Il Quartetto Prometeo prosegue l’integrale di Shostakovich alla Filarmonica Romana

Al Teatro Argentina il quinto dei sei concerti del ciclo, con tre quartetti risalenti all’ultimo decennio del compositore, molto diversi ma accomunati da un pensiero rivolto alla morte

Quartetto Prometeo
Quartetto Prometeo
Recensione
classica
Roma, Teatro Argentina, Accademia Filarmonica Romana
Dmitrij Šostakóvič
16 Gennaio 2024

L’integrale dei quindici quartetti di Dmitrij Šostakóvič, che il Quartetto Prometeo sta realizzando in sei concerti nell’ambito di tre stagioni concertistiche dell’Accademia Filarmonica Romana, è giunta al penultimo appuntamento, nel corso del quale si sono ascoltati i Quartetti n. 11, 12 e 13, composti rispettivamente nel 1966, 1968 e 1970, dunque nell’ultimo decennio di vita di Šostakóvič. La scelta di eseguire questi quindici capolavori in ordine cronologico è giustissima, perché permette non solo di seguire il percorso compiuto dal compositore nell’arco di quasi quarant’anni ma anche e soprattutto di rendersi pienamente conto di come quartetti contigui come questi tresiano molto diversi tra loro in virtù della loro forma e della varietà delle idee di Šostakóvič. Ma hanno un comune pensiero dominante: la morte. Infatti nei quartetti, a differenza che nelle sinfonie, Šostakóvič non doveva fare i conti con le richieste di ottimismo e trionfalismo che gli giungevano dal regime sovietico e poteva esprimere tutto il suo profondo poessimismo.

I tre quartetti ascoltati questa volta erano dedicati a tre elementi del Quartetto Beethoven, che da decenni erano interpreti privilegiati della musica di Šostakóvič e suoi amici personali. Il Quartetto n. 11 è dedicato a colui che ne era stato il secondo violino e che era morto recentemente. All’inizio del quartetto il compositore esprime il suo dolore con una lunga e funerea melodia del primo violino, mentre il secondo violino tace, a simboleggiare l’assenza dell’amico. Ma il lutto si esprime anche in modo scherzoso, con una fuga che ricorda giocosamente la mania per questo genere musicale dello scomparso, che era anche compositore e

aveva scritto un centinaio di fughe. I vari episodi si inseriscono in una forma originale, consistente in sette movimenti eseguiti senza interruzioni e collegati ancor più strettamente da temi basati sugli stessi pochi intervalli, ma piegati a stati d’animo sempre diversi.

Quartetto Prometeo
Quartetto Prometeo

Egualmente originali sono le forme dei Quartetti n. 12 e 13, il primo in due movimenti, l’altro in uno. Qui Šostakóvič sorprende accostandosi alla dodecafonia, usata però con una certa libertà e soltanto in alcuni determinati momenti, al di fuori di ogni tecnicismo, e inglobata in una visione sempre pratica ed empirica della musica. Sebbene non siano dedicati ad un amico scomparso, questi due quartetti hanno dei momenti assolutamente funerei. Nel Quartetto n. 12 il secondo movimento è indicato Allegretto ma la sua vivacità ha qualcosa di spettrale. Quest’Allegretto “diminuendo”, “morendo” e “ritardando” si trasforma in un Adagio, con accordi gelidi e come privi di vita dei violini e della viola, mentre il violoncello cerca di contrapporsi con una melodia forse ancor più cupa e disperata: non è un ricordo funebre, come il precedente quartetto, ma è una voce che sembra venire dall’aldilà, da un ade buio abitato da spettri. Dopo di questo, anche quel che in altri contesti potrebbe introdurre un sentimento più lieve, come una sezione in pizzicato o una melodia “dolce”, appare ora affranto e angosciato.

Quest’atmosfera permane nel Quartetto n. 13, oscuro e inquietante. Inizia con un monologo cupo della viola e finisce con un altro monologo della viola, che porta ad una conclusione che colpisce e s’imprime nella memoria: la viola si innalza verso note acutissime e a lei si uniscono gli altri strumenti all’unisono, come in un disperato tentativo di elevarsi, facendosi forza l’un l’altro, su quel mondo desolato e mortifero, ma invano, perché un improvviso ‘fortissimo’ fa ripiombare nella disperazione.

Narrando alcune impressioni ricavate dall’ascolto di questo concerto, abbiamo cercato di dimostrare la presenza sempre più importante di Šostakóvič tra i massimi musicisti del ventesimo secolo, ma anche riconoscere la qualità dell’interpretazione del Quartetto Prometeo, che ha colto perfettamente lo spessore sia musicale che espressivo di questi quartetti, che come nessun altra musica ci mettono di fronte a speranze e tormenti, atrocità e umanità del nostro recente passato. Anche cercando nelle varie registrazioni reperibili è difficile trovare una rispondenza alle esigenze di questa musica così totale come quella del Prometeo.

Dopo il tour de force di questi tre quartetti molto impegnativi, per di più eseguiti senza intervallo (perché?), il pubblico non si stancava di applaudire e il Quartetto Prometeo ha risposto con un bis, il rarissimo Quartetto n. 1 (1938) di Giorgio Federico Ghedini, che ha molto in comune con i quartetti composti da Šostakóvič trent’anni dopo, in particolare con il tredicesimo, perché anch’esso è in un movimento ed è sprofondato in atmosfere immobili, totalmente luttuose e pessimistiche, nonostante un finale che cerca di smuovere quelle acque mortifere: un bellissimo quartetto che meriterebbe di essere più eseguito e più conosciuto.

PS Che i quindici quartetti di Šostakóvič si stiano rivelando tra i momenti fondamentali della musica del secolo passato lo dimostra anche l’inizio nelle scorse settimane di un’altra esecuzione integrale nell’ambito della Stagione di Roma Sinfonietta presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, con un altro dei migliori quartetti italiani, il Guadagnini.

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