Tutte le donne di Donaueschingen

Grande rilievo alle compositrici ai Donaueschinger Musiktage, i primi firmati della neodirettrice artistica Lydia Rilling

Un concerto alla Baarsporthalle
Un concerto alla Baarsporthalle
Recensione
classica
Baarsporthalle, Donaueschingen
Donaueschinger Musiktage
19 Ottobre 2023 - 22 Ottobre 2023

Parlano al femminile i Donaueschinger Musiktage secondo Lydia Rilling, al suo primo anno alla guida del festival di musica contemporanea più antico al mondo dopo l’esperienza dei “Rainy Days” a Lussemburgo. Le cifre sono chiare: dei 23 pezzi presentati in prima assoluta nelle tre giornate conclusive della rassegna ben 18 sono stati composti da donne, e di queste il 70% presentava propri lavori per la prima volta a Donaueschingen. Aria di novità, dunque, anche nelle proposte, che sconfinano nei territori finora poco esplorati delle performance o del teatro musicale, pur se in forma embrionale (ne riferirà a parte il collega Vogt). Tiene comunque lo zoccolo duro del festival, seguitissimo come sempre o forse anche di più fra il 19 e il 22 ottobre, con 6500 spettatori accorsi da 33 paesi nella placida cittadina della Foresta Nera, nota soprattutto per custodire le sorgenti del Danubio.

Numeri a parte, il quadro che emerge dalla quattro giorni è piuttosto contrastato e fatto soprattutto di conferme più che di nuove scoperte. Una conferma era sicuramente Francesca Verunelli, protagonista del concerto di chiusura in una gremitissima Baarsporthalle con la SWR Sinfonieorchester diretta da Ingo Metzmacher. In programma c’era Tune and Retune II, seconda parte di un lavoro per grande orchestra, presentato con grande ritardo causa pandemia dopo la prima parte eseguita nel 2018 dall’Orchestre Philharmonique de Luxembourg. Dopo tanti (troppi?) pezzi dalle forme sfuggenti e indefinite ascoltati nei vari concerti, con quello di Verunelli si ascolta finalmente una composizione che brilla per una preziosa scrittura orchestrale ricca di timbri e colori, presentati su un’inesorabile scansione percussiva del tempo che parte già dalle prime note di un pianoforte scordato. Non è troppo una sorpresa che la compositrice toscana conquisti gli stessi orchestrali, che, secondo una consolidata tradizione dei Musiktage, le assegnano il premio per la migliore creazione del festival, verosimilmente aiutata da una impaginazione che la pone al centro di un programma aperto da Frau warum weinst du? Wen suchst du? (Donna perché piangi? Chi cerchi?) della settantottenne sudcoreana Younghi Pagh-Paan, pezzo di ispirazione evangelica, solidamente ancorato a un gusto post-berghiano, e il presuntuoso (e fischiatissimo: sì, qualche volta succede anche alla musica contemporanea!) Konzert per pianoforte e orchestra dell’americano di origine giapponese Steven Kazuo Takasugi, pezzo frenetico e dal virtuosismo pianistico che sfiora il sadismo, costruito su una visionaria quanto velleitaria trama zeppa di riferimenti per lo più oscuri.

In concorso c’erano comunque anche i quattro pezzi tutti nuovi del concerto di apertura, sempre con la SWR Sinfonieorchester, in questo caso diretta da Baldur Brönnimann, sempre alla Baarsporthalle. Solo compositrici nel programma, inaugurato da Elegy for Tyre “Welcome to the World through my Eyes” dell’afroamericana Matana Roberts, sommessa meditazione in forma sonora dal segno molto minimalista nell’impiego dei mezzi, di interesse soprattutto per l’omaggio al giovane afroamericano Tyre Deandre Nichols, una delle vittime più recenti della violenza della polizia di Memphis. A seguire, il più vitale e disimpegnato sugarcoating #4 della croata Sara Glojnarić, quarto e ultimo pezzo di una serie nata dalla riscrittura di brani di musica pop presi dal Million Songs Dataset, e quindi la nuova versione di where the dark earth bends per due tromboni, orchestra e elettronica della romana Clara Iannotta, la proposta più interessante del programma, pezzo dichiaratamente di ricerca di un nuovo linguaggio espressivo fatto di uno stimolante e intreccio fra suoni inediti ed elettronica, riflesso sonoro di uno scandaglio interiore a tratti inquietante. Seconda parte interamente consacrata alla novantunenne Éliane Radigue, pioniera della musica elettronica e “spettralista” della prima ora, che presentava un nuovo pezzo ancora una volta nato dal quasi ventennale sodalizio artistico con Carol Robinson, per l’occasione anche sul podio: Occam Océan Cinquanta per grande orchestra è il culmine di un ciclo di numerose composizioni, anche solistiche, basate su toni estesi e scostamenti microtonali (non partiturizzati), affidati a diversi gruppi strumentali e singoli strumenti. Pezzo di natura evidentemente meditativa, deve molto della sua suggestione al paesaggio sonoro lentamente cangiante, in teoria infinito ma qui interrotto dopo mezz’ora, che richiama il lento movimento delle masse acquatiche nelle distese oceaniche indicate nel titolo.

