Ring al traguardo

Götterdämmerung alla Scala, ottima prova di Steffens sul podio

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Richard Wagner
18 Maggio 2013
Il vero trionfatore di Götterdämmerung alla Scala (coprodotto con Staatsoper di Berlino e Toneelhuis di Anversa) è stato Karl-Heinz Steffens che ha sostituito Barenboim (di nuovo sul podio dal 30 maggio, comprese le due integrali della Tetralogia a giugno). Il direttore ha tenuto salde le redini dell'orchestra, non allentando mai la tensione drammatica, sempre attento alla trasparenza anche nei complicati accumuli dei leitmotiv. Speriamo di rivederlo spesso alla Scala, perché ha dato la sensazione d'essere stato ben accolto dagli strumentisti e il risultato lo si sente, eccome. La messa in scena di Cassiers è, come nelle altre tre giornate, una vetrina con effetti visivi talvolta efficacissimi (in apertura il tableau vivant delle tre Norne coi fili rossi), ma quanto a regia non molto ricca di idee. Abbondano proiezioni di fiamme e lave, di polveri nere in sospensione, di facce fantasmatiche a bocca aperta, forse di fosse comuni con corpi ancora in agonia. Queste ultime nel finale si fossilizzano in una copia del bassorilievo art nouveau del belga Jef Lambeaux con viluppi di arti sovrintesi dalla morte. Se il regista intende dirci che gli uomini sono pari o peggio degli dei non pare una gran novità. Ingombranti e bruttine anche le scalinate madreperlacee che ogni tanto s'infilano in scena luminescenti. Tre comunque i momenti riusciti dello spettacolo. Il primo è solo per merito di Waltraud Meier (Waltraute), che ha la capacità di creare il personaggio con pochi gesti e di tenerlo vivo con una voce ancora di gran classe (canta anche come seconda Norna). Il secondo grazie ad Alberich, un Johannes Martin Kränzle grigiastro e malefico di grande efficacia, mentre Mikhail Petrenko come Hagen non gli sta al passo: ha voce troppo chiara per reggere le cupezze delle sue trame maligne. Tant'è che non riesce a dare sufficiente furore nelle scene madri, come l'appello alle navi. Terzo momento ben riuscito l'apparizione delle Ondine, eleganti e spigliate nel giocare furbescamente coi veli e le voci. Sono più efficaci loro dei quattro ballerini che ogni tanto s'intrufolano gratuitamente nell'azione, tranne quando col mantello del "falso Gunther" creano una sorta di fungo che avviluppa la povera Brünnhilde, perché qui la coreografia acquista una funzione drammaturgica. Quanto ai due protagonisti, Lance Ryan è più impegnato a fare un Siegfried dark che a dargli un'anima; mentre Iréne Theorin è a suo agio solo nelle forti emissioni non nella mezza voce e non riesce mai a dar vita al suo personaggio, nel finale per esempio manca totalmente di languido e amoroso abbandono. Decoroso il Gunther di Gerd Grochowski, fragile la Gutrune di Anna Samuil. A fine serata grandi applausi soprattutto al direttore e a tutto il cast, qualche timido buu ai responsabili della messa in scena.

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