Un Lohengrin nel segno del belcanto

All’Opéra national du Rhin di Strasburgo un successo per l’opera wagneriana con Michael Spyres al debutto nel ruolo

 Lohengrin (Foto Klara Beck)
Lohengrin (Foto Klara Beck)
Recensione
classica
Strasbourg, Opéra national du Rhin (Opéra)
Lohengrin
10 Marzo 2024 - 22 Marzo 2024

Un assaggio il “baritenore” Michael Spyres lo aveva dato già nel suo disco più recente In the Shadows, antologia di arie d’opera che parte dall’amato Rossini e, attraverso Méhul, Spontini, Auber, Meyerbeer ma anche Beethoven, Marschner e Weber, arriva al Wagner più belcantista ossia quello del Lohengrin. Ora, a Strasburgo, Spyres riserva il suo debutto nel ruolo del cavaliere del cigno nel nuovo allestimento dell’Opéra national du Rhin. Si tratta del suo secondo ruolo wagneriano, dopo quello minore di Erik in Der fliegende Höllander affrontato a Amburgo nello scorso dicembre, che anticipa il debutto nel più ben impegnativo ruolo di Siegmund nella Walküre annunciata a Bayreuth nella prossima estate. È del tutto evidente che Spyres non possiede una voce classicamente wagneriana soprattutto nel colore, ma proprio per questo il suo Lohengrin è di quelli capaci di gettare una luce nuova sul personaggio, decisamente meno eroico e più proiettato su un piano mistico e metafisico: voce ampia, timbro chiaro ma pieno, registri molto omogenei, acuti mai forzati e ricchi di sfumature ma ancora di natura nettamente belcantista e dunque non del tutto attrezzato alla massa orchestrale wagneriana. Un limite, se si vuole, è la metrica belcantista applicata al teatro musicale wagneriano che non si esaurisce solo sul piano della vocalità.

Se il Lohengrin di Spyres è e resta soprattutto cantante stentando a diventare personaggio pieno la responsabilità va comunque anche ascritta alla regia di Florent Siaud, puramente illustrativa e soprattutto completamente assente sulla direzione degli interpreti, abbandonati a se stessi. Nonostante le coltissime note di regia con stimolanti riflessioni filosofiche e letterarie che evocano temi proiettati sul presente (il nazionalismo e il dogmatismo religioso come forma di riscatto di una società in declino, Lohengrin come evocazione di un mito fondatore capace di compattare una società divisa e sfibrata e, per opposizione, Elsa, Telramud e Ortrud come incarnazioni di una forma di dissenso che le dittature cercano di eliminare), il risultato è ben modesto. La scenografia di Romain Fabre è fatta di rovine del mondo antico contro un fondale di paesaggi romantici fra eclissi di sole e suggestive distese acquee in movimento ma il tutto resta puramente decorativo e non risponde a una vera idea di drammaturgia. Il costumista Jean-Daniel Vuillermoz veste tutti i brabantini di divise militari blu elettrico, con variante nera per Telramund e i suoi seguaci (Ortrud compresa), e Lohengrin appare come un monaco che nel secondo atto vestirà la divisa di re Heinrich. Sulle note del preludio, Elsa e Gottfried osservano le stelle con un telescopio e lei indica la costellazione del cigno (sic!) al fratello, prima che questi scompaia e lasci solo la corazza dorata alla sorella. La pulsione dittatoriale del regno di Heinrich è appena suggerita solo nel secondo atto, durante la lunga scena fra Telramund e Ortrud (che faticheremmo a definire campioni di virtù democratica), fra quattro corpi di impiccati e militari che bruciano libri in un bidone. Il resto sono lente processioni del coro disposto in forme rigorosamente geometriche, usurate simbologie di spade-croce, gestualità convenzionale e stereotipata e scarsissimi movimenti che fanno classificare questo Lohengrin soprattutto come un relitto del passato nonostante le buone intenzioni registiche che restano largamente sulla carta.

Michael Spyres a parte, il valore di questo nuovo allestimento è comunque tutto musicale. Se l’Elsa di Johanni Van Oostrum non va oltre una prova onesta, più incisivi sono il Telramund di Josef Wagner, che cresce sulla distanza, e l’Ortrud di Martina Serafin, forse l’unica sul palco a incarnare un’idea più tradizionale di soprano drammatico wagneriano nonostante qualche segno di usura vocale. Heinrich è un Timo Riihionen imponente nel fisico e vigoroso nell’espressione vocale ed Edwin Fardini dà un rilievo del tutto speciale al suo imperioso Araldo. Ottimo l’apporto del Coro dell’Opéra national du Rhin rinforzato con quello d’Angers Nantes Opéra.

Di grande spessore è anche l’esecuzione dell’Orchestre philharmonique de Strasbourg guidata con grande energia (ma anche attenzione al canto) dal giovane direttore azero Aziz Shokhakimov. La potenza dell’orchestra wagneriana si esprime in tutto il suo splendore, anche con gli effetti spaziali delle trombe distribuite fra logge di proscenio e gallerie.

Assente da trent’anni dal palcoscenico di Strasburgo, questo nuovo Lohengrin è stato accolto da un pubblico entusiasta in tutte le rappresentazioni del cartellone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo

classica

Napoli: per il Maggio della Musica

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione