Quel misterioso, giovane Lord
Successo pieno per Der junge Lord di Henze su libretto di Ingeborg Bachmann al festival del Maggio Musicale Fiorentino con la direzione di Markus Stenz e la regìa di Daniele Menghini

Il tedesco Hans Werner Henze (1926 – 2021) è amato e spesso rappresentato in Italia, sua patria di adozione e sede di quel perdurante e riuscito progetto che è il Cantiere di Montepulciano, da lui fondato. Ma Der junge Lord (1965, soggetto ispirato ad una novella dello scrittore Wilhelm Hauff), finora da noi aveva avuto una sola rappresentazione, all’Opera di Roma, sempre nel 1965, a poca distanza dalla prima assoluta a Berlino, ma con il testo in italiano nella versione ritmica di Fedele D’Amico: questo nuovo allestimento andato su domenica per l’edizione n. 87 del festival del Maggio è la prima esecuzione italiana in lingua originale.
Un’edizione davvero riuscita, per la componente musicale, presieduta con maestria dal podio da Markus Stenz, uno dei direttori d’elezione per Henze e in verità per tutto il Novecento storico, e oltre; per un cast semplicemente perfetto; e anche per la qualità della messinscena con la regìa di Daniele Menghini, di cui oltre si dirà. Abbiamo scoperto così, nella veste migliore, una drammaturgia di grande originalità, in cui una trama da opera buffa rossiniana, all’insegna dell’equivoco collettivo, si carica di elementi di vibrante ma irridente, divertentissima, più che paradossale critica sociale; e una partitura che decisamente merita di entrare tra i classici del teatro musicale del Novecento. La grinta provocante di tanti episodi dell’opera anni ‘60 si arricchisce della ricca e studiata ma sempre limpida tavolozza propria di Henze - benissimo valorizzata da Stenz - che qui peraltro svolge in una chiave abilmente sorniona certe tonalità musicali grottesche e parodiche meno evidenti in altri lavori.
Accenniamo alla trama ma non ai suoi ultimi sviluppi, per non sciupare la sorpresa a chi vedrà questo eccellente spettacolo. L’arrivo di un eccentrico inglese, Sir Edgard (parte muta realizzata con grande fascino da Giovanni Franzoni), con vasto corredo di animali esotici, copiosa servitù con tanto di servetto moro e altri contrassegni di un cosmopolitismo un po’ sospetto, mette in subbuglio una cittadina tedesca molto conformista ma molto speranzosa nella munificenza e allure internazionale dell’ospite illustre, che peraltro si trincera in un riserbo anche questo sospetto; ma poi arriva la notizia che nella piccola corte di Sir Edgard c’è un misterioso giovane erede, il giovane Lord del titolo, che intanto studia il tedesco su Goethe, e la cui attesissima presentazione alla buona società locale sarà stravolta da una sorpresa strabiliante. E non diciamo altro, se non che questa trama ha risvolti più che bizzarri che, pur nel registro comico, in parte confinanano, o sconfinano, nel fallimento esistenziale che alimenta la poetica di Ingerbog Bachmann e forse ne costituisce la radice. L’autrice di Malina, figura letteraria di riferimento anche per il primo femminismo italiano, fu infatti legatissima a Henze (il loro carteggio è stato pubblicato dalla EdT con il titolo Lettere da un’amicizia), e sua collaboratrice letteraria in diversi lavori fra cui il più celebre è l’opera Il Principe di Honburg che precede di cinque anni questo Der junge Lord.
Come si diceva, il tutto era valorizzato da un nutrito cast semplicemente perfetto sul piano vocale e attoriale, tutto valido ma tra cui segnaliamo almeno Levent Bakirci nei panni dell’enigmatico segretario-complice di Sir Edgard, Marina Comparato nel ruolo della baronessa che è la punta di diamante della società locale, la spiritosa e svettante Nikoletta Hertsak nei panni della giovane Ida, Davide Soldini, lampionaio che abusa di grappini, e James Klee, che era il direttore del circo che Sir Edgard protegge. C’è infatti un circo con tanto di trapezista, mangiatore di fuoco, giocoliere, ed è qui che sulla trama comica planano elementi fantasiosi e fantastici che Henze svolge meravigliosamente, come in equilibrio tra il giovane Rossini delle farse e il vecchio Stravinskij del Libertino, e che sono stati valorizzati dalla messinscena. La regìa di Daniele Menghini (ben coadiuvato con grande originalità creativa, da Nika Campisi, costumi, Davide Signorini, scene, Gianni Bertoli, luci, Sofia Nappi, coreografie) è riuscita infatti a compiere una sintesi funzionante ed elegante da tante fonti diverse, opera buffa, cabaret tedesco, iconografie fiabesche, fantasie zoomorfe, grandi e un po’ inquietanti mascheroni da carro carnevalesco, richiamandoci alla memoria tante cose, dall’opera buffa italiana e francese a Fellini, dal mondo del cabaret berlinese evocato da Bob Fosse nel film Cabaret al nostro vecchio Pinocchio di casa illustrato da Fiorenzo Faorzi (lo stesso Menghini ha dichiarato nelle note di regìa le suggestioni da Carlo Collodi), in una miscela riuscita, sapiente, che nonostante la sua ricchezza non offuscava minimamente la perfetta comprensibilità dei fatti rappresentati, e certamente vi aggiungeva qualcosa di suo, che però lasciamo all’interpretazione di chi vedrà. Si avvaleva per questo di una nutrita presenza di eccellenti figuranti e circensi nonché, nelle coreografie che arricchivano gli interludi orchestrali fra le varie scene, dai versatili non-solo-danzatori della compagnia Komoko. Orchestra, coro e coro di voci bianche al loro meglio, tutto bello, tutto riuscito, successo grandioso.
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