Maggio alla russa con Stravinskij e Čajkovskij

Riflessioni sul Ciclo Stravinskij/Čajkovskij del Maggio Musicale Fiorentino, sotto la direzione di Vladimir Ashkenazy e Mikhail Jurowski 

Maggio Musicale fiorentino - ciclo Stravinskij/Čajkovskij
Vladimir Ashkenazy sul podio del Maggio
Recensione
classica
Maggio Musicale Fiorentino, Opera di Firenze
Ciclo Stravinskij/Čajkovskij
06 Aprile 2018 - 15 Aprile 2018

Stravinskij e Čajkovskij non si sono mai incontrati per ovvie ragioni generazionali: quando il secondo muore a San Pietroburgo nel 1893 il primo aveva appena undici anni.

In realtà le cronache ci dicono che si siano sfiorati proprio qualche settimana prima della morte di Čajkovskij al teatro Marijnskij. Igor era lì con la madre, adolescente già innamorato del balletto. L’occasione che Maggio Musicale Fiorentino, con un ciclo di quattro appuntamenti a loro dedicato, ci ha offerto risulta una preziosa occasione di confronto ravvicinato tra i due giganti. È stato come vederli passeggiare insieme nei vicoli innevati di San Pietroburgo. Pëtr Il’ic che gli parla del dolore vissuto quando perse a quindici anni l’adorata madre, oppure del matrimonio naufragato in poche settimane. Mentre Igor ricorda quando, disgustato ma anche impaurito, se ne stava nascosto dietro le quinte del Théâtre des Champs-Élisées a causa delle accese intemperanze del pubblico parigino alla prima della sua Sagra, uno dei maggiori capolavori del Novecento musicale. Era il 29 maggio 1913.

Il forzato forfait per ragioni di salute dell’amatissimo direttore onorario Zubin Mehta non ha scoraggiato il pubblico del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, sempre molto presente e caloroso, anche perché i sostituti non sono certo delle riserve, Vladimir Ashkenazy Mikhail Jurowski, due russi di gran classe ed esperienza.

Ashkenazy ci delizia con una lettura scintillante della Sinfonia n.4 in fa minore n. 36 (1878) di Čajkovskij. Scintillante come gli ottoni che tutti insieme la aprono facendo evaporare però i tradizionali valori simbolici a favore invece di una profonda introspezione sul peso del destino che incombe sull’uomo, che poi il romanticismo intimo dell’Andantino stempera in una melanconia struggente. 

Prima L’Orchestra del Maggio aveva supportato con grande trasporto emotivo il brillante violino di Guy Braunstein nel Concerto in re maggiore per violino e orchestra (1931) di Stravinskij, pezzo poco frequentato di schema neoclassico dal sapore barocco nel quale colpisce l’equilibrio tra virtuosismo strumentale e andamento ritmico-melodico. A proposito di virtuosismo non si può non ricordare il violino di Jiulian Rachlin nel Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.35 (1878-1881) di Čajkovskij, composizione che richiede com’è noto al solista compiti di estrema difficoltà tecnico-esecutiva. Rachlin supera benissimo la prova, conquista tutto il teatro che lo richiama più volte sul palco, ma rimane comunque la sensazione che al di là di ricche variazioni e cambi di sonorità la pura ricerca virtuosistica della composizione non si apra mai a una reale profondità espressivo-emotiva. 

Con il cambio di direttore – è il momento di Jurowski nei due ultimi appuntamenti – si assiste a una direzione più meditata e controllata, comunque sempre di grande efficacia. Con il Concerto n.1 in si bemolle minore op.23 (1875) di Čajkovskij conosciamo un’altra interprete di grande personalità, la pianista georgiana Khatia Buniatishvili, che verrà sicuramente ricordata, oltre che per il talento, anche per il suo luccicante abito rosso fuoco.

Katya Buniatishvili
Khatia Buniatishvili

Forse tra le pagine più note del compositore russo il Concerto n.1 è come al solito trascinante nel suo andamento solenne e magniloquente, non privo di retoriche, ma che disegna bene la logica e il fascino creativo dell’autore. Con Petruška (versione del 1947) si entra nel vivo del mondo musicale stravinskijano. Qui si percepisce bene il suo modernismo, l’allontanamento progressivo dagli stilemi del maestro Rismkij-Korsakov, prefigurazione della musica a venire. Nella forma, attraverso blocchi tematici invece di sviluppi logico-lineari, nell’enfatizzazione degli aspetti ritmici, nell’umanizzazione dei caratteri dei vari personaggi, nei colori degli ambienti. Modernismo ancora più esplicito nella Sagra della primavera (1913) dove elementi folklorici e componente nazionalista, aspetti pagani e primitivi non giocano un ruolo coloristico ma assumono il carattere di capisaldi di nuove e radicali strutture musicali chiudendo definitivamente con la scrittura tardo-romantica. Opera che mette in evidenza tutta la potenza sonora e la ricchezza espressiva dell’orchestra che Jurowski gestisce con maestria soprattutto rispetto alla sezione degli ottoni, che ha un peso fondamentale nell’opera.

Ma della quarta e ultima serata tutta stravinskijana rimangono dentro soprattutto le atmosfere, le tensioni, con citazioni anche dalla Sagra, della Sinfonia in tre movimenti (1942-1945). Opera americana – Stravinskij si stabilì negli Stati Uniti nel 1939 – dedicata alla Filarmonica di New York che rappresenta una specie di ritorno alle origini, ai ritmi sanguigni delle opere giovanili, alle dissonanze, a una ricchezza di episodi strumentali di carattere concertante che la maturità compositiva rende in un equilibrio cangiante. I primi passi verso il webernismo e il metodo dodecafonico. 

Con Stravinskij potremo usare la categoria dell’eclettismo, potremo leggere e dividere il suo percorso compositivo in fasi, considerarlo un impertinente conservatore nel suo proiettare sempre nel passato ogni nuova cifra stilistica (addirittura anche la dodecafonia), ne daremo comunque un aspetto parziale. Ma in fondo una unitarietà stravinskijana è riconoscibile nella costruzione musicale, negli aspetti ritmico-dinamici, nei vivaci colori orchestrali, come nell’attingere a valori nazionalisti e spirituali. Un grande esploratore delle possibilità del linguaggio musicale che ne ha prevenuto molti sviluppi contemporanei. Il ciclo offertoci dal Maggio Musicale Fiorentino ci spinge a riflettere su possibili tratti comuni con Čajkovskij. Nonostante i molti e formali attestati di ammirazione, considerando il feroce antiromanticismo di Stravinskij non possiamo non pensare che lo stesso sopportasse poco certi eccessi melodici, sentimentalismi e lirismi appassionati čajkovskiani. Li accomuna sicuramente l’interesse per gli sviluppi della musica occidentale, un cosmopolitismo nel quale entrambi, pur con approcci diversi, evocano colori e miti di Madre Russia. 

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