Eliogabalo a Parigi

L'opera di Cavalli delude a Palais Garnier

Recensione
classica
Le premesse c’erano, stuzzicanti: una star nella parte principale e un soggetto che più estremo non si può - l’imperatore transgender nomina un Senato di sole donne (tutte lavoratrici del sesso, stando alle fonti) e assegna incarichi alle ministre in base a giochi erotici. Ciononostante l' Eiogabalo di Cavalli delude al Palais Garnier, gremito di pubblico attento e paziente per più di tre ore di musica. Mancano il ritmo giusto, il respiro teatrale. Sarà la dizione ingarbugliata dei cantanti, sarà la concertazione grommosa di García Alarcón, che carica i recitativi di note tenute agli archi e agli ottoni con effetto zavorra. Saranno la regia priva di estro di Thomas Jolly e le scene lugubri ma stucchevoli di Thibaut Fack. Sarà una partitura stanca, che si scalda solo in alcuni squarci drammatici o lirici del II e III atto. Per giunta il libretto conclude inerte, a lisca di pesce. Nel programma di sala se ne ascrive la paternità a Busenello, di cui stentiamo davvero a riconoscere l’arguzia: più logicamente, una studiosa come Ellen Rosand lo attribuiva ad Aurelio Aureli, il cui nome compare nel frontespizio del secondo Eliogabalo. Perché a Venezia nel 1667 di Eliogabali ce ne furono due: quello di Cavalli, ritirato dal teatro San Giovanni e Paolo a prove iniziate, e la nuova versione a lieto fine, con musiche alla moda di Giovanni Antonio Boretti. L’originale era davvero troppo osé? Ma perché un simile affronto all’anziano e rinomato compositore, comunque profumatamente pagato? Le ipotesi dei musicologi non hanno chiarito il mistero.

Unico interesse dello spettacolo non sono i costumi scontati di Gareth Pugh, stilista delle dive pop, bensì i giochi di luce discotecari di Antoine Travert, istallazioni che però sembrano estranee alla drammaturgia eccetto due casi: quando si volgono alla sala e quando disegnano spazi mentali a fasce parallele, sorta di gabbia che ospita la scena della congiura e i dubbi scespiriani del fido Alessandro – e qui, finalmente, il libretto prende il volo. Franco Fagioli è fuori parte: il Seicento non si addice a chi non è attore vocale, inoltre per l’eccentrico Eliogabalo ci vorrebbe un animale da palcoscenico; a suo agio nelle arie languide, la voce del controtenore argentino si perde nell’ampia sala. Discreti Paul Groves (Alessandro), Elin Rombo (Eritrea) e Mariana Flores (Atilia), mentre Nadine Sierra (Gemmira), dal timbro vellutato, non fa mai capire una sillaba del testo. Zotico e Lenia, diabolica coppia di intriganti talvolta colti da scrupoli, non trovano in Matthew Newlin e Emiliano Gonzalez Toro rilievo adeguato. Scott Conner è un azzeccato Nerbulone, poco tonante come Tiferne, gladiatore bestiale. Improponibile l’esile controtenore Valer Sabadus (Giuliano).

Eliogabalo https://www.operadeparis.fr/magazine/eliogabalo

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