L'opera è lo specchio dell'Italia

Perchè sono contrario al decreto legge sulle Fondazioni Liriche

Recensione
classica
Manganelli docet. Non l’ho letto e non mi piace. Il “decreto” sulle Fondazioni Liriche intendo. Perché da questo “governo”, da questo “ministro” e da questa “opposizione”, è ontologicamente impossibile che scaturisca qualsivoglia provvedimento capace di curare qualcuna delle troppe malattie degenerative che affliggono il Belpaese. Echeggiano gli applausi a Napolitano che ha rispedito il pastrocchio al mittente. Ma il temporaneo rinvio muoveva da questioni non sostanziali, concernenti per lo più quel riflesso automatico di questi “governanti” che irresistibilmente tendono a rifilare la solita banana d’ordinanza a chiunque in Italia percepisca un salario.
Fra Bondi, capigabinetto, sovrintendenti, direttori artistici, racket sindacali, trafficanti d’ugole, la selva dei “comma 22” che dissanguano e paralizzano il sistema, non c’è speranza di sanare una patologia così avanzata. E questo perché la soluzione equivarrebbe a denunciare il fatto che nel suo insieme il sistema delle Fondazioni liriche è diventato l’apoteosi della pacchia, dei quattrini buttati, dell’inefficienza, del bla bla, della retorica, della demagogia e via peggiorando. Un sistema che è il grande e ineguagliabile neurone specchio dell’Italia.
Eppure in questa nostra stanca penisola qualcosa che funziona, che produce cose belle e bellissime a costi accettabili c’è. Il punto d’appoggio invocato da Archimede esiste. Peccato che per politicanti, faccendieri, orchestre felliniane e quant’altri questa realtà possibile sia come fumo negli occhi, inconciliabile con cecità e interessi intrecciati e devastanti.

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