Due rari e splendidi lavori di Carissimi al Festival di Musica e Arte Sacra di Roma

Flavio Colusso con l’Ensemble Seicentonovecento e la Cappella di Santa Maria dell’Anima ha inaugurato le celebrazioni del trecentocinquantesimo anniversario della morte dell’inventore dell’oratorio musicale

Concerto Carissimi (Foto Musacchio & Fucilla / MUSA)
Concerto Carissimi (Foto Musacchio & Fucilla / MUSA)
Recensione
classica
Roma, Chiesa di Sant’Ignazio
Carissimi
07 Novembre 2023

La ventiduesima edizione del Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra era concentrata in cinque appuntamenti in cinque giorni, affidati quasi esclusivamente alle cappelle musicali delle basiliche e delle chiese romane, che da anni sono piuttosto languenti, ma non tutte. La più attiva è la Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima, che non per caso è la chiesa della comunità cattolica tedesca di Roma, dunque un’isola tedesca in Italia. Non solo partecipa regolarmente alle funzioni religiose di quella chiesa, ma si impegna anche nella riscoperta dell’enorme e semisconosciuto patrimonio musicale romano del rinascimento e del barocco. La dirige Flavio Colusso, che è anche il fondatore e il direttore dell’Ensemble Seicentonovecento. A Colusso e a questi due gruppi riuniti era affidato il concerto di chiusura del festival, che ha dato l’avvio alle manifestazioni per i trecentocinquant’anni dalla morte di Giacomo Carissimi.

Come sede del concerto è stata scelta la Chiesa di Sant’Ignazio, perché Carissimi dal 1629 al 1674 fu il maestro di cappella del Collegio Germanico-Ungarico, che era retto dai Gesuiti. E prima di ciascuno dei due oratori in programma, Colusso ha letto dei brani tratti dal Quaresimale del gesuita Paolo Segneri per riproporre il clima di meditazione, raccoglimento e partecipazione – e non di semplice ascolto musicale – che era proprio delle esecuzioni degli oratori di Carissimi in quanto eventi non solamente artistici ma anche e soprattutto spirituali.

 Entrambi gli oratori ascoltati in questo concerto erano di rarissima esecuzione. Senza voler essere troppo pignoli, bisogna chiedersi se fossero veramente degli oratori. Infatti il catalogo di Carissimi è un vero rebus. Egli non usò mai il termine oratorio ma è stata la musicologia moderna a creare la categoria degli oratori, in cui sono confluiti lavori che l’autore aveva definito in vari modi, come Historia, Dialogus o mottetto. Nel fondamentale catalogo curato da Lino Bianchi, che ha messo ordine nella caotica situazione in cui ci è giunta la musica di Carissimi, è classificato tra gli oratori il “dialogo a 4”  Sponsa canticorum”,  di cui alcuni hanno perfino messo in dubbio l’autenticità, che ci è giunto in una copia molto tarda, redatta per di più in modo disordinato ed affrettato. Ma di chi altri potrebbe essere un brano di tale splendore? Inizia con un ampio e vigoroso declamato sillabico molto “carissimiano” dello Sponsus (l’ottimo baritono Mauro Borgioni). Poi le tre Filiae Jerusalem, alternando semplice polifonia a tre voci e fioriti passaggi solistici, esprimono la loro attesa dello sposo con un canto morbido, dolente ma anche sensuale, molto sensuale. La sensualità d’altronde è già nel testo sacro: “mio bel diletto”, “vieni gioia delle amanti”, “vieni, non tardare”, cantano le tre donne. Tutta le seconda parte è un dialogo tra Sponsus e Filiae: lui se la tira un po’: “Chi mi conoscerà e non mi amerà?” e loro confermano a una voce: “Chi ti conoscerà e non ti amerà?” È assente la figura dell’Historicus,  fondamentale negli oratori. E manca il vigore drammatico tipico dei più famosi oratori di Carissimi, quali Jepthe,  Balthazar,  Judicium Salomonis  e Dives malus, sostituito qui da toni accattivanti e seducenti, quasi profani. Il risultato è comunque altissimo.

Il secondo oratorio era Vanitas vanitatum,  che riprende la struttura dei mottetti concertati, affiancando in ogni “numero” il coro alle voci soliste. Con un coup de théâtre  il tenore (molto bene Riccardo Pisani) percorre la navata della chiesa dal fondo fino all’altare, proponendosi di rivolgersi ai più sapienti sulla terra per investigare sulla vanità di tutte le cose. Seguono una serie di brani in cui vengono in primo piano uno alla volta il soprano primo Margherita Chiminelli, il contralto (qui il controtenore Andrés Montilla Acurero), il basso Walter Testolin, il secondo soprano Jennifer Schittino (bravissima nelle irte fioriture del suo pezzo) e infine tutti insieme concludono l’oratorio. Rispetto a Sponsa canticorum,  c’è maggior varietà d’inflessioni: passaggi declamati ed altri molto fioriti, toni severi ed accenni quasi danzanti. Questa superba creazione musicale e l’ottima esecuzione hanno vinto la lotta contro l’acustica inevitabilmente dispersiva dell’enorme chiesa barocca, penalizzante soprattutto per le voci femminili, e hanno conquistato il numerosissimo pubblico, che ha ringraziato con applausi calorosi Flavio Colusso e tutti gli interpreti. È doveroso aggiungere agli interpreti già citati Maria Chiara Chizzoni (seconda Filia Jerusalem nel primo oratorio), il coro della Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima egli ottimi strumentisti dell’Ensemble Seicentonovecento.

 

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