale.



Nei due corti di Piacenza, il gusto minimalista (notevole una sequenza ai legnetti, quasi un omaggio a Reich) cede poco a poco a un gusto malinconico, e un tema melodico si fa strada ad accompagnare le incredibili immagini dell’ascensione al Cervino: documento, anche questo, davvero incredibile per la qualità delle riprese.

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