I colori cupi di Gioconda

Interessante impianto registico di carattere minimalista, con particolari scelte cromatiche. Direzione musicale senza carattere e tempi molto lenti. Buona la compagnia di canto.

Recensione
classica
Ente Lirico Arena di Verona Verona
Amilcare Ponchielli
17 Giugno 2005
Una Venezia colorata di grigio, pervasa da atmosfere cupe, quasi cimiteriali, è quella che emerge dall'impianto scenografico e registico della Gioconda che ha aperto il festival areniano di quest'anno. Sullo sfondo una grande parabola argentata (con una funzione anche di aiuto acustico), con grigi cipressi ai lati e poi scale semoventi che, diversamente combinate, vengono a formare ponti veneziani piuttosto che ampie scalinate. Rosso vivo è la nave che emerge, nel secondo atto, con i suoi toni accesi riflessi dalla parabola, davanti una sorta di ara con la bocca del leone. Giocato tutto sui contrasti cromatici - anche nei bei costumi - di rosso, bianco, grigio e nero, ad emergere è una concezione teatrale essenziale, minimalista, di notevole gusto; efficaci e ben condotti nei dettagli, i movimenti di mimi e delle masse, con una danza delle ore, assolutamente non sfarzosa, ballata su una scalinata. Una regia, senza orpelli, atta a mettere a fuoco in maniera nitida gli snodi di un libretto denso di incongruenze, per lasciare alla musica il compito di far emergere tutto il pathos drammatico. Ma è stata la conduzione musicale di Donato Renzetti che ci è parsa a questo punto debole, senza vigore, quasi rinunciataria, con scelte agogiche molto dilatate, l'attenuazione di contrasti dinamici, impulsi e scatti, che ha allungato notevolmente la durata della rappresentazione. Ciò nonostante la compagnia di canto nel complesso abbia ben retto: Marco Berti interpreta il ruolo di Enzo con relativa sicurezza e vigore, la Gioconda di Andrea Gruber è ricca di accenti lirici e forza, convincente il Barnaba di Alberto Mastromarino, di notevole nitore e forza vocale l'Alvise di Carlo Colombara. Pubblico non numeroso, che ha applaudito spesso a scena aperta romanze e balli, forse un po' stanco e frettoloso alla fine. Fabio Zannoni

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