Opera tra realismo e trasfigurazione

Recensione
classica
Wiener Staatsoper Vienna Wien
Friedrich Cerha
15 Giugno 2002
La stagione operistica viennese, oramai quasi giunta al termine, si ravviva nel suo finale con la prima esecuzione assoluta dell'opera di Friedrich Cerha e Peter Turrini Der Riese vom Steinfeld. La vicenda dell'opera è tratta da avvenimenti realmente accaduti e narra la storia di un ragazzo molto alto, vissuto all'inizio del Novecento, proveniente da un piccolo paese austriaco. Per le sue particolarità fisiche il gigante assurge a caprio espiatorio della comunità paesana e viene sfruttato e portato in giro per il mondo come fenomeno da baraccone. Dopo essere stato venduto ad un circo e aver provato le emozioni dell'amore, il gigante si ribella e torna al suo paese, dove muore poco tempo dopo a causa di un'infezione polmonare. Il paese sfrutta il nome del gigante, conosciuto in tutto il mondo, per attrarre visitatori e far fiorire il mercato turistico. Se in maniera schematica questa è la vicenda narrata, diversi e più complessi sono i problemi legati alla trasposizione sul palcoscenico di eventi realmente accaduti. La narrazione è chiaramente articolata in scene distinte e differenti, coerente nello scorrere temporale, e tradizionale nell'uso linguistico, esplicitamente ritornando ad una visione dell'opera preavanguardistica, in cui l'idea del 'raccontare una storia' si contrappone a quella della manipolazione linguistica, fonetica e testuale. Pur tuttavia, la narrazione e la sua rappresentazione sono calati in un'aurea particolare che trasfigura il tutto, dando un significato più universale ed umano alle vicende storiche realmente avvenute. Ciò avviene secondo stratagemmi non solamente letterari e linguistici, ma anche musicali, scenici e di regia. Il realismo narrativo di Turrini fa ampio uso di cromatismi linguistici e poetici, che evidenziano la naturalità e la semplicità, quasi trasparente, dei concetti e degli della narrazione. Il testo non è, quindi, crudo realismo, ma sfiora spesso il tono fiabesco, e la realtà viene mostrata contemporaneamente anche dall'altro suo lato, che è quello dell'irrealtà. Musica e testo di quest'opera, sebbente nati da due personalità artistiche così forti, si integrano perfettamente; la musica e le parole vogliono solamente raccontare la stessa storia. Cerha sviluppa a partire da ogni scena uno stile musicale idoneo che vi si possa adattare, adottando numerosi stimoli storico-stilistici ed 'esotici'. Le linee vocali ricordano molto la vocalità di Janácek, nella quale canto e recitazione si fondono in un'unità. La direzione di Michael Boder e la prestazione orchestrale hanno reso benissimo l'immagine acustica di questa trasfigurazione, dando risonanza cristallina alle complesse strutture sonore e ritmiche di Cerha ed evidenziando le diversità e le peculiarità delle singole scene drammatiche. Assolutamente in armonia con il resto anche regia e scenografie. I costumi sono quelli di un periodo passato, ma non importa quale, poiché il fattore temporale della vicenda è quasi secondario. Inoltre, i personaggi sulla scena, provenienti dal milieu del circo e della strada - metafora del mondo - ricordano spesso quegli individui, privi di una dimensione temporale, così cari al regista Federico Fellini. I cantanti danno al meglio la complessità vocale della partitura. Le colorature della Damrau sono perfette in tutti i registri e in tutte le dinamiche. Ma è soprattutto Hampson ad incarnare sulla scena il principio della trasfigurazione: la sua recitazione sembra ispirata ai canoni brechtiani e il suo canto si muove senza incertezze in un vasto repertorio di idiomi espressivi e vocali, dall'ingenuo canto folcloristico alla declamazione drammatica del dolore. Sulla scena vediamo una storia realmente accaduta presentata esplicitamente come evento della finzione e della visione: un tulle calato sul palco offusca leggermente la scena; i cantanti dialogano con l'orchestra e a volte sembrano rivolgersi al pubblico; il personaggio del musicista in scena commenta la musica dell'orchestra e dice quello che sarebbe potuto risuonare, ma che non lo è ... cosicché la rappresentazione è allo stesso tempo teatro e metateatro, musica e metamusica.

Interpreti: Thomas Hampson, Diana Damrau, Michelle Breedt, Herwig Pecoraro, Wolfgang Bankl, Branko Samarovski, Alfred Cramek, Heinz Zednik, Margareta Hintermaier, John Nuzzo, Janusz Monarcha, Wolfgang Bankl, Jens Musger, Peter Köves, Walter Pauritsch, Johannes Gisser

Regia: Jürgen Flimm

Scene: Erich Wonder

Costumi: Florence von Gerkan

Corpo di Ballo: Corpo di ballo della Wiener Staatsoper

Coreografo: Renato Zanella

Orchestra: Orchester der Wiener Staatsoper, Bühnenorchestra der Wiener Staatsopera

Direttore: Michael Boder

Coro: Chor der Wiener Staatsoper, Wiener Sängerknaben

Maestro Coro: Ernst Dunshirn

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