Identità portoghesi

Da Porto, un festival per scoprire il fado di oggi

Recensione
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Giovani, gente di mezza età, bambini, e anche tante signore e tanti signori decisamente anziani, che si preparano a stare in piedi per un paio d'ore buone: venerdì sera un fiume di migliaia di persone di tutte le generazioni saliva verso Serra do Pilar, in cima a Gaia, la città dirimpettaia di Porto, sull'altra sponda del fiume Douro, richiamati da un concerto gratuito di Mariza: l'artista che ha dato una nuova immagine al fado ma che, proprio traghettandolo nella contemporaneità è riuscita a salvaguardarne la dimensione di musica nazionale e popolare, e che così facendo ha raccolto il testimone di Amalia Rodrigues come grande idolo. L'atteggiamento, il modo di porgere, il portamento, sono da diva, con un che di aristocratico, ma di una aristocrazia popolare, venuta dal basso, e che col popolo continua a stare in contatto, dialoga, simpatizza e del popolo sa parlare la lingua. Oltre che una prestazione di grande classe e temperamento, l'esibizione è tutta un intelligente e articolato, godibile gioco di messaggi identitari. Porto non è né Lisbona né Coimbra, i grandi, storici poli del fado: ma Mariza rende omaggio al pubblico di Porto, all'accoglienza che le aveva riservato quando a Lisbona era ancora ai primi passi del successo. E canta "Porto sentido", la canzone con i versi di Carlos Tê, musicata e interpretata da Rui Veloso, grande gloria portuense, un brano che si apre proprio nominando la Serra do Pilar: da lì una magnifica vista consente di abbracciare il fiume, il ponte a due piani che lo attraversa, le alture, le luci di Gaia e Porto, uno spettacolo che se ce ne fosse bisogno fa capire senza fatica perché i portuenses siano tanto attaccati alla loro città. Poi c'è l'orgoglio portoghese. Mariza non si accontenta di interpretare un genere che è di per sé un simbolo della cultura del suo Paese, e di pescare dal repertorio di Amalia ("Barco negro"): non lesina sull'esaltazione della bellezza della chitarra portoghese, uno degli strumenti che la accompagnano, assieme a chitarra, basso acustico e percussioni; e presentando un fado, solletica il legame con le tradizioni e l'antico, dicendo che la canzone la emoziona particolarmente perché un fadista la cantava nella taverna dei suoi genitori: e, colpo di teatro, si mette a cantare senza microfono, ed è il pubblico che allora si emoziona. Ma, lei che con una madre mozambicana è arrivata a diventare un'icona del lusitanissimo fado, inserisce l'identità portoghese in uno spazio culturale più ampio, in cui il Portogallo è affratellato alle sue ex colonie: operazione non banale in un momento - complice la crisi - in cui una ex colonia come l'Angola si può comprare interi pezzi del paese e il rimescolamento di carte potrebbe suscitare risentimenti. Mariza rende omaggio al cantante capoverdiano Tito Paris, si premura di segnalare che capoverdiana è la (bellissima) gonna che sfoggia nella prima parte dello spettacolo, ed elogia il ritmo africano del bassista Yami, di origine appunto angolana. Infine, a siglare il concerto, fa accedere il Portogallo ad un consesso ancora più ampio, globale, con un incalzante "Come As You Are", suggerendo implicitamente che il fado e la canzone portoghese legata alle tradizioni melodiche e tematiche lusitane sono tanto moderne quanto i Nirvana. In effetti lo sono, e all'altezza della crisi: nella canzone/clip "Para os braços" de minha mãe" di Pedro Abrunhosa, che va per la maggiore toccando profondamente la sensibilità dei portoghesi, la saudade è concretamente quella di chi è stato costretto ad andarsene da un paese che è regredito allo stadio dell'emigrazione, e vorrebbe tornare e ritrovare l'abbraccio della madre. Siamo in un Paese che non aveva mai raggiunto il nostro livello di ricchezza e di benessere diffuso, e che oggi soffre per la crisi: ma arrivando dall'Italia mi colpisce l'orgoglio, il senso di appartenenza, la determinazione nel fare e nel fare bene. Per esempio la scelta di dotare Porto, a beneficio dei portuenses e dei turisti, di Cais de Fado, un festival gratuito con tre esibizioni principali di artisti di tutto rilievo e un corollario di altri concerti nei locali e all'aperto, che alla prova della prima edizione ha funzionato egregiamente. Per banali ragioni di aerei sono arrivato tardi per assistere giovedì sera al concerto di apertura, e tutti mi dicono che mi sono perso veramente qualcosa: Gisela João è la rivelazione del fado più recente, ed era opinione generale che la sua esibizione a Porto abbia confermato la sua statura di personaggio di tutto rispetto. Se Mariza si è imposta con un look che non ha niente a che vedere con la tradizione, capelli biondi e corti, non proprio Annie Lennox ma quasi, Gisela si è presentata sul palco di Cais de Fado con dei vistosi ed eccentrici orecchini, e con un vestitino da spiaggia, come se mentre era al mare le avessero ricordato all'ultimo momento che doveva fare un concerto e si fosse buttata qualcosa sopra il bikini. Ma non si pensi ad un personaggio costruito. Gisela è di famiglia modesta, viene dal nord, ha tirato su un po' di fratelli, conosce le difficoltà della vita e il suo fado è consistente, di carattere. Certamente per via della gratuità del concerto, ma anche perché il suo successo sta crescendo (a Porto non sono riuscito a trovare neanche una copia del suo unico album, uscito un annetto fa), a Serra do Pilar si è trovata davanti un pubblico di migliaia di persone, e ha fatto colpo: piace anche il suo modo di parlare, l'uso spontaneo di certe parole un po' particolari che per un portoghese sono un indice sicuro del suo genuino legame col mondo popolare. Ci sono tutte le premesse perché possa essere la nuova Mariza dei prossimi anni. Anche Gisela João ha cantato "Porto sentido", così come ha fatto Camané, che sabato ha condiviso la serata con Cristina Branco: accompagnati dall'orchestra sinfonica della Casa da Musica di Porto ha cominciato lei, poi hanno duettato, poi lui da solo, e infine di nuovo assieme. Cristina Branco ha introdotto Camané come "il principe del fado", ed effettivamente è un personaggio di primo piano e molto popolare. Sarà stato anche per via dell'accompagnamento orchestrale, ma astraendo dalla lingua, con la sua voce profonda e il suo piglio Camané mi faceva pensare ad uno di quei grandi cantanti napoletani degli anni cinquanta. E anche questo mi faceva un po' invidia: vedere nel pubblico di Serra do Pilar un paese che riesce ad identificarsi collettivamente in un mondo musicale che mantiene un rapporto magari non puristico ma significativo con la tradizione e con la sua dimensione melodica, mondo che si rinnova e che è capace di esprimere nuovi personaggi. Noi non abbiamo più niente di tutto questo. È solo una fatale conseguenza del progresso, e il Portogallo è semplicemente ancora ad uno stadio più "arretrato" ? O forse, come in tanto altro, abbiamo sbagliato qualcosa ?

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