Le contraddizioni identitarie

Invenzione della tradizione e ideologia dell'identità

Recensione
jazz
Pochi giorni fa si è concluso a Pistoia “Dialoghi sull’uomo”, un notevole festival di antropologia organizzato - in modo eccellente - con lo stesso taglio e modalità dei vari Festival della Mente, dell’Economia, della Letteratura sparsi per la penisola. Il tema era quello dell’identità, declinato via via in chiave letteraria, antropologica, neurobiologica, linguistica, economica (era presente anche il premio Nobel Amartya Sen) e perfino alimentare. Il nocciolo della questione, analizzato con tagliente pacatezza dall’antropologo Francesco Remotti, è che l’identità è un concetto che impoverisce, perché esclude la complessità delle relazioni, irrigidisce e semplifica la visione del mondo e si presta ad ogni tipo di manipolazione ideologica. In questo bel festival mancava la musica (presente solo come accompagnamento ad uno spettacolo di Gian Antonio Stella), e che in genere rimane un fatto decorativo in tutte queste manifestazioni. È un peccato, perché ci sono pochi altri ambiti in cui si fa abuso delle parole d’ordine di identità, radici, tradizione (quest’ultimo un concetto molto più sfumato e ricco, secondo Remotti): in particolare il jazz e la world music hanno fatto di queste parole un efficace grimaldello di marketing per le operazioni più diverse. E come spesso accade, sono state inventate delle vere e proprie tradizioni i cui due esempi più clamorosi, almeno qui in Italia, sono “il Mediterraneo” e “la banda”, invenzioni che hanno date ben precise (la metà degli anni Ottanta per il Mediterraneo, un decennio dopo per la banda, sulla scia del successo del Goran Bregovic di Underground). Si tratta di un effetto comune a molti aspetti della globalizzazione: in un mondo senza centro e in cui è impossibile aggrapparsi a delle certezze, il localismo più o meno inventato diventa un riferimento rassicurante, in politica come in arte. Il bello però è che queste musiche agganciate a non meglio precisate “radici” sono in realtà musiche ibridate e meticce, in cui si fondono stili e generi diversi. Il jazz ad esempio è un perfetto esempio di musica che è fusione di musiche, come qualsiasi cultura umana è fusione in divenire di culture. Il discorso ideologico sull’identità in musica ha perciò qualcosa di incoerente: da un lato si predica la solidità delle radici, dall’altro si razzola la globalizzazione estetica (basti ascoltare qualsiasi pezzo presunto “mediterraneo”). Niente di grave, per carità, ma forse oggi - soprattutto quando la musica si muove su una medietà standardizzata, non confortata da chissà quale forza estetica - bisognerebbe usare certi termini con più cautela.

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