Arooj Aftab, una notte d'estate

Torna in Italia per due date Arooj Aftab, a Torino e al Ravenna Festival: l'abbiamo intervistata

Arooj Aftab
Foto Titouan Massé
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pop

Ci siamo spesso occupati della cantante di origine pachistana ma cresciuta a New York Arooj Aftab, e non avrebbe potuto essere diversamente: la sua voce e le atmosfere magiche delle sue canzoni lasciano un segno indelebile in coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltarle. 

Fra qualche giorno Arooj Aftab sarà nuovamente in Italia per due appuntamenti: a Milano Marittima il 9 luglio per il Ravenna Festival, e il secondo a Torino due giorni dopo nell'ambito del Monitor Festival. 

È dunque il momento è quello giusto per porle qualche domanda.

– Leggi anche: Arooj Aftab, una carezza sul cuore

«Scusa se sentirai delle voci o del rumore ma sono in aeroporto (in sottofondo rumore di tazzine e bicchieri, dunque è saggiamente al bar)».

Nessun problema, possiamo cominciare! Night Reign è entrato nella mia classifica del 2024, e non solo. Immagino che il successo di questo album e del precedente Prince Vulture abbia cambiato la tua vita – più concerti, più interviste negli aeroporti (sì, mi piace girare il coltello nella piaga), più jet lag… Ma mi piacerebbe sapere se il successo ti ha aiutato a diventare consapevole delle tue capacità o se erano qualcosa di cui eri già sicura, e dunque era solo questione di tempo prima che sbocciassero. 

«Penso che stessi aspettando quel momento. Sai, ci sono così tanti musicisti davvero incredibili in giro per il mondo e per qualche ragione che non conosciamo il successo per loro non arriva mai. Sono davvero grata che a me sia andata diversamente e che la gente ascolti la mia musica che compongo con molta cura, con molta concentrazione su ciò che faccio e con molta passione. In una certa misura, certamente, credo in me stessa, sì, è qualcosa che fa parte della mia natura. Ho questa fiducia irrazionale nel mio istinto e sì, credo in me stessa, l’ho sempre fatto. Ti confesso che ci sono state tante, ma davvero tante volte che nessun altro credeva in me a parte me stessa e ho continuato ad andare avanti. Quindi ti direi che sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo. Ero pronta e sono davvero felice che sia successo».

 Lo scorso aprile ti sei esibita due volte in Italia, a Roma e a Milano (qui c’è la recensione del concerto milanese): la mia sensazione è stata che, malgrado la barriera linguistica, il pubblico italiano fosse molto attento, sempre pronto a farsi conquistare: dal palco hai avuto la mia stessa impressione?

«Oh, sì, è stato sorprendente. Dai, conquistare un pubblico come quello di Milano, e il suono…il suono era incredibilmente bello. Il pubblico era molto vivace: sai, alle volte ti trovi davanti degli spettatori che sono venuti al tuo spettacolo per provare un’esperienza culturale o che hanno già deciso prima ancora di venire al concerto di voler avere un’esperienza spirituale. Hanno già deciso. E allora si siedono in maniera elegante, e sono molto educati e molto silenziosi: apprezzano lo spettacolo ma non fanno nulla e non danno nulla a noi musicisti sul palco.  E siccome tu c’eri, hai visto com’è lo spettacolo: io sono davvero divertente, quasi buffa, sono davvero dinamica, voglio connettermi con gli spettatori, il mio non deve essere un concerto serioso, non deve essere formale. È una mescolanza davvero buona tra essere belli ma anche non presuntuosi. Con il pubblico italiano è successo e non vedo l’ora di ritornare per ricreare quelle sensazioni».

Hai avuto la possibilità di esibirti in Pakistan?

«No, al momento no. Ho fatto qualche concerto al liceo, all’epoca ero una teenager, poco prima di lasciare il Paese. Eravamo una specie di garage band, sai di cosa parlo. Ma non sono stata invitata a esibirmi di nuovo lì, non so neanche se abbiano le infrastrutture necessarie per organizzare un mio concerto o se si possano permettere una come me. A dirla tutta non so cosa stia succedendo laggiù e comunque no, non ho ancora suonato in Pakistan».

