Written on skin, il successo di un’opera contemporanea
L’opera di Gorge Benjamin in forma semiscenica all’Accademia di Santa Cecilia
Rappresentata al festival di Aix-en-Provence nel 2012, Written on skin di George Benjamin ha avuto fino ad oggi oltre cento rappresentazioni, un successo incredibile per un opera contemporanea, paragonabile soltanto a quello delle più popolari opere dell’Ottocento. Eppure il soggetto sembrerebbe appartenere ad un mondo remotissimo da noi e di scarso interesse per un ascoltatore del terzo millennio: un marito tradito dà in pasto all’inconsapevole moglie il cuore del giovane amante. Ma non è così, perché è un mito che con varianti sempre diverse compare, scompare e riemerge da oltre due millenni (e probabilmente ha radici ancora più antiche) in Ovidio, nella vida del trovatore duecentesco Guillem de Cabestanh, in Boccaccio, in alcune tragedie elisabettiane, in Stendhal e in Ezra Pound. Il libretto è di Martin Crimp, considerato uno dei più importanti drammaturghi britannici dei nostri giorni, noto e apprezzato in patria e in Europa, meno in Italia (personalmente ricordo due suoi drammi al Teatro di Roma, vari anni fa). Ha tradotto Ionesco, per alcuni aspetti richiama alla mente il “teatro dell’assurdo” di Beckett e Pinter e per altri (l’inconscio, l’irrazionale, la sessualità) il cinema surrealista di Buñuel e (le atmosfere cupissime) il cinema espressionista di Murnau.
Il titolo ha un doppio significato: allude al poema e alle miniature su pergamena del giovane poeta (chiamato semplicemente Boy) di cui la donna (Agnes) si innamora e metaforicamente anche al fatto che quelle parole si stampano sul corpo e nel cuore della protagonista. La realizzazione e la lettura di quel codice commissionato dal vecchio marito (Protector) al Boy è infatti la scintilla da cui nasce l’amore tra i due giovani: “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, come per Paolo e Francesca.
L’opera è ambientata nel medioevo. La apre un “coro” dei due angeli che cancella l’epoca moderna: “smantellate la città”, “estirpate i cavi metallici”, “cancellate i voli”, “eliminate i parcheggi”. Si torna al medioevo: il marito di Agnes, che si è sposata a quattordici anni ed è analfabeta, è un signore feudale: “Io possiedo questi terreni”, afferma, “io possiedo tutto ciò che è in essi […] come il mio cane, l’acqua del mulino e il corpo di mia moglie, il suo corpo pacifico e obbediente”. Ma totalmente moderni sono lo scavo psicanalitico nell’inconscio dei personaggi, il linguaggio freddo e distaccato e lo sguardo cupo e senza speranza sulla società e le relazioni umane. Una caratteristica singolare è che le indicazioni sceniche del libretto vengono cantate, esattamente come il testo vero e proprio: è uno dei tanti segnali della totale aderenza del compositore al libretto di Crimp. Benjamin stesso afferma: “Ogni singola nota delle mie opere [oltre a questa ne hanno scritte insieme altre tre] dipende da ogni minimo dettaglio dei suoi testi, compresa la punteggiatura”.
Veniamo dunque alla musica, che aderisce alle parole con straordinario acume, frutto dell’unione di intuito e intelligenza. È una musica difficile da incasellare e questo è ovviamente un pregio. Certamente supera le rigidità delle ormai tramontate avanguardie del secondo Novecento e cerca un contatto più diretto con l’ascoltatore attuale, passando con la massima libertà da zone in cui si riconosce ancora un vago legame con la tonalità ad altre totalmente ed aspramente dissonanti, mantenendo sempre un’interna coerenza. Spesso sono fasce sonore quasi immobili eppure increspate da continue piccole oscillazioni e anche spezzate da scoppi di violenza e drammaticità, come al momento in cui Protector scopre il tradimento di Agnes (ma Benjamin rifugge dalla violenza sanguinosa dell’assassinio di Boy, che non avviene in scena ma durante un interludio orchestrale). Una peculiare qualità di Benjamin è l’uso di mezzi molto scarni e - direi - centellinati, nonostante la grande orchestra impiegata. E anche la stringatezza: i tre atti durano complessivamente novanta minuti e sono stati eseguiti senza intervallo
Benjamin stesso avrebbe dovuto dirigere questa esecuzione di Written on skin all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ma problemi di salute gliel’hanno impedito. L’ha sostituito Lawrence Rennes, che evidentemente conosce a menadito questa complessa partitura, avendola già diretta, così da poterne offrire un’interpretazione precisa e nitida, tesa e intensa, trovando perfetta rispondenza nell’orchestra. La rinuncia forzata di Benjamin non è stato l’unico problema, perché si sono dovuti sostituire anche gli interpreti di Boy con breve anticipo e di Agnes all’ultimo momento: in questo caso è giunta con un volo da Helsinki il soprano Susanne Elmark, che alla prima di giovedì non soltanto ha salvato la situazione ma anche - mi dicono - è stata un’ottima interprete. La seconda sera - di cui qui si riferisce - è potuta tornare a cantare la titolare, Liv Redpath, fornendo una prova maiuscola, così come il baritono Mark Stone, un Protector d’impressionante forza drammatica ma mai sopra le righe. Bene il controtenore Ugh Cutting (Boy e primo angelo: molto delicato, forse troppo), Judith Tielsen (secondo angelo e Marie, sorella di Agnes) e Leonardo Cortellazzi (terzo angelo e John, marito di Marie).
È stata un’esecuzione in forma semiscenica, realizzata da Benjamin Davis, che è stato assistente regista alla prima assoluta di Written on skin e ha la piena fiducia di Benjamin. Inizialmente si era un po’ delusi nel vedere i sei cantanti accomodarsi sulle sei sedie schierate davanti all’orchestra, come in un’esecuzione in forma di concerto. Ma è bastata una recitazione molto misurata e ben soppesata per dare un apporto utilissimo a seguire e capire le reazioni dei vari personaggi agli eventi e i loro rapporti reciproci.
Prevedibilmente erano parecchi i posti vuoti ma il pubblico, data la vastità della sala, era comunque numeroso e gli applausi sono stati caldi e convinti, confermando la presa sul pubblico di un’opera non facile, che non cerca assolutamente di accattivarsi gli ascoltatori con mezzi corrivi, tutt’altro.
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