Nico, 1988: immagine e realtà

Gli ultimi tre anni della vita di Nico nel lungometraggio di Susanna Nicchiarelli, vincitore nella sezione “Orizzonti” all’ultimo Festival di Venezia

Nico 1988 Susanna Nicchiarelli
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Dimenticate la Nico bellissima della Factory di Andy Warhol, regina della scena avant garde newyorkese: la regista Susanna Nicchiarelli si concentra su un’altra Nico, quella della seconda metà degli anni Ottanta, ingrassata, imbruttita e abbrutita dall’eroina, alle prese con una vita passata fatta di ricordi sbiaditi e una presente che è un limbo tendente all’inferno, fatto di oppiacei e di concerti in posti di second’ordine, dove il pubblico va per vedere un’icona di un tempo passato, addirittura rifiutato dalla protagonista.

«Non ero felice quand’ero bella»: questa è la confessione di Nico, o meglio di Christa (Päffgen è il cognome), come chiede al suo manager di chiamarla; può essere l’auto-giustificazione di un’eroinomane che anni di dipendenza hanno trasformato nel fisico oppure il ripudio di un periodo, a Parigi prima e a New York dopo, in cui il suo aspetto esteriore era preponderante, a scapito delle sue ambizioni artistiche. La Nicchiarelli prosegue il suo percorso, iniziato con Cosmonauta e proseguito con La scoperta dell’alba, sviluppando ulteriormente un tema a lei caro, ovvero quello dei segni che l’infanzia lascia nelle persone che finiremo per diventare.

Ecco allora Christa a sette anni che vede in lontananza i bombardamenti su Berlino, eccola affamata nel settore americano della capitale (come ricorda nel film, la fame patita all’epoca e durante il lavoro da modella ha rappresentato per lei un ricordo indelebile ed è stata la causa principale del suo regime alimentare piuttosto dissennato), eccola, più di quarant’anni dopo, sulla spiaggia di una livida Anzio, angosciata dal rombo degli aeroplani di una vicina base aerea statunitense. È quasi impossibile parlare di Nico senza citare i Velvet Underground: è lei la cantante in tre pezzi celeberrimi del loro album d’esordio del 1967 (“I’ll Be Your Mirror”, “Femme Fatale” e “All Tomorrow’s Parties”), anche se Nico non si è mai sentita accettata dagli altri membri del gruppo («Non per nulla il disco s’intitola The Velvet Underground & Nico», ricorda Christa nel film). La regista risolve questo periodo con dei flashback improvvisi e rapidissimi tratti da Exploding Plastic Inevitable, lo spettacolo ideato da Warhol e che univa danza, proiezione di suoi cortometraggi, uso innovativo delle luci e la musica dei Velvet Underground, e con la riproposizione parziale di “All Tomorrow’s Parties”, cantata da Nico durante il soundcheck prima di un concerto. È straordinaria l’interpretazione dell’attrice danese Trine Dyrholm, già apprezzata in Festen, che riesce a far dimenticare la scarsa somiglianza fisica con l’originale restituendo un’immagine psicologica di grande impatto della cantante tedesca; il pubblico ha anche la possibilità di apprezzare le sue doti canore.

Una parte importante (forse eccessiva, anche perché risolta soprattutto per via verbale) del film è dedicata al rapporto travagliato col figlio Ari, avuto durante una relazione con Alain Delon e mai riconosciuto dall’attore: adottato dai nonni paterni, è cresciuto vedendo poco la madre («Ero giovane, non ero in grado di allevare un figlio», questa la debole spiegazione di Nico) fino al momento del primo tentativo di suicidio, dopo il quale la cantante sarà più presente, arrivando a portarlo in tour, durante il quale Ari tenterà nuovamente di togliersi la vita.

«Gli anni Sessanta sono stati il periodo migliore?» «Ci facevamo di tantissimo LSD, sai»

Non entro nel merito della storia per non rovinare la visione ma posso dire di aver apprezzato particolarmente la parte dedicata a un “concerto” (se andrete a vedere il film, capirete perché ho messo le virgolette) a Praga, la delicatezza nel descrivere l’amore silenzioso del manager per Christa e la scelta delle canzoni di Nico, supporto reale e da cui non si può prescindere di quello che lo spettatore sta vedendo sullo schermo. Alla fine si ha l’immagine di una donna forte e fragile al contempo, con un eccesso di sensibilità tenuta a freno da un’ironia sarcastica verso tutto e tutti, anche se stessa («Gli anni Sessanta sono stati il periodo migliore?», le chiede un intervistatore radiofonico, e lei risponde «Ci facevamo di tantissimo LSD, sai»), una donna che vuole essere amata così com’è ma che spesso risulta troppo spigolosa, al limite dell’antipatia. Nico, 1988 è un film che, malgrado alcune sbavature, riesce a emozionare e che ci ricorda che la bellezza può essere aspra, ruvida, a volte disturbante, ma non per questo non è più bellezza.

“The marble index of a mind for ever voyaging through strange seas of Thought, alone”

(The Prelude, William Wordsworth)

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