Atmosfere sospese anche in 1979 della britannica Joanna Bailie, presentato in prima assoluta a soli pochi giorni dal debutto veneziano alla Biennale Musica. I nove bravi musicisti dell’ensemble Ictus sono disposti su due pedane ai lati della lunga parete dell’ampia sala polivalente nella Realschule, ai due estremi di uno schermo al centro sul quale vengono proiettate immagini dalle forme molto sfumate che sembrano uscite da ricordi lontani della compositrice. Tempo che passa, nostalgia che cresce … il 1979 come punto focale di un esercizio di memoria molto personale della compositrice, allora cinquenne, che, al di là delle dichiarazioni programmatiche, stenta ad andare sotto la superficie di una rappresentazione convenzionale dell’idea della perdita prodotta dalla distanza del tempo.

La memoria ispira anche il concerto performance Murder Ballads: Volume II. The Positive Reinforcement Campaign dell’americana Jessie Marino in collaborazione con le musiciste norvegesi del trio Pinquins (Jennifer Torrence, Sigrun Rogstad Gomnæs and Ane Marthe Sørlien Holen) and Inga Margrete Aas. La Stavinsky Saal nelle Donauhallen, epicentro del festival, è praticamente immersa nel buio, tagliato da lame di luce di colore cangiante durante la performance. Si canta e i testi sono quelli delle “murder ballads” che raccontano storie di ordinaria brutalità nell’Appalachia degli anni della grande trasformazione industriale nel XIX secolo e le inevitabili tensioni fra cultura tradizionale e modernità. Almeno nelle intenzioni, quello di Marino non vuole essere un esercizio puramente retrospettivo ma piuttosto una proiezione sulle tensioni del presente, espresso attraverso sperimentalismi sonori, improvvisazione, cori di ispirazione religiosa (in particolare, dalla tradizione della Sacred Harp) e canti folkloristici della regione degli Appalachi. Il concerto-spettacolo, che oltre alle cinque interpreti vede sul palco anche la presenza della tennista Emilia Dorr impegnata in una sessione di allenamento per una buona parte della performance, resta però confinato a esercizio puramente intellettualistico dal quale la dimensione politica emerge molto poco così come l’originalità sul piano musicale.

Dagli Stati Uniti proviene anche il gruppo Yarn/Wire, protagonista di due affolatissimi concerti nell’enorme Bartók Saal delle Donauhallen. Fondato nel 2005, Yarn/Wire è un quartetto insolito fatto di due percussionisti (Sae Hashimoto e Russell Greenberg) e due pianiste anche polistrumentiste (Laura Barger e Julia Den Boer). Yarn/Wire è piuttosto attivo sulla scena newyorkese nella promozione del repertorio contemporaneo, anche attraverso commissioni a personalità internazionali di rilievo. La grande versatilità di questo quartetto “polimorfo” si misura con tre solisti di eccezione nel primo dei due concerti del cartellone: in programma ci sono tre pezzi in prima assoluta fortemente influenzati dal linguaggio del jazz sperimentale. For Ross Gay vede la presenza del pianista afroamericano Tyshawn Sorey come autore ma anche pianista nel suo pezzo ispirato al libro di Ross Gay sulla leggenda del baseball Julius Erving. Nel successivo Thinking Holes protagonista è invece la sassofonista Ingrid Laubrock, che firma anche il brano fra improvvisazione e aleatorietà. Chiude il concerto un pezzo più vivace e godibile, Animations del trombettista Peter Evans, costruito su forme jazz più convenzionali. Per il secondo concerto Yarn/Wire sceglie pezzi più allineati su codici musicali più consueti nel classico contemporaneo. Apre Into the Vanishing Point dell’americana di origine neozelandese Annea Lockwood con la collaborazione degli stessi Yarn/Wire, composizione all’insegna di un minimalismo estremo di segni e suoni nato dalla lettura dell’articolo “The Insect Apocalypse is Here” di Brooke Jarvis per il New York Times, che ammonisce sulle conseguenze devastanti della progressiva sparizione degli insetti. Una simile attenzione alle tematiche ambientali, mediate dall’immagine dell’opera Alchemie di Anselm Kiefer, anima Grain | Stream dell’italiana Giulia Lorusso, che purtroppo depotenzia la forza dell’assunto in una eterogeneità di suoni e linguaggi che spersonalizza il gesto musicale. Dopo l’ingiudicabile parentesi adolescenziale (si direbbe fuori tempo massimo) di In My Heart, And Still di Bakudi Scream, al secolo il losangeleno Rohan Chander, racconto di una “love story” da parte di Architect Prince, uno degli avatar dell’autore, che si esibisce anche in una performance col volto coperto da una maschera da schermidore argentata, finalmente arriva la musica con Black Dwarf di Olga Neuwirth, pezzo inquietante come un’architettura gotica, scandito dal ritmo martellante delle percussioni metalliche proiettato dall’elettronica live nel grande spazio della Bartók Saal, nel quale si innestano gli accordi dissonanti di due sintetizzatori disposti alle spalle del pubblico. Pochi ingredienti, segno musicale forte: la firma di una compositrice vera.

Un bilancio? Impossibile! Lo spettro delle collaborazioni artistiche e delle posizioni estetiche in mostra ai Musiktage è vasto e confuso, come lo è il mondo della creazione artistica oggi che non possiede più la bussola dei dogmi di un passato anche recente. Per Lydia Rilling, i Musiktage devono essere “luogo di scambio e di discussione appassionata su ciò che la musica contemporanea può e deve essere”. Se è davvero così, Rilling ha fatto centro.

 

 

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