Kit Armstrong, pianista tra argento ed oscurità

La Società dei concerti di Bolzano ospita il giovane pupillo di Brendel

Kit Armstrong
Kit Armstrong
Recensione
classica
Sala Michelangeli del Conservatorio Monteverdi, Bolzano
Recital del pianista Kit Armstrong
22 Marzo 2018

Nell’ascolto musicale il ruolo dell’interprete ha un peso considerevole. È capace, infatti, di attrarre, condurre, indirizzare quegli schemi mentali che ciascuno di noi costruisce dentro di sé durante l’ascolto della musica e che danno luogo a pensieri ed emozioni. Se un interprete è dotato, riesce a condurci per mano attraverso quei paesaggi sonori che andranno a creare le architetture di un brano musicale. Detto in altre parole, la grandezza di un interprete si può misurare nella sua capacità di rendere intelligibile un’opera, sia essa del lontano passato o dell’ugualmente distante contemporaneità.

Il giovane pianista Kit Armstrong, pupillo di Alfred Brendel, ha voluto accompagnare il pubblico di Bolzano lungo il cammino, già praticato, del genere della fantasia, con esempi dal Cinquecento (William Byrd, Jan Pieter Sweelinck) al 1897 (Ad nos, ad salutarem undam, la trascrizione di Busoni dell’elaborazione di Liszt di un corale di Meyerbeer) attraversando pagine perlopiù sconosciute e che, nella maggior parte dei casi, associavano la fantasia ad un altro genere principe: la fuga.

In questo viaggio guidato, il tocco di Armstrong sfoggiava due colori contrastanti. Da un lato il chiarore del pianissimo, che sapeva acquistare preziosi riflessi argentati (nell’incipit della Fantasia e Fuga in do maggiore KV 394 di Mozart come nell’ampia pagina lisztiana/busoniana); dall’altro lato l’oscurità di un registro sempre forte che nella sua fissità, a lungo andare, appiattiva la percezione sonora. La preferenza per quest’ultimo colore primeggiava nei fugati, dove Armstrong interpretava la polifonia in senso aumentato: non “tante voci” bensì “tutte le voci”, producendo un affollamento sonoro spaesante. Difficile focalizzare un tema nella selva di melodie sgranate che si accompagnavano alla ritmicità di note veloci e velocissime, seppur condotte con una linea musicale lunghissima.

Considerate le caratteristiche di questa esibizione – la scelta di due colori principali in contrasto, la motricità digitale di scale ed arpeggi, quasi un ricercare antico sulla tastiera, nonché la predilezione di accordi conclusivi accentuati corti e secchi, con l’esclusione sistematica dell’uso del peso del braccio – tutto farebbe pensare ad una proposta interpretativa rivolta al passato. In questo caso, ci si domanda allora perché, nella scelta alternativa dello strumento - un Bechstein al posto dei tre Steinway presenti in sala – Armstrong non abbia preferito una tastiera storica, avendo deciso di non sfruttare tutte le possibilità espressive offerte dallo strumento moderno.

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