Il tuo ultimo album, Night Reign, è stato scritto mentre eri in tour, in camere di hotel e sulla strada, spesso di notte, rubando tempo al sonno. La notte è il regno dei ladri, delle ore ubriache («I was happy in the haze of a drunken hour / But Heaven knows, I’m miserable now», come dicevano gli Smiths), ma anche «appartiene agli amanti», come dicevano Bruce Springsteen e Patti Smith: cos’è la notte per te, amica o nemica? 

«Tutt’e due. La notte è così tante cose, tutte insieme. Amica, nemica, un posto dove riposare, un posto dove avere paura, un posto dove essere vulnerabile, un posto dove pensare, un posto dove fare festa insieme alle persone amate. La notte è davvero vasta, è immensa».

 Se New York è un melting pot, anche la tua musica lo è; una mescolanza che mette insieme jazz, elettronica e minimalismo con i ritmi circolari della cultura religiosa Sufi: è difficile tenere insieme tutti questi elementi? Voglio dire, il risultato è fantastico ma come lo raggiungi?

«Penso che la musica che faccio sia davvero personale, rappresenta davvero solo me. Sono io, sono io all’ennesima potenza. Ed è una rappresentazione davvero onesta di tutte le cose che ho attraversato nella mia vita, di tutti i posti in cui ho vissuto e di tutta la musica che mi piace. È una mescolanza davvero sincera di tutte le cose che mi piacciono e di tutte quelle che ho vissuto. Alla fine è questo che incontra il favore delle persone». 

«Penso che la musica che faccio sia davvero personale, rappresenta davvero solo me. Sono io, sono io all’ennesima potenza». 

«Ecco come riesco a tenere tutto insieme, perché alla base di tutto non c’è finzione, è tutto davvero onesto. È quello che cerco di fare e voglio soltanto farlo nella maniera più naturale possibile.

Ascolti qualche genere particolare di musica o ti affidi all’algoritmo di Spotify? Sempre che tu sia un’utilizzatrice di Spotify, naturalmente. Io, per esempio, non lo sono.

«Non ascolto la musica, anzi, a essere onesta, odio la musica (lo dice ridendo). In realtà sto scrivendo nuova musica e in questo momento non posso assolutamente ascoltare roba nuova che non sia mia».

Una domanda che in questo periodo faccio spesso, e non potrebbe essere diversamente visto che almeno da un anno a questa parte l’Intelligenza artificiale generativa è un argomento molto dibattuto: questa tecnologia sarà una minaccia per la musica o, alla fine, potrebbe rivelarsi utile per gli artisti?

«Uff, è difficile rispondere. Ci sono sempre stati e sempre ci sono musicisti che hanno ripetuto a pappagallo l’estetica di altre persone, senza avere una sola buona idea proveniente da loro: probabilmente saranno gli stessi che trasformeranno questa cosa in un aiuto, o in una risorsa, o in un’utilità, non so. Ma spero che saremo comunque in grado di riconoscere la differenza tra qualcosa che veramente ci commuove e qualcosa prodotto in un posto strano e misterioso».

 Abbiamo tutti almeno un guilty pleasure parlando di musica... Il mio, te lo dico per metterti a tuo agio, è Kylie Minogue: dai, dimmene almeno uno.

«Mi piace Dua Lipa. Mi piace davvero una canzone in cui lei canta con Bad Bunny, J Balvin e Tainy, s’intitola “Un dia”, è davvero bella. Ma in definitiva non è un guilty pleasure. Penso che sia veramente della buona pop music».

Ed ecco che faccio una cosa che mai avrei pensato di fare: proporvi il video di una canzone in cui compare Dua Lipa. Non è colpa mia, prendetevela con Arooj Aftab.

 Tra qualche giorno comincerai un tour europeo estivo di 14 date, una delle quali a Torino, la mia città: sarà lo stesso show visto a Milano o apporterai qualche cambiamento?

«Non so ancora, anche se in realtà, visto che la formazione che mi accompagna è diversa, anche lo spettacolo dovrebbe essere un po’ diverso. Ma sì, dai, sarà diverso, di sicuro. E in più è estate, avremo una vibrazione diversa, avremo più la mentalità da party».

I due concerti italiani saranno entrambi all’aperto: non dimenticare di portare il repellente per zanzare.

«Grande, grazie per il suggerimento, Ennio. Ci vediamo presto».                                 

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