Bedouine, la tenera guastafeste

Il secondo album di Bedouine, Bird Songs of a Killjoy, conferma il valore della cantautrice statunitense di origine armena

Bedouine - Bird Songs of a Killjoy
Disco
pop
Bedouine
Bird Songs of a Killjoy
Spacebomb
2019

Eravamo rimasti ammaliati dal primo album di Azniv Korkejian, alias Bedouine, un paio di anni fa. La cantautrice statunitense di origine armena, nata in Siria e cresciuta in Arabia Saudita, aveva messo in fila allora una dozzina di brani dal fascino fragile: voce, chitarra e poco altro creavano un’atmosfera naïf da folk d’antan, diciamo fra Joni Mitchell e Nick Drake, benché astratta in realtà da una precisa dislocazione cronologica. Altrettanti ne propone in questa circostanza, premettendo: «Non si tratta necessariamente della continuazione, ma nemmeno di una diversione».

La canzone delle nuove americane: Bedouine e Jay Som

La scrittura non muta in misura significativa, restando lineare e garbata, semmai qualcosa cambia sul piano degli arrangiamenti, ora più doviziosi, con l’impiego di archi, fiati e tastiere (fra i musicisti coinvolti, il chitarrista Smokey Hormel e il batterista Joey Waronker, fedelissimi di Beck) in rigoroso ambiente analogico.

“One More Time” ne è un buon esempio: ballata essenziale ma emotivamente intensa, ravvivata in maniera quasi impercettibile dal supplemento strumentale. Domanda la protagonista a un certo punto della canzone: "Sei un uccello? Sono io la tua gabbia?", avvicinandoci così al nucleo “ornitologico” del disco. Poco dopo, infatti, scorrono in sequenza “Bird”, “Bird Gone Wild” e “Hummingbird”, caratterizzate – appunto – da un’alata leggerezza.

Con tono languido e sereno, Bedouine prende per mano l’ascoltatore e lo conduce a spasso nel suo mondo, fra confessioni a cuore aperto (“Vivendo come instupidita dall’amore, più faccio meno funziona”, nella brumosa “When You’re Gone”) e scorci del quartiere di Los Angeles in cui vive (“Le strade stilizzate di Sunset Boulevard, dove chiunque è avant-garde”, in “Echo Park”).

A tratti rivela infine la propria natura cosmopolita, conferendo un sottile gusto latino a episodi quali “Dizzy” e “Matter of Heart”, senza mai dare la sensazione di essere la sedicente “guastafeste” del titolo. Bird Song of a Killjoy ne conferma dunque le qualità: niente affatto rivoluzionaria, evidentemente, e tuttavia la grazia confortante che sa esprimere basta e avanza a renderla irresistibile.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

pop

I Calibro 35 rapinano il jazz

In Exploration il supergruppo cinefilo accende la tv a suon di fusion, da Lucio Dalla a Mixer

Alberto Campo
pop

More: il ritorno dei Pulp

La band di Jarvis Cocker pubblica un nuovo album dopo 24 anni di silenzio discografico

Alberto Campo
pop

Nazar nella zona demilitarizzata

La diaspora angolana ha prodotto un altro peso massimo: Demilitarize è il nuovo album di Nazar, fra narrazione di sé ed elettronica

Ennio Bruno