Niente cadaveri a Loano

L'edizione 2012 del Premio dedicato alla musica tradizionale italiana, appuntamento chiave dell'estate world

Recensione
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«Non ci occupiamo di cadaveri»: lo dice Domenico Ferraro, direttore editoriale di Squilibri, in apertura del primo incontro del Premio Loano 2012. Lo dice parlando della sua casa editrice - come poche meritoria nello studio delle culture popolari in Italia, premiata come “Realtà culturale” – e della collaborazione con il Circolo Gianni Bosio, che ha portato alla pubblicazione, con la curatela di Sandro Portelli, di un bel libro dedicato ai castelli romani (Mira la Rondondella. Musica, storia e storie dai Castelli Romani). Il discorso, comunque, vale anche per i padroni di casa del Loano; e – si spera – anche per noialtri: la memoria non deve sovrapporsi necessariamente con la nostalgia – continua Ferraro – ma è una «facoltà umana», da coltivare e studiare. Questo lo spirito con cui sintonizzarsi.

Il Premio Loano 2012 ha ampiamente metabolizzato questo discorso in otto anni di lavoro “sul territorio”, e non solo. Ha educato un pubblico non facile, composto in buona parte da villeggianti âgés e da giovanissimi, crescendolo con ascolti non scontati e spesso coraggiosi. Viene ora ripagato da un’elevata fiducia e da una buona affluenza, e meriterebbe certo – nella desolazione dell’offerta live in questo ambito, oggi in Italia – pubblico ben più vasto e differenziato.
Anche perché tema di quest’anno – “La città e i suoi margini”, sviluppato fra gli incontri pomeridiani e i concerti serali – è il miglior punto di partenza per esplorare quanto di interessante stia succedendo in Italia oggi a livello di musica popolare, e per ribaltare un concetto che, se già ampiamente superato in antropologia, permane ancora come rumore di fondo quando si parla di tradizione: quello di “purezza”, che spesso finisce per coincidere con “ruralismo”, tagliando fuori la città e negando dignità autonoma alle musiche urbane italiane. Se “urbane” e “popolari” insieme sono il tango, il rebetiko, il fado, perché allora non la canzone milanese e quella romana? Fatto nostro questo concetto – lo ha ricordato a Loano anche Ettore Castagna, musicista e ricercatore – possiamo aprirci all’idea che la “musica tradizionale italiana” sia anche quella dei nuovi vicini, dei migranti, dei non-italiani che stanno in Italia. Il progetto del Circolo Gianni Bosio “Istaraniyeri” è appunto dedicato alla musica dei migranti romani, ma tutto il lavoro di un gruppo come Bandajorona (ospite del Loano per presentare il nuovo Mettece sopra, Goodfellas) va verso questa direzione: la scelta di un organico al femminile, e di testi e temi molto spesso “genderizzati” permette di tenere insieme numi tutelari (esiste il femminile di “nume”?) per nulla contraddittori come Gabriella Ferri ed Esma Redžepova.

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Bandajorona

D’altra parte, non è una novità che le musiche urbane siano fatte dai “nuovi cittadini”: ha fatto notare Gianni Mura, invitato a parlare della canzone milanese, come pochi siano stati i “veri milanesi” ad occuparsene. Come per la canzone francese, fatta da armeni, italiani e quant’altro, sono stati gli immigrati a re-inventarsela cantando, dal loro punto di vista, «il lato b del boom»: Jannacci dal padre pugliese, Gaber che si chiamava Gaberscik, il lucchese Della Mea, Nanni Svampa – Premio Loano alla carriera 2012 – dalle Marche… Fino, oggi, a Claudio Sanfilippo, che a Loano ha presentato il nuovo I parol che fann volà, in dialetto naturalmente.
Terza città campione è Verona, protagonista del ricco volume Ettore Scipione Righi: Il canto popolare veronese, curato da Silvana Zanolli e Alessandro Nobis (CiErre Edizioni-MusicAcustica) e presentato da Enrico de Angelis. Righi, tipica figura di ricco romantico interessato alla poesia popolare, raccolse oltre 1300 canti fra Verona e le valli limitrofe.
E poi c’è Genova, rappresentata da Roberta Alloisio, Premio Loano 2012 per il disco Janua, galleria di figure femminili reali e immaginate legate a Genova. Un percorso affascinante guidato dalla splendida voce della Alloisio, che ha come unico limite alcune scelte degli arrangiamenti (curati dall’ottimo Fabio Vernizzi, l’“altra metà” di Janua), talvolta troppo “puliti” e smooth.

Siamo insomma abbastanza lontani dal lavoro di Antiche Ferrovie Calabro Lucane, nuovo progetto del già citato Ettore Castagna, ex Nistanimera e Re Niliu. Con Àlaca (AlfaMusic) Castagna e i suoi rivisitano, in un immaginario – ma non troppo – e lentissimo viaggio sulle «littorine» calabresi, da costa a costa, un ricco repertorio fra nuove scoperte e vecchi “classici”: la filastrocca “E lu tre e lu tre e lu setti”, già dei Re Niliu, “Cu trenta carrini” e la “Tarantella dei baraccati”, già accoppiate in Quando nascesti tune del Canzoniere del Lazio, e perfino una bella versione di “Stranizza d’amuri” di Battiato, che con la voce roca di Domenico Corapi diventa tutt’altra cosa. Si può suonare acustici e “tradizionali” e freschi allo stesso tempo, senza tirare in ballo filologie o ideologie dell’autenticità.

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Ettore Castagna

Come si può ricordare, a perfetta chiusura del tutto, che «la tradizione è una cazzata». Uscita (rigorosamente virgolettata) di Claudio “Cavallo” Giagnotti) che ben riassume il lavoro dei salentini Mascarimirì, dediti ad una «tradinnovazione» che parte dal semplice assunto che l’elettronica, il computer, le macchina siano strumenti “popolari” non meno del tambureddu e del mandolino, anche di quello elettrico. La vittoria – tanto di Mascarimirì, quanto del Loano – è aver tenuto per tutto il concerto il pubblico ad ascoltare, ballare e applaudire: segno che chi ascolta ha oramai le coordinate necessarie per “capire” questa musica (e il merito va al lavoro del Premio sul lungo periodo, si è già detto); e che chi suona – Mascarimirì, ma non solo - non sbaglia a disfarsi non della tradizione, ma di una certa idea di tradizione. Se la fusione non è a freddo, ma gli elementi sono integrati con la coscienza di quanto si sta facendo, l’incontro funziona alla grande; e ribalta la domanda su che cosa sia la tanto decantata musica “tradizionale”.
Poi, dopo il concerto, si finisce tutti a cena in una discoteca sulla spiaggia, e si ha l’impressione che la musica che ballano i diciottenni in libera uscita lì sotto sia molto più simile a quella di Mascarimirì di quanto non lo siano certe musiche “tradizionali”... A Loano non ci si occupa di cadaveri.

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Claudio Cavallo

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