La Brexit sta massacrando i creativi britannici

I vincoli burocratici stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dei lavoratori dello spettacolo

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Un visto da ottenere attraverso presentazione di cospicua documentazione che include una lettera del datore di lavoro con descrizione dettagliata della prestazione attesa e della durata, dettagli di viaggio, una lettera del commercialista, certificazione di essere in regola con il fisco e estratto conto in originale degli ultimi tre mesi: sono solo alcuni dei documenti richiesti dalle autorità spagnole all’assistente regista britannico Dan Ayling per poter essere al Liceu di Barcellona per curare la ripresa di Lessons in Love and Violence di George Benjamin nel capoluogo catalano. E circa 15 giorni di attesa per riceve una risposta dalla Spagna, ridotti a una settimana grazie alle sollecitazioni del Liceu.

Tutto questo per tacere del tempo necessario per mettere insieme i documenti richiesti e dei costi amministrativi da sostenere – circa 220 sterline nel caso di Ayling – che possono diventare insostenibili in molte situazioni.

È solo uno dei casi sconfortanti che racconta delle difficoltà che si trovano a fronteggiare i lavoratori dello spettacolo britannici dopo l’uscita del loro paese dalla Unione Europea, aggravate dalla pandemia che ha ridotto drasticamente le opportunità di lavoro nello spettacolo dal vivo. Delle difficoltà di Ayling e di molti altri suoi colleghi dà conto un lungo articolo pubblicato da "The Stage".

«È davvero una situazione disperata, mascherata appena dal Covid».

La firma in corner dell’Accordo di Commercio e Cooperazione fra Regno Unito e UE non sembra aver mitigato l’impatto su molti creativi britannici che lavorano regolarmente nell’UE e che si sono trovati a dover immediatamente fare i conti con le leggi sull’immigrazione dei paesi UE. «È davvero una situazione disperata, mascherata appena dal Covid» ha dichiarato Deborah Annetts, a capo dell’Incorporated Society of Musicians. «Stiamo assistendo alla perdita di lavoro da parte di individui che non possiedono un passaporto della UE. A molti viene detto che la loro domanda per lavoro nella UE non è più gradita oppure che spettacoli sono rinviati o cancellati perché i promoter nella UE non hanno la certezza che artisti britannici potranno attraversare la Manica».

Sotto accusa anche la mancanza di chiarezza e di indicazioni concrete del governo britannico sui termini dell’accordo con la UE, che ha reso pressoché impossibile una pianificazione adeguata da parte dei lavoratori dello spettacolo dal vivo. Anche fra Regno Unito e UE volano accuse reciproche di aver fallito su un accordo specifico per consentire libertà di movimento ai creativi e a poco sono serviti i ripetuti appelli delle organizzazioni di settore nel Regno Unito per attivare adeguata tutele in vista della separazione.

Ogni paese dell'UE e dell’area Schengen ha procedure e requisiti diversi per ottenere un visto per i cittadini non residenti nella UE.

Con l’unica eccezione dell’Irlanda con cui esiste un accordo bilaterale che consente il libero movimento di creativi, ogni paese dell'UE e dell’area Schengen – 31 paesi in totale – ha procedure e requisiti diversi per ottenere un visto per i cittadini non residenti nella UE. Tradotto: il quadro di regole nazionali e restrizioni sulla fornitura di servizi creativi è frammentato e complesso e questo rende davvero complicata l’organizzazione di tour nel continente europeo per i residenti nel Regno Unito.

Forte è il timore che queste difficoltà possano produrre un “effetto knock-down” nelle nuove generazioni, che potrebbe dirottare energie creative dallo spettacolo ad altri settori meno a rischio. «Non c’è abbastanza lavoro per tutti nel Regno Unito» secondo lo scenografo Andrew D. Edwards. «Quarant’anni fa c’era una manciata di scenografi e ora siamo centinaia. Non ci son abbastanza teatri nel Regno Unito e occorre spostarsi in Europa. Se non lo fai, non lasci spazio alle nuove generazioni di farsi strada. L’Europa ci permette di crescere e ai nuovi talenti di farsi avanti». 

Ma c’è anche chi vede il rischio opposto e cioè che l’Unione Europea possa approfittare di questa situazione, come la consulente per le arti Nadine Patel: «C’è un numero enorme di paesi europei desiderosi di ingaggiare artisti britannici, ma senza un facilitatore la loro conoscenza della scena britannica si ridurrà». 

E non è solo preoccupazione per permessi di lavoro o altri aspetti amministrativi, ma anche un progressivo disconoscimento della scena culturale nel Regno Unito con l’inevitabile marginalizzazione se lo scambio fra le due aree si riduce. «Ecco perché affrontare questa questione non può essere separato dal dibattito sui visti e sui permessi di lavoro... È necessario affrontare anche la potenziale minaccia di isolamento culturale».

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