Tutto il fascino dei “Folk Songs”

Al Festival Aperto di Reggio Emilia una bella esecuzione dei Folk Songs di Luciano Berio, proposti con altri brani di Fabio Nieder e Ivan Fedele

"Folk Songs", Icarus Ensemble (Festival Aperto, Reggio Emilia)
"Folk Songs", Icarus Ensemble (Festival Aperto, Reggio Emilia)
Recensione
classica
Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza – Festival Aperto
Folksongs
01 Ottobre 2023

A ogni ascolto Folk Songs conferma la coinvolgente capacità di Luciano Berio di reinterpretare differenti tradizioni popolari con gusto sapiente e raffinato, un carattere che è emerso anche in occasione dell’esecuzione di questa ormai classica raccolta, offerta in questo caso dall’Icarus ensemble diretto da Marco Angius nell’ambito del Festival Aperto di Reggio Emilia. Un appuntamento pensato in ricordo di due protagonisti della musica del Novecento come lo stesso Berio e Cathy Berberian, rispettivamente a venti e quarant’anni dalla scomparsa.

Una lettura che ha saputo mettere pienamente a fuoco sia il fascino cangiante e multiforme del tessuto strumentale che riveste di volta in volta gli undici brani di questa collezione, sia quel segno vocale che si riverbera nelle svariate declinazioni espressive che caratterizzano questo lavoro. Un dato, quest’ultimo, che la voce di Ljuba Bergamelli ha restituito con solida duttilità tecnica animata da un’efficace impronta interpretativa, al tempo stesso misurata e pregnante nel valorizzare tutte le differenti connotazioni custodite dei diversi brani.

Ed è proprio con l’ingresso in scena della voce della stessa Bergamelli che ha preso il via questo coinvolgente percorso di ascolto, avviato sulle note emerse “dietro le quinte” di “Black is the colour”, brano che rappresenta in maniera emblematica quel crogiuolo – o melting pot, se vogliamo – di tradizioni popolari diverse rappresentato dal tessuto culturale degli Stati Uniti d’America. Canzone attribuita ora alla tradizione popolare della regione degli Appalachi, ora da Alan Lomax a una assimilazione di materiali folklorici di matrice britannica, ora oggetto di rielaborazione melodica da parte del cantante folk e compositore John Jacob Niles. Un brano, insomma, che nei decenni ha visto svariate versioni, tra le quali ricordiamo quella offerta nel 1969 da Nina Simone ed Emile Latimer. Lo stesso Berio, consapevole di questa variabile attribuzione, ha restituito questo brano attraverso una trasparenza timbrica capace di porre in primo piano il tracciato vocale con efficace essenzialità.

Proprio quelle metamorfosi vocali distribuite di brano in brano quale significativo omaggio al talento di Cathy Berberian – fin dall’originale versione per mezzo soprano e sette strumenti del 1964 qui proposta – hanno tracciato una sorta di filo rosso che si è distribuito lungo una sequenza di esecuzioni attente e diversificate, capaci di far emergere le caratteristiche peculiari di questa sorta di eclettico giro del mondo in undici melodie. Da “Loosin yelav” (Armenia) a “Rossignolet du bois” (Francia), da “Motettu de tristura” (Sardegna) a “Malurous qu’o uno fenno” (Auvergne), fino alle melodie partorite dalla fantasia dello stesso Berio – “La donna ideale” e “Ballo” – e alla conclusiva “Azerbaijan love song”, abbiamo potuto godere di una sequenza di riuscite interpretazioni anche grazie all’affinità condivisa tra la voce di Ljuba Bergamelli e una compagine strumentale decisamente affiatata.

Un dato che è emerso anche nell’esecuzione degli altri brani che completavano il programma: V. (…les collines d’Anacapri) d’après Claude Debussy, pagina dalla brillante cifra timbrica di Fabio Nieder – presente in sala – e Tanka articolato brano per voce ed ensemble di Ivan Fedele, commissionato da Festival Aperto in collaborazione con Ravenna Festival. Lavori che hanno chiuso un impaginato diretto con attenta efficacia da Marco Angius alla guida di una compagine strumentale che comprendeva Claudia Piga al flauto, Alberto Delasa al clarinetto, Giovanni Campanardi al corno, Gilda Gianolio all’arpa, Diego Petrella alla celesta, Francesco Pedrazzini e Matteo Rovatti alle percussioni, Yoko Morimyo alla viola e Luca Colardo al violoncello.

Gli applausi convinti da parte del pubblico presente hanno salutato tutti gli artisti impegnati in un concerto chiuso da un bis rappresentato dal penultimo brano dei nove che componevano l’opera di Fedele.

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